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‘Hayao Miyazaki e l’airone’ è un (bel) doc sulle ossessioni del Maestro

Quelle per il suo lavoro, per la morte e per il nemico-amico Isao Takahata. Nel documentario (in sala oggi, domani e dopodomani), Kaku Arakawa ci offre la chiave di interpretazione del 'Ragazzo e l'airone', ma anche l'inedito ritratto di un uomo sempre più malinconico, ma ancora sorridente e mai domo

Foto: Lucky Red

Ci sono due magnifiche ossessioni in Hayao Miyazaki e l’airone. La prima è quella del Maestro per il suo lavoro: “Cammino, cammino, cammino. Cammino senza sosta. Ma i miei film mi afferrano. Forte, per la collottola. Voi penserete che io non voglia scappare, ma io non posso scappare! Sono in trappola”. L’altra è quella dell’artista, ma soprattutto dell’uomo – allora 82enn – nei confronti della morte che, per la prima volta, compare 3598 giorni prima del Grande Giorno (il debutto giapponese di Il ragazzo e l’airone) in una delle sue battute: “Ogni tanto penso che forse sto per morire. E mi immagino che dico: ‘Grazie tante’ a tutti”.

Sì, è vero ci sono stati diversi doc su Miyazaki e il suo processo creativo, vedi Never-Ending Man dello stesso Kaku Arakawa, ma anche Il regno dei sogni e della follia di Mami Sunada per citare forse i più celebri. Ecco, Hayao Miyazaki e l’airone (presentato a Cannes 2024 per la consegna della Palma d’oro allo Studio Ghibli e al cinema oggi, domani e dopodomani con Lucky Red) è un’altra storia: non avevamo mai visto il Maestro così malinconico, stanco, fragile. Eppure mai pago, mai domo. Per questo il doc è una testimonianza preziosissima, un raro sguardo, mai tanto dolceamaro, non solo alla produzione del suo ultimo (ma mai dire mai, a questo punto) film, ma anche a Miyazaki stesso, alle sue ansie, alle sue paure, al suo inconscio. Più di un testamento, una vera e propria lunghissima seduta di psicoterapia per il Maestro. Oltre che uno strumento quasi indispensabile per la lettura del lungometraggio.

Siamo nel settembre 2013, una decina di anni prima dell’uscita giapponese del Ragazzo e l’airone: Miyazaki annuncia in conferenza stampa il suo ritiro. E, sbam, a commento c’è uno degli spezzoni tratti dalle sue opere – una costante di montaggio per tutto il doc, che è per Ghiblimaniaci? Un po’ sì – in questo caso Il castello errante di Howl.
Principe Justin: “I mutamenti dell’animo a questo mondo sono continui”.
Strega delle Lande: “Ma guarda, hai detto proprio bene!”
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Taglio: luglio 2016. Miyazaki chiama il suo produttore storico Toshio Suzuki, gli confessa che ha scritto “una cosina” e gli chiede di trovare i soldi per fare il film. Il co-fondatore del Ghibli è preoccupato: “Non diceva che il suo fisico non avrebbe retto? E allora perché vuole farne un altro?”. Risposta: “Perché me ne sono dimenticato, ecco perché”.

Miyazaki e Toshio Suzuki. Foto: Lucky Red

Iniziano i 2566 giorni più difficile della vita del sensei dell’animazione. É chiaro che Il ragazzo e l’airone è il lungometraggio più complesso mai realizzato per Miyazaki, non sapevamo ancora però che sarebbe stato il più autobiografico e quello da cui, per lui, sarebbe stato impossibile tornare indietro. Gli storyboard che non si muovono ma “strisciano”, la trama che ancora non è chiara nella testa del Maestro. Sappiamo però che il the heron del titolo è modellato sul signor Suzuki, “che sembra un airone cenerino imbroglione, un ingannatore”. Battito d’ali .È l’ironia di Miyazaki. Intanto il produttore chiama a dar supporto mister Evangelion Takeshi Honda: “Ovviamente ci sono cose che a Miya-san non piacciono, ma assorbe l’energia di Honda nel proprio corpo”. Proprio come il Senza-Volto della Città incantata, gnam.

