Andrew Dominik
Un biopic su Marilyn Monroe? Argh, che paura. La cosa davvero peggiore sarebbe stato ovviamente sbagliare l’attrice nei panni (rischiosissimi) della protagonista. Andrew Dominik (e il produttore Brad Pitt) non l’ha fatto, e di questo gli va dato atto. Ana de Armas è perfetta, peccato quello che ci sta attorno. Ovvero un pastiche che non lesina in eccessi, ma che non sa gestire a dovere il kitsch. A sequenze molto ben orchestrate si mescolano momenti di pura pornografia, in tutti i sensi: dal feto parlante (!) che verrà abortito al sesso orale praticato a “Mr. President” JFK in primo piano. Scusaci, Norma Jeane.
Daniel Espinosa
Il peggior film tratto da un fumetto Marvel di sempre? Probabilmente sì. Non bastano Jared Leto (ormai però insopportabile, possiamo dirlo?), la regia dell’interessante – almeno una volta – Daniel Espinosa (che però ci crede davvero, anzi troppo) e il tono che vorrebbe essere darkissimo. È, anche questo, un pasticcio, punto. Che si prende molto sul serio, dunque la comicità (involontaria) è inevitabile. Gli effetti speciali da telefilm di Italia 1 (detto con tutto il rispetto) fanno il resto. Non ci sarà nessun sequel: ma dai.
Olivia Wilde
Non un film orribile in assoluto, né relativamente all’annata in questione. Ma una montagna – di attese, chiacchiere, peana all’autrice prima ancora di vedere il risultato – che ha partorito un topolino. La storia s’è già, di fatto, vista in La fabbrica delle mogli (poi La moglie perfetta starring Nicole Kidman) e The Truman Show. E quel che resta di questo film sono i drama veneziani, il gossip (sul set si sono messi insieme la regista Olivia Wilde e il protagonista maschile Harry Styles), gli sputi (?) contro Chris Pine, e tutto quello che probabilmente sapete. Rimane la bella prova della sempre bravissima Florence Pugh, anzi “Miss Flo”: ma non basta.
Fausto Brizzi
Un solo titolo italiano, ma vale per tutti. Fausto Brizzi firma una sorta di Senti chi parla (pace all’anima di Kirstie Alley) in cui un gruppo di bambini dell’asilo si mette a parlare con voce da adulto, arrivando a sventare piani diabolici (ebbene sì). Attorno a loro, lo spaesatissimo maestro Alessandro Preziosi, che, dopo aver mangiato un omogeneizzato alla platessa “contaminato” (!), riesce miracolosamente a sentire i loro pensieri. Ma non sono meno “che ci faccio qui?” Matilde Gioli, Maria Di Biase, Cristiano Caccamo e un redivivo Nicolas Vaporidis.
Simon Kinberg
Il “Bond al femminile” è il progetto impossibile che in tanti hanno sempre voluto realizzare. Ci si mette qui un supercast (i premi Oscar Jessica Chastain, Penélope Cruz e Lupita Nyong’o, più Diane Kruger e Fan Bingbing) e un regista, Simon Kinberg, però scarsissimo: mai s’era visto un tale spreco di tali nomi. L’intrigo è stupidissimo, l’azione da fiction anni ’90 (detto, anche questo, con tutto il rispetto), i colpi di scena ridicoli. E le quote etnico/rosa fanno più manuale Cencelli del #MeToo che reale necessità artistica. Mescolato o shakerato che sia, un cocktail decisamente imbevibile.
Adrian Lyne
Altro giro, altra Ana de Armas. Il set galeotto per l’attrice cubana e Ben Affleck (anche qui tanto gossip e poco arrosto) è una specie di Gone Girl… gone bad. Lo specialista Adrian Lyne cerca di rinverdire i fasti degli eros passati (leggi: Attrazione fatale, Proposta indecente, Lolita, L’amore infedele – Unfaithful). Ma è invecchiatissimo, e anche il suo cinema sembra ormai fuori dalla storia. Tra Ben che alleva lumache (!) e Ana che si spoglia appena può, l’esito è disastroso. Povera Patricia Highsmith: ah, perché il film è tratto dalla celebre giallista. Peccato che non si veda.
Joseph Kosinski
Nello stesso anno in cui firma il magnifico Top Gun: Maverick, Joseph Kosinski gira uno dei titoli più inutili della stagione: potrebbe concorrere sia agli Oscar che ai Razzie e vincerli entrambi, cosa forse mai successa a nessun altro regista. Dal racconto Fuga dall’Aracnotesta del bravissimo George Saunders, un film distopico che non ha niente a che vedere con l’originale. E che “toppa” completamente il cast: Chris Hemsworth è assai poco credibile nei panni del miliardario tech dall’anima nerissima; e Miles Teller, anche lui tra i piloti addestrati da Tom Cruise, è scazzatissimo. Un film Netflix decisamente dimenticabile; un altro dei settemila che escono ogni anno sulla piattaforma, intendiamo.
Michel Hazanavicius
Perché rifare in salsa francese un gioiellino come One Cut of the Dead (da noi Zombie contro zombie) di Shin’ichirō Ueda? Basterebbe questa (retoricissima) domanda. Metteteci però Michel Hazanavicius, uno degli autori più sopravvalutati del mondo (con buona pace degli estimatori di The Artist) e soprattutto un regista che non si capisce mai cosa vuole fare. Stavolta tenta un’operazione “meta” alla Assayas (seh, magari) incomprensibile anche per i cinéphile più osservanti. Nonostante ciò, il film ha aperto l’ultimo Festival di Cannes: stendiamo un velo pietoso sulle conventicole (cit.) d’Oltralpe…
Anne Fletcher
Sentivamo la mancanza delle streghe Bette Midler, Sarah Jessica Parker e Kathy Najimi? È un’altra domanda retorica. Anche perché il primo capitolo, pur con tutto il bene che nostalgicamente gli vogliamo, non era esattamente un capolavoro del fantasy. Qui però l’operazione puzza proprio di “prendi i soldi e scappa”: sia da parte delle attrici che della Casa di Topolino. Che fa di tutto per aggiornare le avventure stregate ai tempi “corretti” (le bambine protagoniste sono afro e latine), ma perde completamente la magia. Direttamente su Disney+: e non è un caso.
Angus MacLane
Altro titolo per ragazzi, ma stavolta davvero intoccabile, è Toy Story. Dopo la meraviglia degli episodi 2 e 3, lo spin-off su Buzz Lightyear sembra pensato e realizzato solo per ragioni di merchandising. La origin story che gli viene creata tutt’attorno non fa ridere, non commuove, non serve a niente e a nessuno. Anzi, fa rimpiangere il cult planetario che il personaggio dell’astronauta buontempone aveva generato con una semplice battuta: “Verso l’infinito… e oltre!”. A volte, invece, è il caso di fermarsi prima. Il pubblico, in ogni caso, non ha risposto troppo generoso: una giustizia, ogni tanto, c’è.