‘Il seme del fico sacro’, la tragedia di un uomo ridicolo e di un Paese disgregato | Rolling Stone Italia
Resistenza

‘Il seme del fico sacro’, la tragedia di un uomo ridicolo e di un Paese disgregato

È impossibile non pensare all’applauso di Cannes al regista iraniano Mohammad Rasoulof, rinchiuso prima nel carcere di Evin (lo stesso di Cecilia Sala) e poi condannato a 8 anni per il dissenso espresso nel film. Ma sarebbe anche ingeneroso, ora, fermarsi solo a questo, di fronte a un’opera come la sua

‘Il seme del fico sacro’, la tragedia di un uomo ridicolo e di un Paese disgregato

Mahsa Rostami, Misagh Zareh e Setareh Maleki in 'Il seme del fico sacro'

Foto: Neon/Lucky Red

È un labirinto, l’Iran. Una benda sugli occhi. Una richiesta inammissibile inviata all’ufficio degli oggetti (e degli affetti) smarriti. È un Paese orfano, soprattutto: dove figlie e figli non possono più riconoscere un legame – né ideologico né morale – con i propri genitori. Né perdonare la loro complicità, la loro vigliaccheria, la borghesissima (in)comprensibile comodità di chi sta dall’altra parte, ingranaggio di un meccanismo che non può (e non vuole) controllare, e firma e tace mandando al patibolo l’utopia. Già, il sonno della ragione genera mostri: anche nel salotto di casa. Dove si rischia di diventare giudici della propria famiglia, ma mai, proprio mai, di se stessi. 

Non posso parlare del Seme del fico sacro (nelle sale dal 20 febbraio) senza pensare all’applauso, al boato senza fine, che l’ha accompagnato alla prima mondiale al Festival di Cannes dell’anno scorso, dove film e autore erano arrivati rocambolescamente, in fuga, entrambi vivi, orgogliosi, arrabbiati, esausti, commossi. Tremò la sala quel giorno, e più che un battere le mani fu un abbraccio, uno stringersi, un riconoscersi esuli tra gli esuli, distanti eppure mai così vicini. Ma sarebbe ingeneroso, ora, fermarsi solo a questo aspetto emotivo, perché la portata della pellicola va molto al di là della vicenda personale – ed emblematica – del regista Mohammad Rasoulof, rinchiuso prima nel carcere di Evin (lo stesso di Cecilia Sala) per sette mesi e poi condannato a 8 anni di reclusione, alla fustigazione e alla confisca dei beni, per il dissenso espresso in film che il suo Paese si è ben guardato dal lasciare mai proiettare.

Il seme del fico sacro di Mohammad Rasoulof - Candidato Oscar Film Internazionale | Trailer ITA HD

Ma quel lungometraggio che il regime teocratico avrebbe voluto far tacere diventa ora lo specchio in cui invece è costretto a riflettersi: un implacabile thriller etico e politico dove lo scontro generazionale segna uno strappo non più ricucibile, il punto di non ritorno di uno Stato destinato a implodere, così come l’istituzione famiglia, metafora della profondissima crisi e degli scontri che divampano fuori dalle quattro mura in cui è rinchiusa a chiave. 

C’è il primo piano dell’orrore e il dramma di un potere al di sotto di ogni sospetto nel Seme del fico sacro (l’albero soffoca e porta alla morte quelli vicini), che, nell’Iran delle proteste studentesche represse nel sangue e di “Donna, vita e libertà”, mette in scena la tragedia di un uomo ridicolo, neo promosso giudice istruttore che un giorno scopre che la sua pistola d’ordinanza è sparita: chi può averla presa? I sospetti inevitabilmente cadono sulle figlie e sulla moglie…

La responsabilità, la colpa, il gioco perverso della verità e della menzogna: aggirata la censura (uno scherzetto che gli è costato l’esilio), Rasoulof guarda dentro l’abisso della paranoia riuscendo attraverso un classico espediente di genere (lo smarrimento di un’arma) a mostrare in modo lucido e spietato la disgregazione di un uomo e di un Paese che si sono spinti troppo oltre per essere salvati. Premio della giuria a Cannes, candidato all’Oscar per il miglior film internazionale, a Il seme del fico sacro avrebbe forse giovato qualche minuto in meno (2 ore e 47 minuti in totale, e il twist arriva lungo) e qualche taglio in più: ma lo sguardo del figlio – l’autore – verso il padre – il suo Paese – ha dentro lo sgomento di chi non ha più voce per perdonare.