Hollywood ha creato e distrutto Demi Moore. E ora lei mette tutto questo in ‘The Substance’ | Rolling Stone Italia
Gimme gimme moore

Hollywood ha creato e distrutto Demi Moore. E ora lei mette tutto questo in ‘The Substance’

Il film già cult di Coralie Fargeat mischia l’immaginaria parabola di una diva che “non può” invecchiare nell’industria del cinema e la vera storia della star di ‘Ghost’. Che ora sembra aver fatto i conti con il passato. E, ironicamente, si prende la sua vendetta

Hollywood ha creato e distrutto Demi Moore. E ora lei mette tutto questo in ‘The Substance’

Demi Moore in ‘The Substance’ di Coralie Fargeat

Foto: Christine Tamalet/MUBI

“Quando ti sei sentita cancellata per la prima volta per colpa della tua età?”.

Si sapeva che sarebbe stata posta una qualche variante di questa domanda, si trattava solo di capire quando e se sarebbe arrivata prima dell’inevitabile domanda su tutti quei nudi. Sette minuti dopo l’inizio della conferenza stampa del Festival di Cannes per The Substance, lo straordinario e cruentissimo body-horror della regista Coralie Fargeat (nelle sale italiane dal 30 ottobre, ndt), un giornalista ha chiesto alla star di parlare della sua cancellazione da Hollywood per il fatto di essere una donna di oltre 40 anni. Il fatto che la storia del film sia incentrata su un’attrice over-50 che sente di dover fare sforzi disperati per rimanere sempre giovane ha aggiunto un ulteriore livello di autoconsapevolezza al processo creativo. Il fatto che a rispondere a questa domanda fosse Demi Moore ha centuplicato il fattore “meta”.

“Il vero problema è il modo in cui ci si rapporta al problema”, ha risposto Moore con la compostezza di un diplomatico. “Quello che mi è piaciuto del copione di Coralie è che si tratta della prospettiva maschile della donna idealizzata: un punto di vista in cui ci siamo immedesimate noi stesse [come donne]… Ecco, questa versione nuova, più giovane e migliore ottiene un’opportunità e ripete lo stesso schema. È ancora alla ricerca di una convalida esterna”.

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Per chi non lo sapesse, The Substance parla di un’attrice vincitrice di un Oscar e superstar di serie A che si è reinventata come guru della ginnastica in Tv diversi decenni fa. A causa della suo repellente capo (Dennis Quaid) e di un’azienda ossessionata dalla giovinezza, viene messa alla porta senza tante cerimonie. Un programma progettato per sbloccare la “versione nuova, più giovane e migliore” che è in noi fa esattamente questo, sotto forma di una ventenne dalla pelle di rugiada (Margaret Qualley) che scaturisce dal corpo della donna più matura. L’idea è quella di reclamare il suo spazio all’interno dell’industria attraverso una sosia più bella e più giovane. Le cose però si mettono subito male.

Si tratta di una satira spesso acuta, che divaga selvaggiamente anche quando centra il bersaglio. Parte di ciò che rende il film così bello ed efficace, tuttavia, è il casting. Le star portano con sé un bagaglio e un catalogo di esperienze quando appaiono sullo schermo, con il luccichio di ruoli passati e storie personali che si rifrangono da loro come la luce attraverso un diamante. Non per niente la protagonista si chiama Elisabeth Sparkle. Il fatto che Demi Moore interpreti l’attrice più matura potrebbe inizialmente sembrare, nel migliore dei casi, una sorta di ammiccamento e, nel peggiore, una crudele battuta fatta a sue spese. Il film non può fare a meno di essere un po’ la prima cosa, ma è tutt’altro che la seconda, anche se si è invitati a trovare dei parallelismi tra una donna famosa immaginaria cacciata dal paradiso, alias Hollywood, e una reale che si è lasciata gradualmente estromettere dall’inquadratura.

