Il lupo cattivo di Shining
1980
C’è una cosa che il cinema del 1980 riesce a fare benissimo: mettere subito in chiaro che il decennio a seguire sarà ricco di film con scene assolutamente indimenticabili, ma a volte anche decisamente traumatizzanti. Prendete Shining, il capolavoro di Stanley Kubrick con il piccolo Danny che gira col suo triciclo nei corridoi dell’Overlook Hotel e le celeberrime (e defunte) gemelline Grady che appaiono così, di botto, prima che la stanza 237 apra del tutto all’orrore. Ma vogliamo parlare della faccia di Jack Torrance che sbuca dalla porta rotta a colpi di ascia giusto un momento prima? E poi quella frase: “Sono il lupo cattivo!” (che in inglese è l’improvvisato “Here’s Johnny!”, tormentone di allora negli States); i denti bianchissimi e gli occhi da folle di uno straordinario Jack Nicholson; Shelley Duvall (alias Wendy Torrance, la moglie) che grida con un coltellaccio in mano; noialtri che ci infiliamo sempre di più sotto le coperte. Per fortuna quell’anno ci pensano i Blues Brothers con Everybody Needs Somebody to Love a smorzare i toni. O, a pensarci bene, ad alzarli.
La profanazione dei Predatori dell’arca perduta
1981
Indiana Jones: finalmente una storia d’avventura che si addice a tutta la famiglia! Già, peccato che nel 1981 con I predatori dell’arca perduta Steven Spielberg sia lì per dirci anche un’altra cosa: grandi o piccini, nessuno d’ora in poi sfuggirà più a una buona dose di splatter. E infatti ecco che alle mille peripezie (tutto sommato) family friendly dell’affascinante archeologo (Harrison Ford) segue uno dei finali più truci di sempre, con la profanazione della preziosa reliquia (l’Arca dell’Alleanza) che diventa teatro di facce di nazisti che si sciolgono, bulbi oculari che crollano, fulmini in pieno petto e sangue a palate. Traumatizzati? Certo, ma anche gasatissimi. Non a caso il film fa incetta di premi (sette Saturn Awards, un BAFTA per la migliore scenografia e cinque premi Oscar, tra cui quello per i migliori effetti speciali), e segna il record d’incasso nel 1981 (circa 330 milioni di dollari in tutto il mondo). Più di tutto, però, dà avvio alla saga cinematografica di Indiana Jones, e a quella fandom sfegatata di bambini… e non.
La biciclettata nel cielo di E.T. – L’extraterrestre
1982
Chissà se Spielberg abbia mai pensato di aver un tantino esagerato con quella faccenda dei nazisti che si squagliano. Spoiler: di sicuro no, ma pensarlo dà quel tocco di romanticismo in più a E.T. – L’extraterrestre, il film che nel 1982 ci ha fatto piangere tutte le nostre lacrime mentre vivevamo la storia d’amicizia tra l’alieno E.T. ed Elliott Taylor (Henry Thomas), il bambino che prima lo trova, poi fa di tutto per aiutarlo non solo a tornare al proprio pianeta, ma anche a sfuggire agli agenti governativi che lo vogliono catturare. Da qui, il cestino della bici con E.T. infagottato in una coperta bianca, le gambe di Elliott (e amici) che si muovono veloci per pedalare più forte, e un inseguimento sulla terra che si trasforma in una biciclettata nel cielo, con le sagome dei ragazzini (e dell’alieno) che si profilano sullo sfondo di un sole al tramonto, e le note di un magistrale John Williams che, diciamolo, sono pura poesia. Un po’ come le “lacrime nella pioggia” che quell’anno accompagnano poco prima di morire le parole di Roy Batty (Rutger Hauer), il replicante di Blade Runner, al cacciatore di taglie Rick Deckard (Harrison Ford, ancora lui). Immortali.
