Kevin Costner è il patriarca formato cowboy numero 1 dell’America contemporanea, il tipo di attore che emana un forte odore di Frontiera e che sta straordinariamente a suo agio in sella a un cavallo. Non è stato l’unico motivo per cui la serie Yellowstone è diventata un grande successo, ma solo il principale; che si ami o si detesti la soap opera in stile ranch di Taylor Sheridan, è difficile discutere con lo star power del suo protagonista e il senso di gravitas che Costner ha portato al ruolo di John Dutton. Quella serie non solo ha ridato a Costner un posto nell’immaginario culturale globale – non aveva mai smesso di lavorare, ma era più probabile che lo facesse come attore non protagonista piuttosto che come il divo che fu – ma gli ha anche dato un peso all’interno dell’industria. Prima di essere il protagonista dell’impero in continua crescita by Sheridan, l’attore e regista 69enne aveva cercato per anni di proporre la sua idea di un western epico, ricevendo la sua buona dose di educatissimi: “No, grazie”. Ora, l’idea di Costner + cappello Stetson, moltiplicata per la Monument Valley e divisa in diversi capitoli, sembrava finalmente avere un pubblico.
Non si sa se i fan di Yellowstone/Costner si presenteranno nelle sale per questo primo capitolo del “ritorno al passato” dello sceneggiatore-regista-produttore-star. Se lo faranno, però, troveranno sicuramente qualcosa di molto familiare. Un mix di trame che si intrecciano, tantissimi personaggi di contorno e una lista di cliché di genere che va ben oltre le solite diligenze, Horizon: An American Saga – Capitolo 1 (nelle sale italiane dal 4 luglio, ndt) non è tanto un revival del western in generale, quanto un tentativo di replicare nello stesso momento ogni singolo western che sia passato sul grande schermo. Sapendo che la sua visione sarebbe stata troppo grandiosa e vasta per un solo film, Costner ha concepito questo primo capitolo di tre ore come una sorta di episodio pilota sovradimensionato che vale come lunga promessa di ciò che ci aspetterà in futuro. Non si può dire che sia poco ambizioso, così come non si può dire che sia coerente, ma il risultato non è un Balla coi lupi – Redux.
Il film si apre su un formicaio, che può essere o meno un omaggio a Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah, ma è sicuramente il ritratto di una comunità che lavora in armonia con l’ambiente che la circonda. Poi un enorme palo viene conficcato nel mezzo, sparpagliando i piccoli occupanti di quell’habitat e imponendo a un unico proprietario il suo diritto alla terra. È in questo punto della Valle di San Pedro che alla fine verrà fondata la città destinata a essere conosciuta come Horizon, anche se ci vorranno diversi anni, un certo numero di coloni e più di qualche morte per stabilire una residenza semi-permanente in questo aspirante Eden. Nel corso degli anni, i guerrieri Apache hanno ucciso per proteggere il loro territorio. E il fatto che l’ultimo gruppo di coloni abbia appena organizzato un ballo nel granaio della città non li risparmia da un massacro. Una famiglia in particolare, i Kittredge, si batte con forza. Ma anche loro vengono sopraffatti e solo la matriarca Frances (Sienna Miller) e sua figlia Elizabeth (Georgia MacPhail) sopravvivono.
Vengono accolte dai soldati della cavalleria americana, giunti da un vicino avamposto per seppellire i morti e proteggere i vivi. Tre uomini si distinguono fra loro: il tenente Trent Gephardt (il Sam Worthington di Avatar), un militare diligente che tuttavia riconosce che i nativi americani sono arrivati per primi; il colonnello Houghton (Danny Huston), che considera inevitabile l’addomesticamento del selvaggio West; e il suo braccio destro, il sergente maggiore Riordan (Michael Rooker). Alcuni coloni, come le due donne di casa Kittredge, rimangono con loro a Camp Gallant. Altri formano gruppi di vigilanti che progettano di vendere gli scalpi a scopo di lucro, perché trasformare la violenza in commercio è da sempre quello che fa l’America. Per quanto riguarda la popolazione indigena, sta vivendo i propri attriti fra tribù: il militante Pionsenay (Owen Crow Shoe) è pronto a scatenare una guerra, mentre altri Apache, come suo fratello Taklishim (Tatanka Means), vogliono vivere una vita pacifica lontano da Horizon.
Nel frattempo, nei territori del Montana, una donna con un bambino si ferma all’alba davanti a una baita. Prende il fucile, spara a un uomo di mezza età che dorme all’interno e poi scappa. Il suo nome è Lucy (Jena Malone). Quel bastardo con il petto pieno di pallettoni è l’uomo che l’ha messa incinta, ed è implicito che la loro unione non era consensuale. I due figli dell’uomo, Junior (Jon Beavers) e Caleb Sykes (Jamie Campbell Bower), hanno il compito di rintracciarla e di riportare il fratellastro neonato all’ovile della famiglia fuorilegge. Il primo è il tipo di predatore vigile e paziente che tende a pensare più della sua preda. Il secondo è il solito psicopatico sbruffone.