Foto: Lucky Red

Arakawa segue il Maestro maniacalmente giorno dopo giorno, mentre spegne l’allarme di casa – “la voce di questa donna non mi piace, non invecchia” – dorme, va in ufficio, si fa il tè. La quotidianità di Miyazaki non è nulla di diverso da quello che abbiamo già visto. Ma quando nel 2016 muore Michiyo Yasuda, colorista che ha lavorato a stretto contatto con lui da Nausicaä a Si alza il vento, tutto cambia. “È colpa di Yacchin. Un giorno mi ha telefonato e mi ha spiegato di avere un tumore. Parlando, mi ha detto di fare un altro film”. E Yacchin (i soprannomi sono uno degli aspetti più teneri del doc) nel Ragazzo e l’airone è diventata Kiriko, la battagliera guida del protagonista nel mondo magico. Trattenete le lacrime se ci riuscite, tra un sorriso e l’altro.

Nell’aprile 2018 se ne va anche Paku-san, al secolo Isao Takahata, regista, co-fondatore dello Studio Ghibli, a lungo rivale e amico di Miyazaki, amato dalla critica, ma senza la stessa fortuna internazionale di Hayao che però nutriva per lui un’ammirazione non corrisposta. Il Maestro non perde mai lo humor: “Prendi Pom Poko, ma perché lo ha reso così noioso?”, chiede a Suzuki, mettendo su il bollitore. Scopriremo poi che guardandolo ha pianto tutto il tempo, perché il film si basava sulla loro giovinezza.

Miyazaki e Toshio Suzuki al funerale di Takahata. Foto: Lucky Red

La comparsa di Takahata è il punto di non ritorno: “L’anima del defunto Paku-san sta tentando i perseguitarmi”, dice davanti a una tempesta primaverile, alla pioggia improvvisa durante una passeggiata, alla sua gomma preferita che sparisce. Sogna soltanto lui, è sempre stato il suo obiettivo, insomma, un nemico-amico da superare, ma con il quale condividere tutto. È la vera chiave di interpretazione del Ragazzo e l’airone e anche del suo ‘eterno ritorno’ dopo l’addio, che aveva fatto tanto arrabbiare Takahata: “Un regista cinematografico non si ritira”, gli aveva intimato. Così Miyazaki si riconosce nel protagonista Mahito e crea il Prozio, modellato proprio su Paku-san. Il giorno in cui li deve far incontrare nei suoi storyboard è uno dei più tosti: è il suo personale addio a Takahata ed è anche fonte di enorme stress, deve guardarsi dentro e affrontare la propria ossessione. Il Prozio non si salverà, “la morte è una liberazione”, pure Takahata sembrava sereno al suo funerale: “Perché non deve più fare film”, scherza-ma-non-troppo Miyazaki.

Poi ovviamente c’è il Miyazaki genio, king del mondo tattile, che “soltanto lui sa disegnare la pancia di Totoro”, il maniaco del controllo che verifica tutte le animazioni-chiave e le distrugge se non gli piacciono, che decide come i personaggi prendono vita. Ma c’è pure la pandemia che gli impedisce di andare allo Studio, di sentire le voci dei bambini che giocano in giardino. E c’è la sensazione, a 82 anni, di essere rimasto ormai praticamente solo davanti alla morte. “La sua vita oltre al lavoro? Non gli rimane niente”, afferma Suzuki. “Creare è l’unica cosa che lo salva”. Eppure forse questa volta è andato troppo in là, la linea tra realtà e sogno è diventata troppo sottile, non c’è quasi più: “Ho aperto troppo il coperchio del mio cervello e ora non so richiuderlo, Ho dimenticato come si fa, si è inceppato. Forse è questo che succede quando si impazzisce”.

Foto: Lucky Red

Il 14 luglio 2023 Il ragazzo e l’airone debutta nei cinema giapponesi, è un grande successo. A marzo 2024 vince l’Oscar. Ma sarà davvero il suo ultimo film? “Miyazaki continuerà a realizzare film, a qualunque costo, non può fare altro, ha fatto questa scelta molto tempo fa: perché se non realizziamo qualcosa non abbiamo niente”, Hayao in persona scripsit. Sorry, spoiler.

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