Clint Eastwood – star del cinema, autore pluripremiato, icona della mascolinità stoica, uomo che occasionalmente tiene comizi – ha compiuto 94 anni lo scorso maggio. Può essere strano parlarne subito, anche se il tema dell’età, delle ingiurie del tempo e dell’arte di sapere quando ritirarsi con grazia è stato un argomento costante di conversazione nella prima metà del 2024. Tuttavia, niente di tutto questo sembra valere per il nostro Clint. Nell’ultimo decennio, l’attore-regista ha realizzato otto film, che vanno dai musical (Jersey Boys) ai docu-thriller (Ore 15:17 – Attacco al treno) alle biografie di uomini complicati (Sully, Richard Jewell). Il regista continua a sfornare film in ogni stagione.
Non tutti vi piaceranno. Alcuni hanno il difetto di essere un po’ ammuffiti. Ma non si può accusare Eastwood di inciampare nei suoi compiti dietro la macchina da presa o di fare le cose a tavolino. Ognuno di questi film, compreso il suo ultimo – il dramma giudiziario Giurato numero 2 (nelle sale italiane dal 14 novembre, ndt) – è caratterizzato da una solida professionalità, una mano ferma e un interesse per i tipi di narrazione vecchio stile, di solito indorati da domande. Come ad esempio: cosa significa essere un eroe? Come e quando si sanziona l’uso della violenza? A che punto il fine smette di giustificare i mezzi?
E, nel caso di quest’ultimo film, cosa significano concetti come “giustizia” e “responsabilità” al giorno d’oggi? Come molti di noi, Justin Kemp (Nicholas Hoult) non vuole che la sua vita quotidiana sia sconvolta dall’inconveniente civico comunemente noto come dovere di giuria. Inoltre, sua moglie Allison (Zoey Deutsch) sta affrontando una gravidanza ad alto rischio: il termine si avvicina rapidamente, e lui vuole essere presente per lei. Ma Justin deve presentarsi per la potenziale selezione presso il tribunale di Savannah, Georgia. Per farla breve: viene scelto.
Il caso riguarda un uomo brutale (Gabriel Basso, che ha interpretato J.D. Vance in Elegia americana: ma non prendetevela con lui per questo) accusato di aver picchiato a morte la sua ragazza (Francesca Eastwood). I due avevano discusso in un bar, lui aveva violentemente fatto cadere una bottiglia di birra dal tavolo e lei si era allontanata nella notte nonostante fosse in corso un temporale. Il suo corpo è stato trovato in fondo a un torrente da un escursionista la mattina dopo. L’avvocato d’ufficio, Eric Resnick (Chris Messina), suggerisce che sia scivolata sulle strade bagnate dalla pioggia e sia caduta da un guardrail. Il pubblico ministero, Faith Killebrew (Toni Collette), ritiene invece che si tratti di un chiaro esempio di violenza domestica. Dato che si è candidata come procuratore distrettuale con l’obiettivo di proteggere le donne e che una vittoria potrebbe farle guadagnare un po’ di peso politico, è decisa a mandare l’uomo in prigione.
Poi accade una cosa strana sulla strada del verdetto. Mentre Resnick e Killebrew espongono i fatti, Kemp inizia a ricordare alcune cose. Come, ad esempio, il fatto che si trovava in quello stesso bar la sera in cui è avvenuta la lite. Alcolista sulla strada della sobrietà, Kemp ci era quasi ricaduto, ma era riuscito ad andarsene prima di cedere ai suoi demoni. Mentre tornava a casa, pensò di aver investito un cervo. Nonostante fosse sceso dal veicolo e si fosse guardato intorno, non aveva visto nulla sulla strada. Sicuramente quel forte tonfo che aveva sentito era solo un… aspetta, non poteva essere… oh, santo cielo…
Questo è l’enigma che il giurato n. 2 si pone, in cui il risultato finale di “colpevole” o “innocente” passa in secondo piano rispetto al suo senso di colpa. Se Kemp si fa avanti, secondo il suo sponsor degli Alcolisti Anonimi (Kiefer Sutherland) che è anche un avvocato, sarà probabilmente accusato di omicidio colposo. Se non dice nulla, un uomo innocente andrà in prigione. Una volta che Kemp viene chiuso nella stanza con i suoi colleghi giurati – una formazione che comprende una caposquadra vivace (Leslie Bibb), un signore distinto (Cedric Yarborough) con una specifica preoccupazione per l’imputato e un vecchio pensionato (J.K. Simmons) che potrebbe avere più dimestichezza con questo tipo di casi di quanto non avesse rivelato in precedenza – il gruppo decide di fare una votazione preliminare. Tutti votano immediatamente per l’incriminazione. Tutti tranne uno: Kemp.
Quello che segue è qualcosa di simile a La parola ai giurati se scritto da John Grisham, con un pizzico del classico noir del 1948 Il tempo si è fermato (in quel fantastico film, Ray Milland è un giornalista incaricato di risolvere un omicidio di cui è il principale sospettato). La sceneggiatura di Jonathan Abrams contiene una grande varietà di elementi, che vanno dal melodramma coniugale ai podcast true crime, fino a un accenno ai tatuaggi delle gang (!) che diventa quasi un punto cruciale della trama. Hoult fa un buon lavoro nel dare l’immagine di un uomo qualunque, sudato e nervoso, combattuto tra il desiderio di proteggere sé stesso e la sua famiglia e il sentirsi obbligato a non condannare qualcuno solo per un senso di autoconservazione. Anche se punta alla vittoria, l’aggressiva procuratrice di Collette inizia a ficcanasare una volta che l’idea dell’innocenza si è insinuata nella sua testa, aggiungendo di fatto un contorno di detective story al mix.
Per quanto riguarda Eastwood, è colpevole di tre capi d’accusa: voler intrattenere la gente come se fosse ancora il 1992; cercare di riportare al cinema tutti quegli spettatori televisivi che hanno divorato il recente remake di Presunto innocente su Apple TV+; e usare un genere ben collaudato per scavare in idee trite e ritrite sulla moralità. Non tutto funziona – il finale dovrebbe tecnicamente qualificare questo film come un processo nullo – ma non si può negare l’ambizione. Quanto al fatto che questo sia l’ultimo film che Eastwood avrà l’opportunità di fare, la giuria non ha ancora deciso. Ma non si può accusarlo di essersi adagiato sugli allori. Artisti con la metà dei suoi anni non potrebbero proporre un film da viaggio in aereo così intrigante.