Aspettate un attimo, vi chiederete dopo circa un’ora, ovvero un dodicesimo dell’intera durata della saga (il n. 2 uscirà ad agosto e si presume che i capitoli saranno quattro in tutto): Kevin Costner non è forse il protagonista di questa epopea, oltre che l’attore protagonista? Sì, certamente. Il nostro eroe entra in scena nei panni di un certo Hayes Ellison, un vagabondo che, a quanto si dice, si guadagnava da vivere con la sua pistola. Ora commercia cavalli e fa altri strani lavori molto più legali. Hayes è arrivato nella città mineraria di Watts Parish, nel Wyoming, e ha bisogno di un po’ di riposo. La bella del posto, Marigold (Abbey Lee), lo prende in simpatia e lo prega di andare a trovarla qualche volta. Marigold vive su una collina con una giovane donna e il suo bambino, e si dà il caso che quella donna sia – sorpresa! – Lucy. Sembra che anche i fratelli Sykes abbiano seguito le tracce del loro obiettivo fino a Watts Parish, e la città non è abbastanza grande per tutti loro…
Ma aspettate! Non abbiamo ancora parlato della carovana! Laggiù, sul Santa Fe Trail, Matthew (Luke Wilson) guida un gruppo di pionieri alla guida di diverse diligenze. Deve affrontare il clima rigido, la minaccia di attacchi Apache improvvisi e Hugh e Juliette (Tom Payne e Ella Hunt), una coppia inglese che tende a comportarsi come se quei coloni fossero dei servi. Come se non bastassero le tensioni già esistenti, Matthew deve anche tenere d’occhio due viaggiatori lapponi (Douglas Smith e Roger Ivens) che si sono interessati molto a quella donna inglese. Come tutti gli altri, anche loro hanno visto affissi i manifesti di quella specie di Shangri-La ribattezzato Horizon e si stanno dirigendo a ovest in cerca di fortuna.
Tutte queste storie convergeranno a tempo debito, componendo una sorta di grande storia sulla “nascita di una nazione”? Solo Costner lo sa, ed è disposto a prendersi tutto il tempo necessario per arrivare a destinazione e a sviluppare ogni trama in un modo che metterà alla prova la pazienza del pubblico. Non è che la sua idea di raccontare come è stato conquistato il West da una serie di punti di vista diversi, a volte contrastanti, non sia un modo intelligente di affrontare il melting pot che rappresenta le radici della Frontiera. Il problema è che nessuna di queste storie è in grado di reggersi da sola, tanto meno come parte di un più grande murale cinematografico visionario. Si ha a malapena la possibilità di conoscere o approfondire un gruppo di personaggi prima di essere trascinati in un altro filone narrativo, dove alle persone viene dato giusto il tempo di declamare qualche luogo comune prima che la roulette della trama giri ancora. E ancora. E ancora.
A volte l’effetto è dannoso, come nel caso del ritratto dei nativi americani. Gli spettatori, in questo primo capitolo, hanno a disposizione abbastanza scene con gli Apache per capire che la loro storia è anche la nostra storia collettiva, ma non abbastanza per giustificare tutte le numerose sequenze in cui vengono trattati come gli stessi assassini senza volto e senza nome che si vedono nei western degli anni Trenta. La loro saga sarà forse approfondita in seguito, ma l’aspetto “usa-e-getta” della trama che li riguarda non convince (soprattutto dopo opere recenti come Killers of the Flower Moon). Altre volte, la semplice narrazione da A a B soffre della sindrome del “troppo ma non abbastanza”. A un certo punto, il nobile tenente interpretato da Worthington affronta i pettegolezzi sul suo interesse per la vedova cui dà il volto Sienna Miller. Se siete come noi, la vostra reazione sarà qualcosa del tipo: “Ci sono state delle voci? Che cosa? Quando? Perché? Da parte di chi? Ci siamo persi una scena, o è rimasta sul pavimento della sala di montaggio?”.
(Una breve parentesi sulle performance del cast: proprio come le variegatissime trame del primo capitolo, sono tutte molto diverse tra loro. Worthington e Miller fanno sperare che passino più tempo insieme, negli episodi futuri. Ogni volta che Costner è sullo schermo, si può sentire il livello di energia di Horizon salire. Wilson fa il suo lavoro in perfetta modalità Wilson, con la differenza che qui sfoggia un cappello da cowboy. Rooker sembra divertirsi un mondo nel suo personale remake del Massacro di Fort Apache. Praticamente tutti i cattivi sembrano essere stati scritturati in blocco da un’agenzia che rifornisce di villain tutti i film e le serie tv in circolazione.)
Si sente che la visione di Costner è superiore alla sua capacità di metterla a terra, mentre cerca di riportare in vita i western che guardava vostro nonno. Viene voglia di rivalutare Terra di confine – Open Range, il suo film del 2003, che al confronto aveva difetti decisamente più modesti. Il Capitolo 1 si conclude con un montaggio in stile “nelle prossime puntate di Horizon…” che include l’introduzione di nuovi personaggi, nuovi attori (Glynn Turman! Giovanni Ribisi!), nuove sparatorie, eccetera. Dovremmo sentirci gasati per tutto quello che arriverà. Invece, ci sentiamo già esausti. L’ironia della sorte è che proprio ciò che ha permesso a Costner di trasformare in realtà il progetto dei suoi sogni lo ha reso per molti versi del tutto irrilevante. Quello che state vedendo è una pallida imitazione dell’episodio pilota di una serie dello Sheridanverse, riadattato con la pomposità del grande schermo hollywoodiano. Solo che ora possiamo trovare il vero western altrove, e fatto molto meglio. Ci dispiace, amico.