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‘Hit Man – Killer per caso’ ci conferma che Glen Powell è il Cary Grant del XXI secolo

L’irresistibile crime comedy di Richard Linklater è uno dei film imperdibili in sala quest’estate. E anche il titolo che consacra definitivamente colui che si candida ad essere il vero divo di domani

Foto: Bim Distribuzione

Sfogliando le pagine del numero di ottobre 2001 del Texas Monthly (o, visto che siamo nel 2024, cliccandoci sopra), troverete un articolo di Skip Hollandsworth su un uomo di Houston di nome Gary Johnson. Viene descritto come un uomo sulla cinquantina, “alto ma non troppo, magro ma non troppo… [che] a volte indossa occhiali dalla montatura sottilissima che gli conferiscono un’aria erudita”. Gary insegna in alcune classi di una scuola media locale. Perlopiù, però, finge di essere un killer professionista per il dipartimento di polizia, quando si tratta di organizzare operazioni sotto copertura per catturare criminali. È così bravo nel suo lavoro che Hollandsworth lo definisce “il Laurence Olivier del settore”. Se siete la maggior parte dei produttori che cercano un attore per interpretare Johnson in un film, probabilmente sceglierete Bill Camp. Se invece siete Glen Powell, leggete di questo uomo comune dall’aspetto trasandato e di mezza età e pensate immediatamente: questo è un ruolo perfetto per Glen Powell.

Powell ha co-sceneggiato, co-prodotto e interpretato Hit Man – Killer per caso, il film (nelle sale italiane dal 27 giugno, ndt) “vagamente” basato su quell’articolo. La storia di un uomo beta che scopre l’alfa che è in lui sembra destreggiarsi tra diversi generi e toni senza mai far fatica. In realtà, il film è una sorta di manuale sul fascino leggermente sudista, sulla presenza scenica e sul carisma che il trentacinquenne nativo di Austin, Texas, proietta quando gli si punta addosso la macchina da presa. Potreste avere difficoltà a credere che l’attore sia uno stupido mago della tecnologia, quando sfoggia un paio di occhiali da nerd à la Clark Kent, che si cimenta con riluttanza nel ruolo di finto assassino. Ma alla fine non avrete problemi a pensare che sia la versione del XXI secolo di Cary Grant.

Il fatto che Powell abbia creato questo personaggio insieme a Richard Linklater, un texano che ha debole per le follie alla Stella Solitaria (vedi Bernie) e per lo scrivere lettere d’amore all’America più marginale (vedi metà della sua filmografia), aiuta. Il regista aveva già dato al giovane Powell un piccolo ruolo in Fast Food Nation (2006) e una grande opportunità in Tutti vogliono qualcosa (2016); il suo ritratto dell’eccentrico giocatore di una squadra di baseball universitaria è stato, per molti, il punto di partenza per un fandom istantaneo. Linklater e Powell hanno trasferito la storia “incredibile ma vera” di Johnson da Houston a New Orleans, ma nessuno dei due sembra aver lasciato la propria comfort zone. Più radicalmente, decidono di introdurre una donna invischiata in una relazione violenta che cerca di assumere Johnson per i suoi servizi; ma invece che arrestarla, lui le suggerisce di lasciare il fidanzato e di rivolgersi ai servizi sociali. Per Hollingsworth si tratta di una perfetta conclusione del suo lavoro. Per Linklater e Powell è l’inizio di una storia d’amore.

Prima, però, il duo ci fa conoscere questa nuova versione di Johnson. Non potrebbe essere più confuso, predica ai suoi studenti la filosofia del “cogli l’attimo” e vive una tranquilla routine casalinga con i suoi gatti, Id ed Ego. Anche il suo lavoro secondario con la polizia è degno di nota semplicemente per la sua banalità: di solito, Johnson è l’uomo che si assicura che le apparecchiature di registrazione non si rompano. Non si tratta di operazioni di vita o di morte.

Poi, un giorno, il finto-assassino di punta dell’unità (Austin Amelio) viene sospeso a causa di alcune attività poco raccomandabili e Gary è costretto a intervenire. Il suo sicario, ribattezzato “Ron”, inizia a improvvisare con il sospettato a proposito dell’arte di rimuovere i polpastrelli e spargerli lungo la strada per evitare di essere individuati sulla scena del crimine. I colleghi di Johnson (interpretati da Sanjay Rao e dalla Retta di Parks and Recreation) sono impressionati. Ben presto, il regista adatta i diversi “killer” alla fantasia di ogni cliente su ciò che un sicario è o dovrebbe essere, attraverso parrucche, accenti, denti finti, cicatrici finte. Se Powell ha segretamente architettato quest’impresa come provino generale per interpretare un certo agente segreto inglese… be’, missione compiuta (?).

