Se su Internet c’è una cosa che piace alla gente più dei gattini, sono i racconti che riguardano la droga (soprattutto se vengono dall’era Reagan, quando ogni addiction era severamente condannata). Perciò quando è stato dato l’annuncio di Cocainorso, il film di Elizabeth Banks (ora nelle sale italiane, ndt) su un orso coinvolto suo malgrado in un’operazione di contrabbando di droga, in tanti sui social hanno reagito nello stesso modo in cui avrebbe fatto un orso sotto effetto di coca, appunto: con estremo interesse ed eccitazione.
Descritto nelle note iniziali come “un thriller ispirato a fatti realmente avvenuti in Kentucky nel 1985”, Cocainorso è basato sulla storia vera di un trafficante di droga morto per un lancio con il paracadute andato storto dopo essersi buttato da un aereo che trasportava un ingente carico di cocaina. Lo sventurato orso in questione si ritrovò quaranta pacchi di cocaina precipitati all’improvviso nel suo habitat e morì di overdose.
Al di là del film (qui la nostra recensione, ndt), quello che vogliamo raccontare è tutto quello che sappiamo sulla vera vicenda dietro Cocainorso.
La storia ha inizio con la parabola di Andrew Carter Thornton. Figlio di una famiglia di allevatori di cavalli del Kentucky, diventa prima un ufficiale dell’Air Force e poi un agente di polizia specializzato nel ramo narcotraffico. Nel 1977, decide di dimettersi dal corpo di polizia di Lexington, Kentucky, per diventare un avvocato.
Ma quella vita nel nome della legge evidentemente non gli si addice granché: nel 1981 viene arrestato insieme ad altri 25 uomini per aver tentato di rubare delle armi dalla base militare di Fresno, California, e per aver cercato di far entrare negli Stati Uniti un carico di marijuana da oltre 450 chili. Un rinvio a giudizio datato 1980 riporta che Thornton fa parte di un gruppo di trafficanti di armi e droga ribattezzato “the Company”, nel quale sono coinvolti anche altri agenti di polizia del Kentucky.
Inizialmente, Thornton viene accusato di importazione di sostanze illegali, imputazione di fronte alla quale si pronuncia sempre innocente. Dopo aver lasciato lo Stato, viene ritrovato armato in North Carolina e viene dunque riportato in California, dove si ritrova a fronteggiare nuove accuse per traffico di droga. Grazie a un patteggiamento, viene condannato a soli sei mesi di carcere e al pagamento di una multa di 500 dollari; e ovviamente gli viene sequestrato il patentino di avvocato.
Ma la liaison di Thornton con il narcotraffico non finisce qui. L’11 settembre del 1985 il suo corpo viene ritrovato nel vialetto di una casa di Knoxville, Tennessee. Indossa un paracadute e si evince che stava trasportando 30 chili di cocaina, un carico del valore – si scoprirà poi – di 14 milioni di dollari. Ha indosso anche un giubbotto antiproiettile e, tra i suoi documenti, viene ritrovata anche la tessera del Miami Jockey Club. Più tardi, le autorità troveranno anche il suo aereo, un piccolo velivolo precipitato a 100 chilometri di distanza dal luogo in cui è stato rinvenuto il suo cadavere. Le autorità stabiliscono che l’uomo aveva cercato di gettarsi dall’aereo, ma che il suo paracadute non era riuscito ad aprirsi. Thornton aveva 40 anni.
In aggiunta alle bizzarre circostanze della sua morte, Thornton è anche noto per aver ispirato la battuta forse più cinica mai riportata in un atto di decesso: “Sono contento che il suo paracadute non si sia aperto” sono le parole del procuratore distrettuale che l’aveva accusato di traffico di marijuana nel 1981. Molti epigrammi sono stati trovati anche sul corpo di Thornton. Tra questi, quello che recita: “C’è un solo principio destinato a non cambiare mai: infliggere il maggior numero possibile di ferite, morte e distruzione sul tuo nemico nel minor lasso di tempo”. Non sorprende dunque sapere che Thornton si era fatto più di un nemico, nel corso della sua breve vita.
Nel 1987, due anni dopo la sua morte, le autorità accusano l’ex fidanzata di essere stata sua complice nel contrabbando di cocaina dalla Colombia al Tennessee, ma le accuse vengono ritirate quando un giudice stabilisce che la confessione della donna di essere parte di un cartello colombiano le era stata estorta tramite coercizione.
Qualche mese dopo la morte di Thornton, un cacciatore, nella Chattahoochee National Forest in Georgia, si imbatte nei resti di un orso bruno di 80 chili morto, si verrà a scoprire, dopo aver ingerito della cocaina pura al 95%. È ancora poco chiara la quantità di cocaina esattamente mangiata dall’orso; un’autopsia determinerà che ne aveva ingeriti solo tre o quattro grammi, ma la sacca che conteneva oltre 30 chili di droga era completamente vuota. “Il suo stomaco era interamente pieno di cocaina”, dichiarerà l’esecutore dell’autopsia. “Non c’è un solo mammifero sulla Terra in grado di sopravvivere a un fatto simile. Emorragia cerebrale, ipertermia, collasso dei reni e del cuore, infarto: dite una cosa qualsiasi, quell’orso l’ha subita”.
Ma la storia, incredibilmente, non finisce qui. L’orso viene imbalsamato e messo in mostra, per poi passare nelle mani di diversi acquirenti – inclusa, a un certo punto, la star del country Waylon Jennings – e quindi finire, nel 2015, come attrazione del Kentucky for Kentucky Fun Mall, dove viene soprannominato Pablo Escobar. “Direste che un Cocainorso non è adatto a tutte le età, ma i bambini lo adorano”, disse uno dei proprietari del centro commerciale. “Tutti vogliono una foto con Cocainorso”.
L’orso ha persino avuto un cameo in uno spot del centro commerciale un anno più tardi. Da lì al cinema il passo era inevitabile…