American Fiction
Cord Jefferson
La più lucida satira socio/politica/culturale che l’America abbia partorito in questi anni di “conversation“. In realtà il romanzo che ha ispirato il film, Cancellazione di Percival Everett, è stato pubblicato nel 2007, ma l’opera prima (!) di Cord Jefferson parla all’oggi e dell’oggi. Immenso Jeffrey Wright, nei panni dello scrittore “non abbastanza nero” rispetto a ciò che il pubblico (soprattutto bianco) chiede oggi. Oscar per la miglior sceneggiatura non originale, da noi direttamente su Prime Video.
Challengers
Luca Guadagnino
La prima produzione interamente “Made in USA” di Luca Guadagnino è un film che è puro godimento estetico: dalla fotografia (con tanto di soggettiva della pallina) di Sayombhu Mukdeeprom ai costumi di J.W. Anderson, fino alle musiche techno di Trent Reznor e Atticus Ross. Ma che, grazie anche ai tre formidabili protagonisti (Zendaya, Josh O’Connor e Mike Faist), diventa inno alla fluidità senza per questo essere mai un “comizio” pedante. Anzi: c’è leggerezza, coolness, sensualità. Quello che vogliamo dal Cinema (con la maiuscola, sì).
Los colonos
Felipe Gálvez Haberle
Una sorta di Killers of the Flower Moon, ma non nella Terra Rossa: nella Terra del Fuoco. Il collettivo argentino El Pampero, che di recente ci ha dato il fluviale e notevole Trenque Lauque, colpisce ancora. Stavolta dietro la macchina da presa c’è Felipe Gálvez Haberle, che racconta una storia di carnefici e prede con l’occhio del cinema d’avventura à la Herzog. Pensando in grande, ma senza mai dimenticare l’umanità al fondo di questa parabola, e raccontando insieme la Storia di un Paese capace di diventare universale. Da noi su MUBI.
I delinquenti
Rodrigo Moreno
Altro giro, altro imperdibile affresco argentino. Tre ore (però speditissime) per raccontare la vicenda di Morán e Román, due impiegati di banca che s’improvvisano, appunto, delinquenti. Ma con moderazione: si accontentano della cifra che gli spetterebbe se continuassero a lavorare fino alla pensione. Un soggetto che parte dell’ordinary life di un popolo e di un Paese per farsi, pure in questo caso, discorso e sentimento collettivo di un tempo (e un tema) che ci riguarda tutti. Anche questo su MUBI.
Dune – Parte due
Denis Villeneuve
Dopo lo scult by David Lynch, l’epopea sci-fi di Frank Herbert passa nelle mani di Denis Villeneuve e – lo abbiamo visto nel primo capitolo – diventa “altro”, pur restando fedelissimo all’originale. Il sequel alza la posta in gioco, diventa ancora più politico, dà più spazio ai personaggi (la Chani di Zendaya in primis) e piazza sequenze da annali della fantascienza d’auteur (vedi il combattimento in bianco e nero starring un notevolissimo Austin Butler). E anche il Paul Atreides di “Timmy” Chalamet cresce con il film.
Estranei
Andrew Haigh
Il regista di Weekend, 45 anni e della serie tv Looking prende un romanzo giapponese “etero” degli anni ’80, lo imbeve nella sua esperienza di vita reale e partorisce uno dei drammi queer più struggenti ed eleganti degli ultimi anni. I vicini di casa – e di “caso” – Andrew Scott e Paul Mescal sono i protagonisti di questa ghost story in realtà tangibile e toccante (pardon), che guarda al passato (vedi anche la splendida playlist musicale) per parlare delle crisi d’identità presenti. Nella scorsa Awards Season avrebbe meritato di più.
Green Border
Agnieszka Holland
Come raccontare la (geo)politica oggi? Con un affresco, in rigoroso bianco e nero, che fa parlare solo i fatti. Ma la cronaca non spegne il pathos, visto che dietro la macchina da presa c’è una veterana del cinema europeo (spesso prestata a Hollywood) che ha sempre puntato sui sentimenti. Non c’è però retorica nella storia che incrocia i destini di profughi dal Medioriente, attivisti e nuovi carnefici al confine caldissimo (cfr. il doc MUR di Kasia Smutniak) tra Polonia e Bielorussia. Un pugno nello stomaco, ma qualcuno deve pur darlo. E se lo fa una signora di 75 anni, è ancora più forte e più bello.
The Holdovers – Lezioni di vita
Alexander Payne
A vent’anni da Sideways – In viaggio con Jack, Alexander Payne ritrova Paul Giamatti e gli affida il suo ruolo forse più bello di sempre. Quello di un professore anti-Attimo fuggente che però diventa, a suo modo, un eroe di tutti i giorni. Ma non c’è melassa, nel racconto di questo Natale “forzato” al college tra lui, la cuoca del campus (una Da’Vine Joy Randolph da Oscar) e uno studente con la brama di vivere (la rivelazione Dominic Sessa). Cinema classico, dichiaratamente Seventies, fuori dal tempo e insieme capace di leggere l’incomunicabilità del nostro presente.
