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Il caos calmo di ‘Tre piani’: ecco com’è il nuovo film di Nanni Moretti

Dopo il ritorno a Cannes vent’anni dopo la Palma d’oro per ‘La stanza del figlio’, il regista romano arriva nelle sale con il suo primo lavoro tratto da un romanzo (dell’israeliano Eshkol Nevo). Una storia sull’equilibrio fragilissimo delle nostre vite, dove l’ironia lascia il posto alla pietà

Foto: 01 Distribution

Bisogna partire da qui. Dal tizio che esce e all’amico fa: «Ma cosa gli è successo?». Nulla di male in realtà. È vero, l’ironia è svanita, il sarcasmo ha lasciato posto alla pietà, alla comprensione: ma Nanni è ancora al suo posto, a prendersi 11 minuti di applausi (e standing ovation che nemmeno gli Azzurri) con questo spaccato borghese doloroso ma non disperato dove coglie l’equilibrio fragilissimo delle cose, il caos calmo di un’epoca smarrita.

Poi, d’accordo: Tre piani – a Cannes dove vent’anni fa (ultimo italiano) Moretti vinse la Palma d’oro con La stanza del figlio – divide: e continuerà probabilmente a farlo, quando uscirà al cinema il 23 settembre. Ma, seppure non sia esente da difetti, il film corale e polifonico del regista di Caro diario ha uno sguardo profondo e disincantato nel mettere in scena un’umanità sola, assente, logorata, prigioniera delle sue stesse ossessioni. Attraversato dal malessere, dal disagio, dal sospetto, quello di Moretti è un film fatto di colpe e di accuse infondate, di abbracci e separazioni, di strappi e nuovi inizi: l’affresco del tempo che siamo, tra responsabilità non differibili (come quella di essere genitori) e scelte che pesano (tremendamente) anche sulla vita degli altri. Il mondo in un condominio: tre piani, sì, ma anche tre movimenti, di cinque anni in cinque anni. Tra padri convinti che l’anziano vicino di casa gli abbia molestato la figlia, mariti che non sono mai a casa, famiglie che vanno in mille pezzi…

Ambientato a Roma (da Tel Aviv) il romanzo dell’israeliano Eshkol Nevo, di cui esalta le tematiche universali, Moretti favorisce i sentimenti: e, messo ordine tra le cose che non cambiano mai, gira un film, “prima che sia tutto diverso”, sulla necessità di perdonare e sul dovere di perdonarsi. Che la vita spesso è un abito nero, ma a volte anche uno a fiori.

Elena Lietti e Riccardo Scamarcio in ‘Tre piani’ di Nanni Moretti. Foto: 01 Distribution

C’è sostanza, partecipazione: piuttosto, dove il film a volte inciampa è nella disomogeneità della recitazione (il cast è all star: da Margherita Buy a Riccardo Scamarcio, dallo stesso Moretti ad Alba Rohrwacher, passando da una lunga serie di altri interpreti: ma non tutti sono allo stesso livello) e, soprattutto, in qualche passaggio della sceneggiatura che suona come “stonato”, poco fluido, un po’ meccanico. Colpa forse del fatto che per la prima volta il regista romano utilizza un soggetto non suo: e per quanto lo riadatti non ne abbia un controllo davvero completo.

Eppure, mentre la realtà improvvisamente irrompe (la sequenza dell’assalto a un centro di raccolta di abiti per migranti), Tre piani in molti casi sa essere potente, presente: come nella folgorante scena iniziale, una vera frustata sullo schermo, o nella modernità della rappresentazione femminile, con le donne sempre più mature degli uomini e, rispetto a loro, concilianti, portate a risolvere i problemi invece di moltiplicarli.

Ma tutto il film celebra l’incontro, si muove verso la riappacificazione, come se l’ex autarchico Moretti avesse scoperto che nessuno si salva da solo: facendo leva su un senso di comunità che credevamo perduto. O di cui, peggio, eravamo convinti di non avere bisogno.

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