L’allenamento di Flashdance
1983
C’è chi nel 1983 avrebbe voluto il piglio (e il fisico) di Alexandra Owens (una appena diciottenne Jennifer Beals), e chi mente. Sarà perché in Flashdance c’è tutto: dall’American Dream a un riscatto à la Rocky; dalla consapevolezza alla realizzazione di sé. Il tutto senza l’aiuto di nessuno (famiglia non pervenuta). E poi c’è quella scena dell’allenamento di Alex, quando partono le primissime note di Maniac e il regista Adrian Lyne inquadra i piedi che vengono fasciati, le gambe che si muovono veloci, la cazzimma che si sprigiona da ogni centimetro di corpo nel chiaroscuro. In pratica: uno sguardo sulla nuova libertà delle donne, e pure a ritmo – “She’s a maaaniac! Maaaniac!” – decisamente anni ’80. Ed è finita così: che ci siamo trovate tutte a provare a muoverci come Alex, in una pessima performance. Ma mai come quella di nostro fratello che, una stanza più in là, imitava il Tony Montana di Scarface gridando: “Salutate il mio piccolo amico!”.
Il Sedgewick Hotel di Ghostbusters – Acchiappafantasmi
1984
L’estate del 1984, quando andare al cinema significa imparare a mettere la cera, togliere la cera (cit.), con Karate Kid – Per vincere domani; o ascoltare una straordinaria colonna sonora (di Ennio Morricone) mentre si sbircia Deborah insieme a Noodles in C’era una volta in America; o, ancora, assistere all’esplosione di un mostriciattolo in un microonde, nella cucina dei Gremlins. E perché no, persino accalappiare dei fantasmi insieme ai Ghostbusters, con le loro tutone grigie, gli zaini protonici e la Ecto-1 che sfreccia per le strade di New York. A pensarci bene, quella è anche la volta in cui finiamo (di nuovo) in un hotel, anche se non è l’Overlook di Shining, bensì il lussuoso Sedgewick. Peccato sia infestato da Slimer, un orribile e ingordo ectoplasma. E non si sa se il disgusto che proviamo in quel momento sia più per la bocca enorme del fantasma o per il liquido appiccicoso che ricopre Peter Venkman (Bill Murray) quando ci entra in contatto. Ma alla fine di quella scena, siamo tutti d’accordo: dobbiamo assolutamente rifarlo.
Il primo viaggio nel tempo di Ritorno al futuro
1985
Cos’è il cinema degli anni ’80 senza Ritorno al futuro? Perché oggi si fa presto a dire che il primo capitolo dell’omonima trilogia sia un vero e proprio capolavoro di quel decennio, ma il fatto è che già quando uscì, nel 1985, il film di Robert Zemeckis ottenne un tale consenso da consacrarlo subito a cult. D’altronde, chi non si ricorda la scena dell’esperimento del primo viaggio nel tempo? Con la DeLorean DMC-12 che, comandata a distanza da Emmett “Doc” Brown (Christopher Lloyd), viene fatta sfrecciare sull’asfalto nel tentativo di inviarla (cane compreso) nel futuro; Marty McFly (Michael J. Fox) con la telecamera in mano, e lo sbigottimento che gli fa smettere di riprendere l’esperimento; le fiamme che divampano e la targa che rimane sull’asfalto. Certo, avete ragione: il 1985 è anche l’anno dei Goonies. Ma la confessione (indimenticabile) di Chunk nulla può contro la DeLorean che, un minuto dopo essere sparita, ricompare tutta ricoperta di ghiaccio, con il cane Einstein che ha ancora la cintura allacciata, mentre si lecca i baffi sano e salvo.
La dichiarazione d’amore di Top Gun
1986
Una cosa è certa: se nel 1983 tutte vogliamo essere Alex di Flashdance, nel 1986 tutti puntano ad avere il fascino di Maverick. Sarà perché dietro il tenente Pete Mitchell c’è Tom Cruise, che da quel momento diventerà… Tom Cruise. Sarà perché pilotare caccia rende affascinanti, ma girare in moto con quel montone e quegli occhiali da sole è cosa alla portata di tutti (vabbè, più o meno). Sarà perché in Top Gun c’è una delle scene più romantiche di sempre, con la dichiarazione d’amore dell’istruttrice Charlie (Kelly McGillis) che si trasforma prima in un bacio appassionato, poi in un (ehm) incontro a due nella camera da letto. In mezzo, ci siamo noi: che un po’ guardiamo estasiati, un po’ cantiamo a squarciagola la Take My Breath Away prodotta da Giorgio Modorer ed eseguita dai Berlin (che vale al film un Golden Globe e anche un premio Oscar per la migliore canzone originale). Anche se, a dirla tutta, pure l’oboe (by Ennio Morricone) di Padre Gabriel (Jeremy Irons) in Mission aveva quel suo gigantesco perché.