Past Lives
Celine Song
Un grande successo (anche da noi) per un film su una storia d’amore interrotta, sì, ma soprattutto sui fili che ci legano al nostro passato, alle nostre origini, a tutto quello che abbiamo lasciato alle spalle e che non tornerà più. Celine Song scrive e dirige un K-drama “in sottrazione” che poggia su ottime interpretazioni (Greta Lee, Teo Yoo e il magnifico supporting John Magaro), conducendoci per mano fino a uno dei finali più struggenti (e intelligenti) degli ultimi anni. Un titolo destinato a restare.
Perfect Days
Wim Wenders
Restiamo in Oriente, ma andiamo in Giappone, per un altro film che è stato un caso (incredibile ma vero) ai nostri botteghini: 5,5 milioni di euro l’incasso totale. Il veterano Wim Wenders torna a Tokyo per raccontare una storia di semplicità solo apparente. Hirayama (lo straordinario Kōji Yakusho, premiato a Cannes) pulisce bagni pubblici, legge, va in bici per le strade della città, ascolta i Velvet Underground… e gli sta bene così. Non un film sulla retorica delle piccole cose, ma un capolavoro che ci dice che ogni vita è possibile, e possibilmente bellissima.
Povere creature!
Yorgos Lanthimos
Mentre nelle sale c’è il più divisivo Kinds of Kindness, resta freschissimo il ricordo del Barbie steampunk partorito dal ragazzaccio greco (su romanzo di Alasdair Gray). Tra goth e commedia, la storia di Bella Baxter (una Emma Stone “total“: e infatti è stato secondo Oscar) è subito esemplare, per come riesce a raccontare l’emancipazione di una giovane donna senza proclami ma con assoluta libertà. Che è anche quella di un regista che, diventato mainstream, resta sempre profondamente indie, e ogni volta sa inventare un mondo.
Il ragazzo e l’airone
Hayao Miyazaki
L’ultimo (?) film di Hayao Miyazaki ci riporta alle atmosfere di Si alza il vento, il suo capolavoro precedente. Ma insieme spinge ancora di più il pedale dell’esistenzialismo e della filosofia, riprendendo la matita in mano e disegnando sullo schermo, con epico e visionario umanesimo, il suo immaginifico testamento, la lettera di un nonno a un nipote su una vita che vale la pena di essere vissuta: perché sì, dopo ogni lutto (e ogni guerra) c’è pur sempre ancora un domani. Anche questo un successo (e anche questo un po’ inaspettato) al nostro box office.
Tatami – Una donna in lotta per la libertà
Guy Nattiv, Zar Amir Ebrahimi
Una giovane campionessa iraniana di nome Leila sta facendo faville ai campionati mondiali di judo. Ma le sue vittorie sono un problema per la Repubblica Islamica, perché a un certo punto potrebbero portarla ad affrontare la collega israeliana: e il regime considera umiliante per l’Iran la possibilità di perdere contro Israele. Una storia di sport, ma anche di vita o di morte, in un bianco e nero che serve a dirci che – parole della co-regista e attrice Zar Amir Ebrahimi – “forse un giorno la vita delle donne iraniane sarà di nuovo a colori”.
La terra promessa
Nikolaj Arcel
Un’epica old school di frontiera (stavolta quella europea) con i codici del western e un protagonista magnifico: Mads Mikkelsen. Una sorta di survival thriller del divo danese contro tutti: c’è l’uomo vs. la natura (la terra arida e sterile), Davide contro Golia (un cattivissimo potente e sadico e un’aristocrazia, quella della Danimarca dl XVIII secolo, indifferente e complice), il lavoro contro il privilegio, la morale contro l’assenza di morale. E poi paesaggi sconfinati, romanticismo, vendetta, redenzione perfino. Grandeur europea in purezza, da recuperare.
La zona d’interesse
Jonathan Glazer
Il titolo che probabilmente ha maggiormente sconvolto, diviso, fatto discutere in questa stagione di cinema. Premiato con il Grand prix speciale della giuria a Cannes 2023 e arrivato nelle nostre sale quasi in contemporanea con gli Oscar (ne ha vinti due), è, prima ancora che un film, un’esperienza immersiva che fa riflettere sull’Olocausto e tutto quello che ha lasciato (ancora oggi: vedi i risultati delle recenti Europee) come nessun’altra cosa vista finora sullo schermo. Tra orrore, straniamento e un monito che grida forte e chiaro al nostro presente. Un capolavoro, punto.