L’altra sera presentavo lo splendido giovanissimo Marco Bellocchio e il suo ancora splendido giovanissimo Sbatti il mostro in prima pagina – tornato in sala dopo più di cinquant’anni restaurato dalla Cineteca di Bologna, andatelo a vedere/rivedere – e un ragazzo gli chiede: “Ma perché in Italia non facciamo più quel cinema politico?”. E pure Bellocchio, uno dei pochi che in un modo o nell’altro continuano a farlo, non sapeva bene cosa e come rispondere, e abbiamo convenuto un po’ tutti che niente, è così, riguardiamoci i film vecchi che vecchi non lo sono per niente, è sempre meglio di niente.
Gli italiani non sanno più fare il cinema politico e nemmeno la politica, però sono bravissimi a ripostare su Instagram le prime pagine di Libération, detto Libé anche qua da quelli che pensano di vivere nell’11ème, dopo la vittoria del Fronte Popolare. Per un giorno sono esperti di politica francese e son contenti. Poi tornano a postare infografiche sul caro-affitti nelle nostre città, e la sicurezza, e lo sciopero dei mezzi pubblici. Esperti di politica amministrativa e di urbanistica, e anche quello finisce lì.
I francesi la politica la fanno sempre, quando fanno cose démodé come andare a votare e anche quando fanno i film. Ladj Ly è il regista dei Miserabili, il suo primo lungo dopo tanti corti, un film di quelli così importanti per cui sarà sempre “il regista dei Miserabili”, e quando arriva l’opera seconda tutti dicono “eh ma non è come I miserabili”, un destino difficile ma in fondo bello, sarai sempre il regista di un film importante, e il cerchio si chiude. Il secondo film è Gli indesiderabili (nelle sale dall’11 luglio con Lucky Red), titolo che ammicca un po’ troppo al precedente (l’originale è Bâtiment 5), e anch’io pensavo “eh ma non sarà come I miserabili“, e invece. È parimenti bello, certo meno sorprendente ma per certi versi forse pure più affilato.
Ci sono due sequenze iniziali pazzesche. La bara col corpo di un’anziana che viene portata a fatica giù per le scale del bâtiment del titolo, il condominio popolare di un’immaginaria cittadina francese, si direbbe nella banlieue parigina, che verrà evacuato di lì a poco; è una scena tragicomica, “l’ascensore è rotto da anni”, e alle lacrime dei parenti si uniscono i sorrisi di chi guarda, che pensa che quella cassa possa scivolare da un momento all’altro. L’altra sequenza è quella del vecchio sindaco della stessa cittadina che, dopo aver premuto il pulsantone che avvia la demolizione di un altro casermone popolare, ha un infarto e schiatta. Anche qui tragicommedia pura, che è il tono su cui viene settata – almeno all’inizio – questa storia di politica amministrativa e di urbanistica, ma fatta per davvero, penetrando nelle contraddizioni delle città che abitiamo oggi.
A questo punto, i protagonisti degli Indesiderabili diventano due: Haby (Anta Diaw), la nipote dell’anziana appena morta, una ragazza che lavora come archivista al municipio e che finirà per battersi contro le politiche un po’ troppo reazionarie della giunta; e Pierre (Alexis Manenti, già nei Miserabili), il vicesindaco che si ritrova sindaco, un politichino locale di cui non è specificata la collocazione politica, potrebbe essere un macroniano (anche il suo partito lo considera un po’ troppo destrorso), di quelli che accolgono i profughi siriani nel salotto di casa ma poi usano una mano non certo leggera di fronte agli sgomberi e ai provvedimenti sulla (presunta) sicurezza.
L’altra scena bellissima, e tristissima, è quella del bâtiment appunto sgomberato, con quella pioggia di materassi, televisori, peluche, qualsiasi cosa, dalle finestre giù in strada. “È tutta la loro vita”, dice Haby, che diventerà paladina, fino a un certo punto suo malgrado e poi per accesa convinzione civica, di questa rivolta di quartiere. È un ripresa a suo modo epica, colossale, con quel drone con cui Ladj Ly sembra autocitarsi – ricorderete il ragazzino dei Miserabili che riprendeva tutto con un drone before it was usato da ogni direttore della fotografia – ma che gli serve più di tutto per confermare la sua (po)etica – scusate.
Perché in realtà è tutto più complesso di così. Pur nel suo schematismo un po’ didattico, Gli indesiderabili seziona la società senza risparmiare nessuno, evidenziando le contraddizioni di ogni persona (e della sua “persona”, pardon, pubblica): Roger, l’assistente del sindaco, è nero e però non abbastanza difensore delle politiche degli immigrati, o così almeno pensano di lui; Blaz, l’amico (e qualcosa di più) di Haby, non sa distinguere il senso di giustizia dal revanscismo furioso e psicotico; Nathalie, la moglie del sindaco, corregge i siriani quando parlano francese perché in fondo tiene più alla forma che alla sostanza. E poi c’è il grande coro tutto attorno, che è una società intera, che siamo noi, le nostre città, il nostro caro-affitti e la nostra sicurezza, le città sgomberate, gentrificate, sempre più difficili per tutti. Tutte cose che restano lì, tra un repost su Instagram e un borbottio al bar (purché davanti a un vino naturale). E che non troviamo manco se andiamo al cinema.