Poi però il film entra a fondo nella vita di Johnson. Linklater si diverte con l’idea di killer professionista come punto fermo della cultura pop, passando attraverso un montaggio di famosi omicidi su commissione e sghignazzando in disparte mentre Powell finge di essere un uomo mite che si finge un duro. E poi lo sceneggiatore e regista introduce un altro tropo pulp, e inizia piano piano e demolire anche quello: la femme fatale. Madison Masters (Adria Arjona) ha bisogno di uscire da un matrimonio tossico con qualsiasi mezzo. Avendo pietà di lei, “Ron” le offre una spalla su cui piangere invece di intrappolarla, e poi la lascia andare via. La sua squadra pensa che si sia rammollito. Ma c’è un legame evidente tra i due. E quando Gary-Slash-Ron e Madison si incontrano di nuovo, le scintille dell’incontro precedente si trasformano in un fuoco a quattro fiamme.

Questo è anche il momento in cui assistiamo non a una ma a due metamorfosi, e Hit Man diventa un’incredibile meta-storia sull’auto-affermazione di sé. Gary è un uomo invisibile, messo da parte da tutti, a partire dai suoi studenti fino alla sua ex moglie. Il suo alter ego, tuttavia, manda tutti in fibrillazione. Ron non solo ha risvegliato la fiducia di Gary in sé stesso, ma lo ha messo in grado di essere qualcosa di più vicino a chi vorrebbe davvero essere. Che non è un assassino. È un amante; e non solo di donne come Maddie, ma della vita.

E quando l’agente sotto copertura sorride al suo bersaglio, si vede improvvisamente Glen Powell trasformarsi in un’autentica star della Golden Age hollywoodiana. L’attore ha già dato prova di questo carisma in passato, grazie a piccoli ruoli di supporto come John Glen in Il diritto di contare (2016) e a performance capaci di rubare la scena come quella in Top Gun: Maverick (2022). Per non parlare del fatto che questo ragazzo dalla mascella squadrata e i tempi comici perfetti è stato definito il salvatore della commedia romantica moderna (leggi: Tutti tranne te). Ma Hit Man è diverso. Non è solo il fatto che Powell sia al centro di questo spensierato gioco di crimini e misfatti; ti fa credere di essere al centro dell’universo, come Gary Cooper, Bette Davis, Jimmy Stewart e il già citato Archibald Leach (il nome all’anagrafe di Cary Grant, ndt) ti facevano credere che i pianeti ruotassero nella loro orbita. Gli Studios hanno proposto a Powell un ruolo di primo piano nell’imminente kolossal estivo Twisters, dove – segno che lo stanno preparando per la gloria della Serie A – reciterà al fianco di tornado realizzati in CGI. Tuttavia, questo film “più piccolo” è la sua vera grande occasione. Non si riesce a togliergli gli occhi di dosso.

Adria Arjona e Glen Powell in una scena del film. Foto: Bim Distribuzione

Neanche Madison ci riesce e, sebbene Linklater metta in scena le loro scene di sesso con il massimo gusto possibile senza con ciò sembrare pudico, si viene comunque investiti dal calore “fisico” che emanano ogni volta che sono insieme sullo schermo. Calore che si fa sentire anche quando il marito di Maddie si presenta fuori dal club in cui si incontrano, minacciando entrambi, e viene presto scoperto misteriosamente morto. Ma anche questo snodo della trama è trattato con la giusta disinvoltura e un’arguzia consapevolissima.

Questo è anche il momento in cui Arjona si fa notare come partner sullo schermo. Molte delle sue prime scene sembrano più low-profile, poi entra in sintonia con Powell e il film diventa un vero e proprio gioco a due. C’è una sequenza verso la fine in cui la polizia sospetta che Madison abbia ucciso suo marito e manda Gary/Ron a registrare di nascosto la sua confessione. Quando entra in casa di Madison, Johnson le segnala con un messaggio sul cellulare che sono stati ascoltati e che lei deve stare al gioco. Quello che segue è un esempio di come si dica una cosa e se ne intenda un’altra, e di come si recitino “fisicamente” le reazioni reali durante una conversazione. È una scena da commedia perfetta, dove la chimica fra i due attori è semplicemente irresistibile.

Hit Man è in gran parte un one-man-show, e nessun colpo di scena o svolta improvvisa muove il film dalla sua direttrice principale. La sospensione dell’incredulità può essere messa a dura prova in più di un momento, mentre la commedia criminale di Linklater si avvia verso il suo ironico “e vissero tutti felici e contenti”. Ma la vostra fiducia in Powell come vero protagonista in grado di fare miracoli non viene mai messa in disussione. Gary finisce per trasformarsi in una versione migliore di sé stesso, ma l’attore che lo interpreta non ha bisogno di questa trasformazione radicale. Guardandolo sullo schermo si ha la sensazione che Glen Powell sia esattamente chi e dove vuole essere.

Da Rolling Stone US

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