Ho sempre colpevolmente sottovalutato il mio essere nata e l’aver vissuto la mia adolescenza a Bologna. Non le ho voluto bene, l’ho trattata male, gliene ho dette dietro di ogni per il rusco (leggi: il pattume) ovunque, il trasporto pubblico che fa pietà, i taxi che non si trovano, per quell’attitudine bolognese al “polleggio” (leggi: stare calmi, tranquilli e non perdersi in inutili affanni), per i fuorisede che credendosi in vacanza la riducono a un immondezzaio, tra bottiglie rotte, schiamazzi notturni e cani pulciosi. Mi sono lasciata condizionare dalla mia personale esperienza e le ho rinfacciato l’essere divisiva e settaria: al liceo dovevi scegliere da che parte stare, se tra “gli alternativi” (accidenti, l’ho scritto) o tra i fighetti, dopodiché non avevi scampo. Dovevi frequentare quei locali, vestirti in quel modo (in seconda obbligai mia madre a scucire il giocatore di polo a cavallo da una camicia di flanella Ralph Lauren perché «Sei matta, io a scuola con quella roba lì addosso non ci vado»), frequentare quella gente, pena l’accusa di far comunella con la fazione opposta.
Bologna in un certo senso l’ho conosciuta da adulta, leggendo libri, guardando film e documentari, scoprendo i personaggi che, nel passato e nel presente, l’hanno resa, per l’appunto, “Bologna” – per noi regaz semplicemente “Bolo” –, una città in cui «c’è una forza, c’è un bisogno, c’è una richiesta, c’è una creatività» che è impossibile cogliere se non ci si addentra nella sua storia artistica, politica e culturale. Alessandro Bergonzoni, all’inizio del documentario La piazza che verrà – Bologna e il cinema (in onda l’11 luglio su Rai Movie), dice di non amarla particolarmente, salvo poi smentirsi quando la racconta: «Mi viene in mente Gian Luca Farinelli, mi viene in mente Il Cinema Ritrovato, mi viene in mente il cinema in piazza, mi viene in mente il Lumière, mi viene in mente la Cineteca… mi viene in mente il bisogno di chiudersi al buio per vedere la luce». Per sessantadue minuti, Alessandro Bignami e Katia Nobbio, con la regia di Luca Postiglioni, scrutano la città attraverso lo sguardo di cineasti e autori che passano in rassegna gli incontri e i luoghi simbolici che hanno costruito l’immaginario e il valore della memoria, la Bologna dell’utopia, perennemente in piazza, tutti insieme.
Ci sono, oltre a Bergonzoni, Pupi Avati, Carlo Lucarelli, Cesare Cremonini, Renato De Maria, Wu Ming, Nicoletta Billi, Silvia Evangelisti e tanti altri; e ci sono pure i fantasmi che, anziché perseguitarla, vegliano su Bologna: quello di Lucio Dalla, quello di Umberto Eco, quello di Andrea Pazienza, quello di Francesco Lorusso, quello di Renato Zangheri. Come qualsiasi grande del Novecento che volge lo sguardo al passato, ascoltare Pupi Avati che ricorda l’amico Lucio Dalla è il momento più commovente: «Era un megalomane pazzo, diceva delle cose che lo prendevamo tutti in giro. Prevedeva delle cose sul suo futuro che avevano un’improbabilità totale. Al contrario, io ho scoperto che le persone che sognano, più è grande il loro sogno e più è probabile che accada. Forse è lui che mi ha educato a essere sfrontato nell’immaginare anche me stesso».
Bologna è una, nessuna, centomila: la città dove è nato il DAMS; la città dove nel 1977 gli studenti erano in rivolta per l’omicidio di Lorusso; la città di Radio Alice; la città dell’Arte Fiera; la città dove gli omarell il pomeriggio andavano in Piazza Maggiore e formavano dei capannelli in cui si discuteva di politica, cinema, teatro e musica; la città della strage del 2 agosto 1980; la città della sinistra; la città dei centri sociali, dell’Isola nel Kantiere e dell’Isola Posse All Star («Panico sei tu che giudichi e scegli le tue vittime i tuoi facili bersagli; no, è un prezzo che non posso pagare, mettilo nel culo quel dito inquisitore»); la città dei tortellini e delle tagliatelle; la città della Resistenza; la città dell’eccidio di Monte Sole; la città delle rassegne gratuite di cinema in piazza, sotto le stelle.
Bologna è una città che chiede a gran voce un racconto corale, e La piazza che verrà non soltanto riesce a dedicarglielo, ma lo trasforma in una struggente lettera d’amore che emoziona, tocca nel profondo e un po’ immalinconisce. O forse la malinconica sono io, che ho iniziato ad amare la mia città troppo tardi e ora vorrei recuperare tutti quegli anni persi distrattamente a venerarne altre senza rendermi conto che il cuore pulsante nonché il crocevia da cui tutto è passato era proprio Bolo, nel bene e nel male. Bologna che è gentile e perdona le mie sgarberie, Bologna con cui ormai abbiamo fatto pace.
Lungo l’autostrada da lontano ti vedrò
Ecco là le luci di San Luca
Entrando dentro al centro, l’auto si rovina un po’
Bologna, ogni strada c’è una buca
Per prima cosa mangio una pizza da Altero
C’è un barista buffo, un tipo nero
Bologna sai, mi sei mancata un casino