‘I Am Martin Parr’: piccola guida alle ossessioni di un artista | Rolling Stone Italia
la mia splendida ossessione

‘I Am Martin Parr’: piccola guida alle ossessioni di un artista

Il documentario di Lee Shulman sul fotografo inglese apre il Mese del Doc di Wanted Cinema. Dalle origini a oggi, il racconto della carriera di un artista che parla dell'uomo dietro l'obiettivo, e di noi

Martin Parr

Una fotografia di Martin Parr

Foto: press

In alcuni casi non basta avere passione, essere tenaci e credere in ciò che si fa; bisogna essere ossessionati. Un esempio particolare è quello di Martin Parr, fotografo di fama mondiale che proprio all’ossessione deve il successo del suo lavoro. Il documentario diretto da Lee Shulman, I Am Martin Parr, in uscita domani a inaugurare il Mese del Doc di Wanted Cinema, racconta questa necessità artistica e accompagna lo spettatore in un viaggio dove lavoro e quotidianità coincidono con la vita del fotografo inglese, tanto controverso quanto rivoluzionario.

Un uomo brillantemente ordinario, Parr, sorriso stampato sulla faccia e macchina fotografica sempre al collo. I suoi esordi hanno incontrato forti resistenze. Dopo l’esperienza delle foto in bianco e nero, tra cui spicca il progetto Bad Weather, arriva la svolta a colori. Il lavoro che l’ha consacrato è stato quindi The Last Resort, una serie scattata nel corso di tre anni, tra il 1983 e il 1985, a New Brighton, località balneare vicino a Liverpool.

La spiaggia è uno dei luoghi preferiti da Parr, una risposta a una mancanza della sua infanzia: da piccolo i genitori non lo portavano al mare bensì a fare birdwatching (la loro, di ossessione). Quindi, una volta conosciuta la magia del bagnasciuga, ha elevato la spiaggia a palcoscenico del suo primo grande spettacolo, riuscendo così a imporsi nel panorama europeo della fotografia. Sotto i lampi del flash – e ispirato dai colleghi Joel Meyerowitz e William Eggleston – sono state scattate foto che hanno raccontato in modo insolito le vacanze della classe operaia, mescolando commedia e tragedia.

Martin Parr

Una fotografia di Martin Parr. Foto: press

Le immagini vanno in profondità e non nascondono nulla: uomini, donne e bambini sono protagonisti ignari di un messaggio che già allora aveva a oggetto il consumismo e l’inquinamento. Proprio la scelta di questi soggetti gli fruttò alcune delle critiche più forti, mosse in quanto lui proveniente dalla middle class più agiata. Dubbi che trovarono risposta nella serie successiva, The Cost of Living, che si concentrava invece su persone benestanti e della sua stessa estrazione sociale. L’obiettivo si avvicina, in più di un significato: il magnetismo della sua estetica e la critica verso il consumismo e le politiche di Margaret Thatcher sono direttamente proporzionali.

Le opposizioni arrivarono anche dai colleghi. Fotografare a colori, per un documentarista, significava rompere con la tradizione. Solo il bianco e nero era ritenuto autorevole. Questo fu un altro bel problema per Parr, soprattutto quando fece richiesta per entrare nella prestigiosa agenzia fotografica Magnum Photos. Uno dei fondatori, Henri Cartier-Bresson, cioè un gigante della fotografia, gli scrisse addirittura una lettera dove lo definiva un alieno. Un alieno che tuttavia, dopo non poche difficoltà, riuscì a guadagnarsi il suo posto nell’agenzia, realizzando così una piccola grande rivoluzione fatta di humor inglese ed eccentricità.

Martin Parr

Una fotografia di Martin Parr. Foto: press

Fotografo documentarista, incursioni nella moda e nella pubblicità, il riconoscimento come artista. Le foto di Martin Parr oggi sono celebrate ovunque con mostre e libri, al punto che il suo lavoro è diventato in un certo senso anche il nostro. Da quando abbiamo a portata di mano una fotocamera, quel metodo – aggirarsi mimetizzati tra la folla – e quello stile – catturare il bizzarro nell’ordinario – sono entrati a far parte della vita di tutti. Consapevoli o meno, più di una volta è capitato di avere un “momento Martin Parr” e di cimentarci in una foto che vagamente ricordi una delle sue (spesso fallendo miseramente). Così semplici eppure così difficili. Perché nel saper cogliere l’istante perfetto, ma soprattutto nell’ossessione, non siamo Martin Parr.

Il documentario di Lee Shulman approfondisce questi motivi con un dietro le quinte su come sono realizzati gli scatti. Le sequenze della “caccia” alla foto iconica sono impreziosite dalle parole dello stesso autore e dalle interviste ad altri personaggi come l’artista Grayson Perry e il bassista dei Madness Mark Bedford. La testimonianza più interessante arriva però dalla moglie Susie, che ha un punto di vista privilegiato rispetto all’origine degli eventi.

Martin Parr

Una fotografia di Martin Parr. Foto: press

Nel documentario scopriamo molto dell’uomo e dell’artista, anche se vorremmo saperne di più. Scopriamo che Parr è un collezionista compulsivo, soprattutto di oggetti assurdi, per esempio orologi raffiguranti il faccione di Saddam Hussein. Come viene giustamente fatto notare, questa tendenza a collezionare avviene anche per la realtà, con il suo sterminato archivio fotografico di eventi, vacanze, cibo, dettagli, persone. Altro comportamento ossessivo che sembra essere imprescindibile per ogni fotografo che si rispetti.

Instancabile e in attività da cinquant’anni, lo vediamo all’opera, costantemente in giro mentre si confonde tra la gente come fosse Waldo, con il suo fare serafico e sornione, pronto a rubare l’attimo bello e faustianamente immortale, a volte con la complicità inconsapevole dei passanti, bonariamente ingannati da un complimento. Ciò nonostante, è sempre sinceramente intento a mostrare solo ciò che già conosciamo, perché ci circonda, ma che non vediamo, forse perché abituati.

Martin Parr

GB. England. New Brighton. Da ‘The Last Resort’. 1983-85. Courtesy of Magnum Photos

I Am Martin Parr è un resoconto genuino della vita e del lavoro di un uomo che ha criticato l’Occidente con lo strumento dell’irriverenza e la cui opera è capace, ancora oggi, di metterne in evidenza le contraddizioni. Tuttavia è proprio questo che emerge quasi, appunto, ossessivamente la gentile ossessione di un uomo e di un artista. «Devi essere ossessionato per avere successo. È questo che ti spinge ad andare avanti». Da qui lo spettatore predisposto può trarre una buona dose di ispirazione, assimilarla e continuare nella propria, di nevrosi. Alla ricerca del momento giusto in cui scattare.