Jack Nicholson racconta Marlon Brando | Rolling Stone Italia
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Jack Nicholson racconta Marlon Brando

Il 28 luglio 1954 usciva nei cinema americani 'Fronte del porto', per cui la leggenda di Hollywood vinse il premio Oscar. Dopo la sua morte nel 2004, Nicholson scrisse questo ricordo per 'Rolling Stone'

Jack Nicholson racconta Marlon Brando

Marlon Brando in 'Fronte del porto'

Foto: Columbia Pictures

Marlon Brando è uno degli uomini più grandi del XX e XXI secolo, e noi comuni mortali siamo obbligati a smetterla con le stronzate e a dichiararlo a voce alta. Quest’uomo è stato l’idolo di tutta la mia vita professionale, e non credo di essere l’unico. L’impatto dei film è enorme, e il suo impatto sul cinema è stato più grande di quello di chiunque altro. Mr. Brando sarà qui per sempre – e non c’è altro da aggiungere. Forse l’idea non gli piace granché, ma sarà qui per sempre comunque.

Io faccio parte della prima generazione che ha idolatrato Marlon Brando, ma di certo non dell’ultima. Quando ha iniziato la sua carriera, negli anni ’50, andavo al liceo e l’ho visto cambiare le regole del gioco. Da ragazzo abitavo in New Jersey, e come lavoretto estivo facevo l’assistente in un cinema della zona. Ho visto tutte le proiezioni di Fronte del porto – due volte ogni sera. Era impossibile levargli gli occhi di dosso. Mi aveva stregato.

Per quanto riguarda la recitazione, dipende tutto da che tipo di uomo sei. Sì, Marlon aveva perfezionato uno stile, ma quando sei un ragazzino seduto in sala con la bocca spalancata non sai niente di stile o metodo. Sai solo che stai guardando qualcosa di speciale, e nessuno è mai stato più speciale di Brando. Possedeva una bellezza fisica straordinaria e un potere difficile da definire, ma assolutamente innegabile. Forse lui vi direbbe che ha visto la stessa cosa in Paul Muni, ma la verità è che Brando era diverso. Il pubblico lo sapeva. Secondo me, nessuno ci è mai andato vicino.

Prima ancora di pensare di fare l’attore, Marlon Brando mi aveva già influenzato profondamente. È difficile per chi non era con noi all’epoca capire l’impatto che Brando aveva sul pubblico – per non parlare degli attori, è sempre stato il santo patrono degli attori.

Quando mi sono trasferito a Ovest, sono stato assunto nell’ufficio del personale della Metro Goldwyn Mayer. Ho accettato perché volevo conoscere le star del cinema. Ricordo ancora il giorno in cui incontrai Marlon per la prima volta. Ora, dovete sapere che chi lavorava lì era abituato a vedere degli attori. Ma quando si è presentato Marlon, le tapparelle di tutta la zona si sono alzate e tutte le segretarie avevano appoggiato la faccia sul vetro. Era una vera e propria attrazione.

La prima volta che ho visto Marlon Brando all’opera è stato durante i test del trucco per La casa del tè alla luna d’agosto. L’ho notato in fondo alla strada e ricordo di aver pensato “Ma chi è quello?”. Brando interpretava un personaggio asiatico. Non l’avevo nemmeno riconosciuto. Qualunque fosse il ruolo, era straordinario. Su quel set, gli attori e la troupe si distinguevano con dei kimono particolari, e c’è voluto un po’ prima che riuscissi a infiltrarmi. Nessuno mi avrebbe impedito di osservare Marlon Brando da vicino.

Molto tempo dopo è diventato il mio vicino di casa a Los Angeles e lo è stato per trent’anni. Non mi sento a mio agio a chiamarlo amico – cavolo, è Brando –, ma abbiamo condiviso più che un vialetto. Era un vicino perfetto, un tipo fantastico sempre pronto ad aiutarti. Gli piaceva avere un suo spazio – piace anche a me – ma come ha detto tante volte, ci guardavamo sempre le spalle. In trent’anni si attraversano tante fasi, ma non ho mai discusso o litigato con lui. Certo, Brando dà nuovo significato alla frase “Un buon recinto fa un buon vicino”. Potrei scrivere un romanzo solo sul nostro cancello. È sufficiente dire che attraverso quel cancello è passata un sacco di vita.

Conservo gelosamente le conversazioni che abbiamo avuto insieme. È un uomo brillante e dalla mente eclettica. Era brutalmente onesto, e aveva un punto di vista insolito su più o meno ogni cosa. Era anche molto divertente. La festa preferita di Marlon Brando è il primo aprile, e credetemi, ha combinato un paio di bei casini a mie spese.

Alcuni di questi scherzi dovranno restare privati. Sono stato addestrato per tutta la vita a non parlare molto di Mr. Brando – è così che voleva lui, e così è sempre stato. È roba privata. Ma posso dire che il miglior Pesce d’Aprile che mi ha mai fatto prevedeva con una lettera molto seria. Quand’è successo eravamo già parecchio amici. Mi scrisse dicendo che avrebbe venduto la sua casa a qualcun altro. Non ricordo esattamente a chi, ma era una persona scelta accuratamente, perché sapeva che mi avrebbe messo a disagio. Secondo una nostra amica comune, Marlon non ha mai smesso di ridere per quella volta in cui mi ha fatto andare fuori di testa.

