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‘Io sono ancora qui’ fa scoprire (finalmente) a tutti la grandezza di Fernanda Torres

In Brasile era già una star, ora l’attrice conquista l’attenzione globale grazie al bellissimo film di Walter Salles. Che mischia la Storia drammatica del suo Paese con un ritratto di donna indimenticabile

Foto: BIM Distribuzione

Istituita con un colpo di Stato nel 1964, la Quinta Repubblica brasiliana era in vigore da quasi sette anni quando i funzionari governativi si presentarono a casa di Rubens Paiva. Era stato un ex deputato che all’epoca si era espresso a favore del cambio di regime, ma ora Paiva era fuori dalla politica e lavorava come ingegnere a Rio de Janeiro. Tuttavia, gli uomini avevano alcune domande da fargli riguardo a gruppi di sinistra che potevano o meno essere coinvolti in un recente rapimento. Gli chiesero di accompagnarli alla stazione di polizia locale. Era una procedura di routine, gli assicurarono. Paiva si mise giacca e cravatta, salutò la moglie e uscì di casa con i funzionari. La sua famiglia non lo rivide mai più.

Io sono ancora qui, il dramma politico del regista brasiliano Walter Salles (nelle sale italiane dal 30 gennaio, ndt), ricrea questo momento con un senso di distacco inaspettato, invece di condurre il pubblico verso la necessaria reazione emotiva: anche se non si conosce la storia dei Paiva, si percepisce immediatamente che qualcosa di devastante sta accadendo proprio davanti ai propri occhi. Quando Rubens (Selton Mello) viene condotto fuori da casa sua, dopo circa 30 minuti di film, abbiamo già trascorso molto tempo con lui, sua moglie Eunice (Fernanda Torres) e la loro nidiata di allegri figli. L’affettuosa coppia intrattiene gli ospiti nella sua bella casa, condivide pranzi e giornate in spiaggia con i bambini, manda la figlia maggiore, Vera (Valentina Herszage), a vivere con alcuni amici a Londra, balla con entusiasmo le melodie tropicália in salotto. La loro vita è bella, finché non viene interrotta da sconosciuti che bussano alla loro porta e stabiliscono immediatamente un bivio C’è un prima e c’è un dopo.

Grande successo in patria e candidato all’Oscar su diversi fronti, Io sono ancora qui lascia saggiamente intuire la posta in gioco, prendendosi tutto il tempo necessario per arrivare alla tragedia e dando un’incredibile sensazione dello sconvolgimento che si verifica quando la violenza politica arriva letteralmente davanti alla porta di casa. Ma il film fa anche capire fin da subito chi è il punto focale di questa storia. Un disclaimer iniziale definisce la scena: Rio, 1970, “sotto la dittatura militare”. La prima persona che vediamo è Eunice, che galleggia sulla schiena nell’oceano e si gode un pomeriggio di sole. La prima cosa che sentiamo è il rumore di un elicottero militare che passa rumorosamente sopra di lei, intromettendosi nelle sue fantasticherie. Più tardi, mentre la famiglia scatta una foto insieme, Eunice guarda improvvisamente oltre la cinepresa, in lontananza. Nota alcuni camion pieni di truppe che passano per strada. Il suo sorriso vacilla. I Paiva sono ancora qui e i camion sono molto, molto lontani. Per ora.

Gli spettatori che non conoscono la portata di ciò che è accaduto in quel periodo buio della storia del Brasile riceveranno un corso accelerato, e dato il modo in cui gli attuali poteri del Paese hanno espresso “nostalgia” per quei giorni di oppressivo governo militare, è un promemoria necessario per tutti di come i “bei tempi andati” possano essere facilmente strumentalizzati. La cosa più importante per la maggior parte degli spettatori, tuttavia, sarà probabilmente la scoperta dell’attrice al centro di tutto questo. Fernanda Torres è una star del cinema e un patrimonio nazionale in Brasile, un talento importante erede di un altro monumento del mondo dello spettacolo locale: sua madre è Fernanda Montenegro, un’icona altrettanto amata che è stata la prima interprete brasiliana a essere candidata all’Oscar come miglior attrice grazie al suo ruolo in Central di Brasil del 1998.

Gli amanti delle curiosità prendano nota: anche quel film era stato diretto da Salles e, pur non avendo vinto l’Oscar, Montenegro si è aggiudicata un Golden Globe, lo stesso premio che Torres ha vinto qualche settimana fa per Io sono ancora qui. E la stessa Montenegro appare nel finale di questo film per interpretare Eunice da anziana.

Dire che Fernanda Torres si è calata nel ruolo di Eunice Paiva, che ha trascorso buona parte della sua vita cercando di chiedere conto della scomparsa del marito, sarebbe un eufemismo. Questo film è una vetrina per lei tanto quanto un dramma basato su una storia vera, anche se rispetta sia l’enormità che il peso emotivo dell’esperienza della vera Eunice. Ma è il tipo di ruolo che permette a una persona del suo calibro di fare la differenza, e dà a Torres la possibilità di onorare una figura pubblica che è stata anche una combattente della resistenza (la scomparsa di Rubens ha fatto notizia a livello internazionale); che è stata una madre che si è presa cura dei suoi figli e ha fatto del suo meglio per proteggerli dalla perdita personale e dalla tempesta più grande; che viene messa alla prova quando anche lei e sua figlia Eliana (Luiza Kosovski) vengono prelevate per un interrogatorio, ed Eunice viene trattenuta per quasi una settimana; che sacrifica tutto in nome della famiglia e della scoperta di ciò che è successo dopo il saluto del marito.

E più tardi, nel primo dei due flashforward, Torres mostra cosa succede quando la chiusura cercata per decenni arriva finalmente, inevitabilmente. Ciò che è notevole è il fatto che non esagera mai, né si lascia andare a facili istrionismi e strappi di vesti, anche quando il film stesso diventa molto pesante nella seconda metà. Si tratta di un’interpretazione straordinariamente ricca di sfumature, e non è importante se questo assicurerà a Torres una nomination all’Oscar come miglior attrice protagonista o meno. Certo, assicurerà un maggior numero di occhi su quello che avrebbe potuto essere un film che, pur avendo avuto un enorme successo in Brasile, sarebbe potuto svanire nel rumore bianco di fondo che caratterizza la mania della corsa all’oro di questi primi mesi invernali. Ma Io sono ancora qui è una testimonianza di Torres a prescindere. In patria ha già conquistato l’attenzione dei connazionali grazie all’incredibile lavoro che svolge in questa commovente, emozionante ode alla vita durante la dittatura. Ora merita il plauso di tutto il mondo.

Da Rolling Stone US

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