Demi Moore con Patrick Swayze in ‘Ghost – Fantasma’ (1990). Foto: Getty Images

Così, quando si vede Sparkle affrontare il rifiuto di un’azienda che un tempo la osannava e poi ricorrere a misure estreme per non sentirsi irrilevante – misure che finiscono per metterla letteralmente contro sé stessa – è possibile vedere un condensato della storia del trattamento riservato alle dive del cinema dall’epoca del cinema muto a quella dello streaming. Plus ça change. Rivediamo, in sequenza, la giovane star delle soap opera che evita per un soffio di diventare una vittima dello showbiz; la bellezza dai capelli corvini e dalla voce roca dell’improvvisamente onnipresente Brat Pack; la metà di una celebrity couple (l’altra metà era Bruce Willis) che rimane sotto i riflettori anche dopo essersi separata; l’artista che aiuta a trasformare una mediocre storia d’amore soprannaturale (leggi: Ghost) in un vero e proprio successo e che, nel frattempo, fa vende un sacco di ceramiche; una star che posa al naturale e incinta sulle copertine delle riviste; un personaggio famoso infamato per il suo aspetto, il suo presunto atteggiamento da “diva” e il suo stipendio di 12,5 milioni di dollari (comunque meno della paga delle sue controparti maschili nella metà degli anni ’90); un’ex ingenua che è tornata in auge apparendo in bikini oltre i 40 anni; e qualcuno che, nonostante sia ancora presente sugli schermi (vedi: Animali da ufficio del 2019), ti fa sentire come se si fosse autoesiliato per sopravvivere.

Ripercorrere le incredibili montagne russe della carriera di Moore significa fare i conti con due componenti fondamentali del mondo del cinema: il sesso e lo schadenfreude. Fin dall’inizio, le vennero affidati personaggi di “donna idealizzata” (l’oggetto del desiderio del fotografo sedicenne Jon Cryer in Una cotta importante del 1984) e/o di vittime (l’allieva autodistruttiva di Washington che viene salvata per un pelo dalla morte per congelamento in St. Elmo’s Fire del 1985). Il successo di Ghost le ha conferito un certo peso, anche se gli articoli delle riviste si sono assicurati di citare sempre le sue discussioni con il regista Jerry Zucker a proposito del fatto che “fa gioco di squadra, ma [ci] sono cose che non ama fare”. Questa frase è tratta da una storia di copertina di Première del 1991, la stessa che menziona il fatto che “emana sesso come una bionda Mata Hari” mentre era sul set di Amore e magia.

Pochi mesi dopo, Moore sarebbe stata sulla copertina di Vanity Fair, posando nuda con il pancione ed entrando immediatamente nella storia della cultura pop; l’articolo si concentra tanto sul suo essere “difficile” sui set e sul suo matrimonio con Bruce Willis quanto sul film che sta promuovendo. L’anno successivo, ha scattato una seconda copertina di VF e ha optato per un abito dipinto sul suo corpo nudo al posto di un vero e proprio vestito. Nel frattempo, una citazione dell’autore del pezzo suggeriva che “preferisce interpretare personaggi duri e arrabbiati [e] non ama sorridere sullo schermo”. Dopo aver recitato in Proposta indecente, cioè il film in cui Robert Redford paga un milione di dollari per andare a letto con lei, un giornalista di Esquire dedica due terzi di un articolo su di lei a parlare di un’offerta di 500 dollari per un bacio. È anche peggio di quanto sembri.

