Non è improprio definire Marilyn Monroe “donna secolo”. Una definizione soprattutto postuma, anche se uno che ne capiva, Andy Warhol, le dedicò quel famoso ritratto multiplo e le disse: «Diventerai un modello molto importante, forse il più importante, specie se dovessi morire giovane».
Quando arrivò a Hollywood, dopo la guerra, Marilyn era bella, ma una delle tante. Basta guardare le foto di quell’epoca, davvero non c’erano segnali del suo destino. Fece quella che si può chiamare gavetta: piccola pubblicità, parti minime, casting infiniti, quelli non mancavano mai. E poi ruoli in filmetti particolari, diciamo così. E infine le cene, i dopo cena, anche quelli non mancavano mai. La Monroe dichiarava: «Tanti produttori avevano il mio numero di telefono e mi chiamavano, anche quando mi chiedevano di fare… favori ad altri. Era la regola per tante, per me in particolare. Un giornalista promise che mi avrebbe dedicato un pezzo. Poi scrisse che io ero il più efficace rimedio per i foruncoli degli adolescenti, dunque socialmente utile».
Marilyn un corpo, eccome, ma c’erano ragazze con gambe più belle e lunghe, con proporzioni migliori delle sue. La famosa scena di Quando la moglie è in vacanza, dove il vento le solleva la gonna, fece dire ad alcuni che quelle cosce erano dei prosciutti. Può darsi che fosse così, ma quasi mai la perfezione ti porta a quel successo sproporzionato, magari è il sedere in fuori che ti ci porta. Norman Mailer, il grande autore che le dedicò un libro famoso, scriveva di essere incantato dalla “pancina”, non pancetta, di Marilyn. Nel film Il principe e la ballerina, Marilyn, fasciata da quel vestito bianco attillato come una pelle nel salone della residenza del principe (Laurence Olivier), sente la musica di un organetto in strada. Comincia a ballare, da sola, con passetti studiati, con quel suo sedere e quella pancina. Da vedere.
La Monroe è una storia di anomalie e di estremi. Una sintesi non è semplice. I mariti: il primo era un ragazzo, un militare. Il secondo Joe DiMaggio, campione di baseball, eroe americano: rapporto quasi subito impossibile, lui era semplice e geloso. Lei diceva: «Sapevo di tenerlo in pugno, gliene ho fatte di tutti i colori». Il terzo era Arthur Miller, grande scrittore, carattere tutt’altro che semplice, trattava la moglie come un trofeo stupido. Tutti disastri. La diva era inadatta ai rapporti, aveva avuto il mondo ai suoi piedi senza la forza e la cultura per gestirlo.
Ma possedeva un talento che rimane soltanto suo. Frequentò l’Actors Studio, ma per pochi giorni, non sopportava le regole ferree di quella disciplina. Ma in realtà non ne aveva bisogno. Non aveva la voce di una Doris Day o di una Ella Fitzgerald, non ballava come Leslie Caron ma possedeva una cifra, un sortilegio, che era, ancora una volta, soltanto suo. Anche nel musical. Così come la presenza: Darryl F. Zanuck, il tycoon della Fox, disse: «Quando la vidi la prima volta era in mezzo a tanta gente, ma non vedevo che lei. È la dote delle stelle».
Morì come è morta. Altro elemento ad alimentare la leggenda. Quasi tutti i suoi film sono diventai culto. Le sue performance e le sue canzoni sono un’antologia preziosa. Una selezione, che non può che essere la punta di un iceberg: I Wanna Be Loved by You e I’m Thru with Love, dal film A qualcuno piace caldo. Bye Bye Baby da Gli uomini preferiscono le bionde. Infine, The River of No Return, da La magnifica preda.