Molto prima che nascesse Katniss Everdeen, futura vincitrice degli Hunger Games e icona rivoluzionaria di Panem, c’era Lucy Gray Baird, una ragazza, pure lei proveniente dal Distretto 12, che si trovò reclutata come tributo nell’annuale marcia della morte organizzata per intrattenere quel mondo fascista. Aveva una bella voce, una spina dorsale d’acciaio e abbastanza ingegno da avere tutte le probabilità a suo favore per la decima edizione degli Hunger Games. All’epoca, però, erano un po’ diversi: nessuno aveva ancora capito come impiegare vespe o mandrilli geneticamente modificati, e gran parte dell’azione era relegata in un’arena adatta ai gladiatori invece che su un’isola meccanica. Ma il progetto per i futuri tornei era sostanzialmente già pronto: 24 ragazzi, due per distretto, solo uno torna a casa vivo. Questo però è il primo anno in cui i giochi assegnano dei mentori a ciascuno dei tributi. E Baird è stata fortunata sulla scelta di chi l’avrebbe aiutata ad affrontare questa competizione letale: un cadetto militare diciannovenne bello ed empatico di nome Coriolanus Snow….
Lo so, i nomi bastano per esaltarvi o evocare enormi punti interrogativi sopra la vostra testa. Come tante altre trilogie Young Adult precedenti, i libri di Hunger Games scritti da Suzanne Collins sono riusciti a far affezionare un pubblico accanito di lettori a una mega saga di film, trasformando quella storia in un fenomeno pop mainstream. Chiunque sa chi è Katniss Everdeen. E, come molti franchise del grande schermo, si è un po’ incasinato nella sua continua espansione e ha iniziato a perdere il senso della trama (letteralmente e figurativamente). Era ovvio che, quando Collins ha pubblicato il romanzo prequel nel 2020, Hollywood avrebbe risposto all’appello. Ma l’“ultimo” film Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte 2 è uscito nei cinema nel 2015. Parliamo di quasi un decennio in anni umani, oltre un secolo in anni dei cani e diversi millenni in anni di franchise. Quanto può ancora tirare? E in un mondo in cui nuovi universi cinematografici sembrano nascere di continuo, i fan troveranno di nuovo spazio per il regno pop distopico di Panem?
Quindi è grazie a Plutarch Heavensbee se Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, appena arrivato nelle sale, inquadra almeno l’angoscia adolescenziale, l’atmosfera da apocalisse imminente e le gesta vertiginose ed esagerate della saga originale. Ambientato circa sessant’anni prima che Katniss si offra volontaria come tributo, questo capitolo zero ci riporta al mondo familiare, anche se momentaneamente dimenticato, dell’immaginaria nazione totalitaria creata da Collins. Francis Lawrence, che ha diretto tutti i film di Hunger Games tranne il primo, è tornato dietro la macchina da presa. I plebei sembrano ancora usciti dal portfolio di Dorothea Lange. I patrizi si vestono ancora come se fossero appena usciti dal Met Gala per partecipare a RuPaul’s Drag Race. I media sono ancora tossici e odiosi, perché l’arte imita la vita. I giochi devono continuare. Sono cambiati solo i nomi: incredibilmente lunghi, praticamente impronunciabili.
Fatta eccezione per Coriolanus Snow, ovvio. Dimenticate il cattivo snob, barbuto e saggio di Donald Sutherland della trilogia originale. Ecco la versione giovane, sexy e non ancora corrotta del futuro presidente, che ha il volto di Tom Blyth (Billy the Kid). Snow ha visto i “giorni bui” della rivolta dei distretti fare a pezzi la sua famiglia, ma la promessa fatta all’Accademia ha impressionato molti dei pezzi grossi. In particolare la dottoressa Volumnia Gaul (Viola Davis), capo creatrice dei giochi e sociopatica dal ghigno d’ordinanza. Se la protetta di Snow dovesse vincere, Coriolanus potrà avere una borsa di studio che permetterà a lui, alla nonna malata (Fionnula Flanagan) e a sua cugina Tigris (la Hunter Schafer di Euphoria) di vivere. Quando scopre che farà da mentore a Lucy Gray Baird (Rachel Zegler) del Distretto 12, pensa che gli sia andata male. Poi la vede mantenere la calma durante una caotica cerimonia della “Mietitura” e intonare una famosa canzone davanti alla telecamera. Lei ha i numeri per conquistare la folla. E lui può lavorare su questo.
Dopo aver posizionato i pezzi degli scacchi nelle rispettive caselle, il film si dedica alla consueta attività di spostarli, facendoli scontrare l’uno con l’altro e cadere sistematicamente fuori dalla scacchiera. C’è un amico di Snow, Sejanus Plinth (Josh Andrés Rivera), che rappresenta sia il cameratismo che il conflitto morale. Ci sono altri cattivi da prendere in giro, vale a dire il preside ubriaco della scuola Casca Highbottom (Peter Dinklage), che ha un conto in sospeso con Snow, e Lucretius Flickerman (Jason Schwartzman), un volto televisivo che ha un conto in sospeso con chiunque non lo conosca. (Entrambi continuano la grande tradizione di baffi e barbe di Hunger Games, con quelli sottili di Schwartzman che rendono omaggio a John Waters.) C’è un vecchio carro armato pieno di serpenti velenosi che dà grandi soddisfazioni. Si parla di fascismo e ribellione e dei ricchi che si prendono gioco di chi non ha nulla, una preoccupazione costante per questo franchise che adesso sembra ancora più urgente. Ci sono ragazzini e bambini che vanno incontro a una fine particolarmente raccapricciante, ricordandoci che, anche durante il boom Y.A. sci-fi degli ultimi 15 anni, questa serie è sempre stata particolarmente brutale e spietata nell’immaginare un mondo in cui la morte di giovanissimi funge anche da arma di distrazione di massa e benedizione per gli ascolti dei reality televisivi.
Si tratta di un altro punto fermo di Hunger Games, ovviamente, e questo prequel imperfetto ma sorprendente sa che interessa anche a chi non ha letto i libri. Ma nel suo cuore oscuro, La ballata dell’usignolo e del serpente parla davvero della creazione lenta e metodica di un mostro. Questa è un’altra origin story di un cattivo, a cui viene riservato lo stesso trattamento di Darth Vader, Hannibal Lecter e moltissimi altri grandi villain delle pietre miliari della cultura pop del passato. Che qualcuno morisse dalla voglia di sapere come Coriolanus Snow si sia trasformato nel crudele tiranno dell’era Katniss o no, è quello che ci racconta il film, tra un Easter egg e una citazione.
Per fortuna Blyth è abbastanza bravo e intelligente da non impegnarsi nell’arricciare i baffi – dopotutto, quello è il lavoro di Schwartzman – o nell’anticipare gli orrori a venire. Come il film stesso, la sua performance non ha bisogno di scoprire l’acqua calda su come un uomo buono possa diventare malvagio. Ma sia l’attore che La ballata sembrano rispettare i fan e il franchise, non solo in termini di investimenti ma anche nel costruire e vivere nel momento invece che pensando al futuro. E in questa epoca di blockbuster cheap fatti solo per gli incassi e di universi cinematografici sempre più legati a nodi gordiani, questo è il meglio che si può sperare.