Demi Moore in ‘Striptease’ (1996). Foto: Castle Rock Entertainment/Getty Images

Quando nel 1996 Demi Moore divenne l’attrice più pagata del momento, grazie a un compenso di 12,5 milioni di dollari per Striptease, era già stata etichettata come difficile. Per questo motivo, la sua rottura di questo specifico soffitto di cristallo è stata vista non tanto come una mossa verso l’equità di genere, quanto piuttosto come un esempio di superamento del limite professionale. “Ho capito che chiunque si faccia avanti per primo subirà il colpo”, ha detto a Variety quest’anno, poco prima dell’uscita di The Substance. “La narrazione è diventata rapidamente: ‘Be’, viene pagata così solo perché interpreta una spogliarellista’. Mi ha colpito molto”. Quando l’anno successivo ha fatto una svolta di 180 gradi e ha interpretato una soldatessa nel mondo maschile dell’esercito in Soldato Jane, nessuno ha parlato del suo stipendio: erano troppo impegnati a commentare come avesse soppresso la sua femminilità e si fosse rasata la testa, nei modi più cinici che si possano immaginare. Tornando a quella sequenza di Charlie’s Angels – Più che mai, che nel 2003 ha dato il via a una piccola recrudescenza di titoli “Demi è tornata!”, quanti articoli e interviste pensate abbiano parlato del modo in cui Demi ha portato un tocco ironico e camp in quel ruolo da cattiva? E quanti invece pensate si siano concentrati principalmente su quanto fosse tonico il suo corpo, per una donna della sua età?

Tutto questo si fa strada nella mente quando si guarda The Substance. Sebbene sia facile accusare il film di Fargeat di odiare sia il giocatore che il gioco in termini di inseguimento dell’eterna fonte della giovinezza che ossessiona Hollywood, è la complicata storia di Moore con la stessa Hollywood e con il suo corpo – qualcosa in cui la sua autobiografia Inside Out del 2019 scava con gusto – che dà forma a gran parte dell’insicurezza di Sparkle, alla sua ansia, alla sua speranza in una seconda possibilità e alla sua rabbia per quello che alla fine risulterà essere un tradimento. Il nostro rapporto con questa donna che abbiamo visto sullo schermo per decenni è volutamente evocato in ogni scena di questo body horror, e questo prima che il team di effetti visivi inizi a mostrarvi cosa succede quando lei rinnega l’obbligo del programma di trasformazione di passare ogni sette giorni da “Sparkle: Ricetta originale” a “Sparkle: Extra-Crispy”. La sequenza più snervante, tuttavia, non comporta l’uso grottesco di protesi deformanti o mutilazioni digitali. Si limita a tenere la macchina da presa sul volto di Moore mentre si guarda allo specchio, spalmando il trucco che ha applicato sul viso nell’ultimo tentativo di apparire attraente per un corteggiatore. Il dolore è così palpabile che quasi non si riesce a guardare quella sequenza.

Eppure The Substance sembra una corsa della vittoria per Demi Moore, perché finalmente è arrivata al punto in cui è riuscita a mettersi alle spalle tutte le frecciate sul suo essere una diva, sulla necessità di pavoneggiarsi per qualche decision-maker in abito griffato e sulle infinite lagnanze a tema “ma è abbastanza sexy?”. Nel film di Fargeat può mostrare molta pelle, ma non perché stia cercando di sedurre qualcuno o di assicurarsi un posto nella catena alimentare del cinema. Moore non è stata cancellata per colpa della sua età, ma si è trovata a suo agio con essa. L’interpretazione di Moore, la migliore della sua carriera, in questo horror è probabilmente così vulnerabile, così simbolicamente nuda, perché ha rinunciato ad appartenere al club dello showbiz che ha preteso così tanto da lei, deridendola poi per averla accontentata.

Andrew McCarthy con Demi Moore in ‘Brats’. Foto: Hulu

In realtà, la chiave per capire cosa sta facendo Demi Moore in The Substance potrebbe non essere affatto in quei ruoli dei primi anni ’90. Potrebbe risiedere in un’altra apparizione, molto più breve, in un film del 2024: Brats. Il documentario segue il regista e collega del Brat Pack Andrew McCarthy mentre cerca di dare un senso al suo coinvolgimento in quel fenomeno degli anni ’80. Quando arriva a casa della sua collega di St. Elmo’s Fire, un incrocio tra un ritiro zen e una spa di lusso, Moore lo accoglie amorevolmente e ricorda la follia di tutto ciò. Più che altro, sembra straordinariamente in pace con sé stessa. Si ha immediatamente la sensazione che non abbia più bisogno di essere una celebrità. Ed è questa sensazione di sapere chi è ora che le ha permesso senza dubbio di andare nei luoghi oscuri di Sparkle e di far entrare un po’ di luce.

Da Rolling Stone US

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