L’unico modo che avevo per assicurarmi di piacergli, era continuare a chiamarlo “bud” (amico, ndt) quando parlavamo al telefono. Era piuttosto presuntuoso da parte mia – e nessuno vuole fare il presuntuoso con Marlon –, perché solo la sua famiglia lo chiamava così. Ma in qualche modo me l’ha fatta passare. Credo fosse un trabocchetto.

Per quanto mi riguarda, l’esperienza più difficile che ho vissuto con Brando è arrivata quando abbiamo girato Missouri. Avevamo parlato a lungo di mettere su un progetto insieme, ma quello è l’unico film in cui ci siamo riusciti. Credo che Marlon non si sia mai divertito come su quel set. Gli piacevano tutte le persone coinvolte. Eravamo in Montana. Lui viveva nel ranch dove giravamo il film. Gli piaceva stare nella natura. Era nel suo ambiente.

Io invece ero un disastro. Da qualche parte, nelle profondità del mio subconscio, c’era sempre stata l’idea: “Un giorno lavorerai con Marlon Brando e farai bene a essere pronto, Jack”.

Sono partito bene. Nella nostra prima scena, lui era il killer e io ero nascosto. Per quanto mi sentissi intimidito, quei sentimenti funzionavano per quella scena. Poi, una sera, ho fatto un errore: ho visto i giornalieri di Brando. C’era una scena in cui era seduto con John McLiam. Ho visto nove o dieci versioni diverse di quella sequenza. Ognuna era un’opera d’arte, un cortometraggio. Ero sprofondato nella sedia, sconvolto dalla varietà, dalla profondità, dall’articolazione silenziosa del significato di quella scena. Era tutto lì, una delle cose più sconvolgenti che avessi mai visto.

Il giorno dopo mi sono svegliato completamente distrutto. La catastrofe mi ha colpito in pieno durante la notte: “Porca troia, ma chi ti credi di essere, Jack? Sei in un film con Marlon Brando!”. Mi aveva annientato. Ho pensato, “forse dovrebbero impiccarmi per essere stato così pazzo da pensare di poter vivere nello stesso paese di questo tizio, figuriamoci recitare nello stesso film”. Arthur Penn, il nostro regista, ha dovuto riportarmi alla realtà e convincermi a continuare con le riprese.

Quindi dico davvero quando scrivo che non saprei come parlare a chi non apprezza Brando. Se c’è qualcosa di scontato nella vita, per me è questo. Gli altri attori non vanno in giro a discutere chi è il miglior attore al mondo, perché è ovvio: Marlon Brando.

Basta guardare i film, è tutto lì. Fronte del porto è probabilmente il meglio di ogni epoca. Ed è un peccato che non sia qui per fare l’orazione funebre di Giulio Cesare. Quella performance ha cambiato la percezione di quello che gli attori americani pensavano fosse possibile fare con Shakespeare, che è un’impresa di per sé importante. Non era eccezionale solo nei grandi film, penso spesso alla sua interpretazione in un prodotto meno riuscito, La Contessa di Hong Kong, l’ultimo lungometraggio diretto da Charlie Chaplin. Poi c’è Viva Zapata o Riflessi in un occhio d’oro. E, naturalmente, c’è sempre Il Padrino. La verità è che non ci sono abbastanza ruoli che mettono davvero alla prova un uomo del suo talento. Penso che sia per questo che ha avuto l’istinto di accettare Il Padrino e fare la Storia.

Ma quasi tutto ciò che ha fatto, a mio parere, è stato rivoluzionario. Mi sentivo stupido a usare l’approccio naturalista dopo di lui, perché pensavo, “Beh, è già stato fatto”. Ricordo di aver pensato che dovevo trovare un altro modo per rapportarmi a questo lavoro se avessi avuto il mio piccolo angolo di mercato.

Tra gli artisti paragono Brando a Picasso. Ho visto i primi disegni e altre sue opere nei musei di Barcellona. Ho sempre pensato che se avessi preso la prima cosa che Picasso ha mai fatto e tutto ciò che ha dipinto fino al giorno della sua morte, avrei potuto dimostrare che alcune persone sono incapaci di non essere brillanti. Quando è così, è molto difficile per loro valutare la propria posizione. Penso che Marlon sapesse di essere il più grande, ma non credo che si sia soffermato su questo, nè me l’hai mai detto. Eppure c’era un motivo se la gente si aspettava così tanto da lui, anche che lavorasse fino alla fine. E credetemi, c’erano volte in cui mi diceva che voleva lavorare e non poteva. Mi disturba che, verso la fine, tutti si sentissero in diritto di parlare del suo peso. Come ho già detto, quello che il signor Brando fa per vivere non c’entra nulla con quello.

Per me Marlon Brando è stato il più grande di sempre. È evidente. Come ha detto Bum Phillips: se non è l’unico del suo livello, ci manca davvero poco.