Corriere Tv, non so quanti anni fa, un video che poi avrei citato (continuo a citare) facendo quella frase mia. Ci sono Paolo Virzì e Micaela Ramazzotti intervistati da Paolo Mereghetti per non so quale loro film, Ramazzotti a un certo punto cita non ricordo quale romanzo o film o autore, Mereghetti la guarda stranito, lei commenta prontissima: “Io i miei due libri li ho letti!”. È un misto di candore e consapevolezza, naïveté e lucidità, i segni che l’attrice, Marilyn di borgata con però molta più scaltrezza e coscienza, ha portato in quasi tutti i suoi personaggi, molti nei film con Virzì, non sto nemmeno a dirvi quali, li sapete.
Li porta, quei segni, pure nel suo esordio alla regia, Felicità, premiato dal pubblico con un Leone nella sezione Orizzonti Extra dell’ultima Mostra di Venezia e dal 21 settembre nelle sale. Micaela Ramazzotti i suoi due libri li ha letti, i suoi due film li ha visti, e però, in questo debutto che somma molte cose del suo passato (da donna, da attrice, da osservatrice), trova un tocco suo, un segno appunto, da autrice immediata, subito pronta.
Lo dicono i suoi attori (stupendi: Max Tortora, Anna Galiena, Sergio Rubini, Matteo Olivetti): Micaela ti porta nel suo mondo e lì stai, senza fatica, anche se è una débutante. Lo stesso succede allo spettatore, subito buttato dentro la storia di Desiré (Ramazzotti, che si è scelta un nome perfetto), assistente parrucchiera sui set del cinema italiano con un fidanzato borghese, genericamente intellettuale e ovviamente frustrato (Rubini) che le vale come riscatto sociale e culturale ma anche come eterna reminiscenza di quello che è sempre stata e forse sempre sarà, cioè la figlia di genitori (Tortora e Galiena) ingombranti, ignoranti, cafoni, emotivamente spietati, di cui continua ad assorbire le brutture. In mezzo, un fratello (Olivetti) che lotta contro la depressione e che solo lei riesce a comprendere, per gli altri è “giovane e bello”, deve solo darsi una mossa – e portare a casa i soldi che il babbo, aspirante cantante/conduttore/artista “atrecentosessantagradi”, non è mai riuscito a fare.
La Ramazzotti attrice nel film parla un po’ come l’Elide Catenacci di C’eravamo tanto amati, dice cardioplasma invece di cardiopalmo, e si vede che la Ramazzotti regista ha in mente quei modelli lì, la sua “famiglia storta” (così la definisce lei) non è brutta né sporca ma certamente cattiva, per inettitudine, egocentrismo, piccineria. E affresca molto bene un mondo fatto non di terrazze ma di case popolari, ospedali sgarrupatissimi, tivù locali, strozzini di Fiumicino, gente disposta a tutto pur di avere la sua meritata – o così almeno pensa – Grande Occasione (straziante in accezione dinorisiana, a proposito di modelli, la scena di Tortora che si esibisce davanti al vero Giovanni Veronesi e alla sua troupe).
Quest’anti-Felicità è piena di sincerità, che forse è l’unica chiave possibile per debuttare alla regia con tanta passione e però senza troppa pressione, in questa stagione che curiosamente segnerà l’esordio di tante nostre attrici importanti (arriveranno, prossimamente, anche Paola Cortellesi e Margherita Buy). È piena della vera Ramazzotti e della Ramazzotti che sui set, fin da giovanissima, ha lavorato, ha imparato, ha rubato con, però, una sua strada (in)consapevolmente già in mente.
C’è tenerezza, in questo ritratto, ma mai assoluzione: i mostri, vecchi e nuovi, non sono solo i padri, nessuno è immune dall’egoismo che riversa sugli altri, dai mezzucci contrabbandati per stare al mondo (il sesso su tutti), dalle mosse meschine, dal sogno di una vita migliore (in campagna, al solito) che, se non sarà con te, sarà con qualcun altro, chi se ne importa, l’importante è sopravvivere noi, io, comunque da soli.
“Non è possibile”, mi diceva Micaela Ramazzotti l’ultima sera di Mostra, mentre nella gloriosa Sala degli Stucchi dell’Excelsior reggeva il suo Leone accanto ai “Leoni” Garrone, Lanthimos, autori già celebratissimi. È possibile sì, “io l’infelicità l’ho conosciuta ed è faticosa”, continuava lei, e quello invece era, finalmente, un lungo attimo di meritata felicità, l’accento sulla “a”.