I film di rapina tendono a seguire la regola narrativa del “tre”: si mostra la preparazione, si mette in scena minuziosamente l’esecuzione, pezzo per pezzo, e quindi si spiega come i criminali e/o la loro banda la fanno franca, oppure. I delinquenti (ora nelle sale e prossimamente su MUBI), il contributo sinistro del regista argentino Rodrigo Moreno al genere, fa a meno della prima parte e vi porta direttamente alla seconda base. Un direttore di banca di nome Morán (Daniel Elías) si sveglia la mattina, si veste e passeggia tranquillamente per le strade del centro di Buenos Aires per recarsi al lavoro. Insieme a un altro dipendente attraversa diverse aree recintate fino a raggiungere un caveau.
Per tutto il pomeriggio, Morán prosegue tranquillamente la sua giornata. Aspetta pazientemente che un collega, Román (Esteban Bigliardi), vada a parlare con il loro capo; questo cassiere porta un collarino sanitario e deve uscire prima per farselo togliere. Possono trovare qualcuno che lo sostituisca per il resto della giornata? Lo stesso collega che prima ha aiutato Morán prende il posto dell’altro, Román va dal suo medico e il direttore mette di nascosto uno zaino nella scatola di metallo. Poiché il suo collega è bloccato all’ingresso per aiutare i clienti, scende al piano di sotto per fare un deposito in solitaria. Una volta entrato nel caveau, Morán riempie lo zaino di contanti. Stranamente, non sembra disturbato dalla presenza di una telecamera di sorveglianza. Poi il direttore esce dall’edificio con il suo bottino.
Il fatto che quest’ultima parte sia accompagnata da una colonna sonora jazzata, simile a quelle di Lalo Schifrin, suggerisce che il film di Moreno sta per entrare in piena modalità thriller, ma il regista non è interessato a condurre gli spettatori in una sorta di Fuggitivo: Redux. Quella sera, Morán e Román si incontrano. Il primo ha un borsone ai suoi piedi e una proposta in mente: Vuole che il giovane prenda i 650mila dollari che ha appena rubato e se ne occupi per tre anni e mezzo. Morán ha calcolato che se si costituirà, probabilmente riceverà una condanna a sei anni, ma sarà fuori in poco più della metà del tempo con una buona condotta. Se rifiuta l’offerta, mentirà e dirà che Román era suo complice. Se accetta, i due uomini potranno dividere i soldi a metà una volta scontata la pena.
Perché vuole solo 325mila dollari? Perché se Morán fosse rimasto in banca fino alla pensione – circa altri 25 anni, secondo lui – sarebbe stata la stessa cifra che avrebbe guadagnato. Sarebbe solo troppo vecchio per godersi il tempo che gli resta. Per come la vede lui, tre anni e mezzo di galera contro una vita sprecata, ma con la stessa pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno, non è un cattivo compromesso. Se ci pensiamo bene, il suo crimine è in realtà solo un anticipo sulla sua libertà da oltre due decenni di tirannia dalle nove di mattina alle sei del pomeriggio, tutti i giorni.
Da qui, Moreno passa il resto delle tre ore di durata dei Delinquenti a giocare con una serie di generi diversi, tutti al servizio di una narrazione che continua ad aprirsi e a rivelare strati come una matrioska. Quando una detective (Laura Paredes) inizia a interrogare i dipendenti sul furto appena avvenuta, il film diventa una farsa alla The Office e la parodia di un poliziesco, con Kafka e un po’ di blues a sfondo capitalista. Il dramma carcerario prende una piega borgesiana quando ci si rende conto che un pezzo grosso della prigione che rende la vita un inferno a Morán è interpretato dallo stesso attore che interpreta il suo capo in banca (standing ovation per Germán de Silva).
Poi le cose si ristabiliscono a metà film, con Román che si aggira per la campagna con un trio di ventenni incontrati per caso, tra cui uno spirito libero di nome Norma (Margarita Molfino); scopriremo poi che questi tre ragazzi hanno un legame più profondo con la storia di quanto si possa immaginare. Le digressioni sulle ninne nanne e un gioco sui nomi delle città occupano una quantità spropositata di spazio. Un album della semisconosciuta band argentina degli anni Settanta Pappo’s Blues continua a spuntare come motivo ricorrente (tra gli altri meriti di questo film, c’è il farci scoprire questa collezione di canzoni follemente hard-rock). Le citazioni cinematografiche sono utilizzate come elementi di transizione all’interno della trama.
Rodrigo Moreno è un imbroglione amante dei giochi di parole (date un’altra occhiata ai nomi dei personaggi) e delle gag visive, e spinge delicatamente le sue trame fuori dai binari, in un terreno inaspettato e inesplorato. Ma sa esattamente quello che sta facendo, e la scioltezza e la lentezza di tutto ciò è in realtà un modus operandi ben pianificato. Parte della pura gioia di guardare I delinquenti è non sapere dove andrà a parare, per poi capire che le sue numerose tangenti e deviazioni sono sempre state disseminate sul percorso. È un film che inizia con un uomo che ruba al suo datore di lavoro, per poi finire con l’idea che siete voi ad essere stati derubati: il vostro tempo prezioso, il vostro sentirvi qualcosa di più di uno schiavo, i migliori anni della vostra vita. È meglio fermarsi, rallentare e chiedersi come si vorrebbe davvero trascorrere i propri giorni su questo pianeta. E poi prendersi un secondo per chiedervi: chi sono i veri delinquenti, in questa esilarante parabola filosofica?