«Nessuno può mettere Baby in un angolo» di Dirty Dancing – Balli proibiti
1987
Nella seconda metà degli anni ’80 la situazione è ormai questa: da una parte ci sono quelli che amano le scene truci à la Robocop (vi dice niente l’uccisione di Clarence?) o le battute altrettanto spietate di Full Metal Jacket (i famosi “sacchi di merda” del sergente maggiore Hartman); dall’altra ci sono i romantici con un debole per la musica e il ballo (come biasimarli) che nel 1987 sono ormai prontissimi a godersi appieno un film come Dirty Dancing – Balli proibiti. Ovvero: l’apoteosi del dance drama. Con Frances “Baby” Houseman (Jennifer Grey) che ci illude sia davvero possibile non solo trovare un tizio come Johnny Castle (Patrick Swayze) in un resort di ultrasessantenni sperduto chissà dove, ma anche vivere un amore così nel giro di due passi di salsa. Ma che ci importa: alla fine del film quel “Nessuno può mettere Baby in un angolo” di Johnny e il ballo che segue sulle note di (I’ve Had) The Time of My Life vale più qualsiasi Oscar (per inciso: quello per la miglior canzone originale). Tipo la consacrazione eterna.
L’immersione nella salamoia di Chi ha incastrato Roger Rabbit?
1988
“Posso superarlo”: più eravamo piccoli, più ce lo siamo ripetuti. Eppure, il 1988 e Chi ha incastrato Roger Rabbit? sono qui per ricordarci ancora una volta che no, non l’abbiamo superato (e non lo faremo mai). Esiste infatti qualcuno che oggi abbia accantonato la paura per il cattivissimo Giudice Morton (Christopher Lloyd)? Ma soprattutto: fatemi conoscere chi è andato oltre il trauma della dolce, tenera scarpetta cartoon che viene immersa (e sciolta!) nell’orribile “salamoia”, con tanto di mano guantata di Morton che riaffiora mostrando il liquido rossastro della malcapitata. Perché ci hai fatto questo, Robert Zemeckis? Dal regista di Ritorno al futuro proprio non ci saremmo aspettati un colpo così basso. Mica come John McTiernan, che da quella volta di Arnold Schwarzenegger e degli alieni di Predator, solo un anno prima, ci aveva preparato bene a quel Bruce Willis (John McLane) che, in Die Hard – Trappola di cristallo, spara ammazzando questo e quello. E “benvenuto alla festicciola!”.
Il finto orgasmo di Harry, ti presento Sally…
1989
Li sentite? Sono gli anni ’90 che ormai bussano alla porta. E quale migliore modo di affacciarsi al nuovo decennio (e salutare quello precedente) se non con Rob Reiner e una commedia – secondo l’American Film Institute tra le migliori mai prodotte negli States – come Harry, ti presento Sally…? È il luglio del 1989, Sally Albright (Meg Ryan) e Harry Burns (Billy Crystal) sono due amici che sembrano legati da un destino comune (spoiler: quello di innamorarsi), e fino a quel momento non si era ancora (letteralmente) parlato così tanto di amore, amicizia e sesso tra uomini e donne. O almeno: non al cinema. Perché nella vita vera a chi non è mai capitato di farlo? Magari mentre si fa colazione con quell’amico (o, a seconda, amica) che tutti stentano a credere sia solo quello: un amico, appunto. Mi auguro che nessuno abbia finto un orgasmo in un bar come fa Meg Ryan (“Quello che ha preso la signorina”, cit.), ma va ammesso: lezione imparata. Anche se quell’anno la più importante che ci siamo portati a casa rimane sicuramente quella del prof. John Keating (Robin Williams) che nell’Attimo fuggente di Peter Weir ci insegna l’importanza di vivere e agire sempre seguendo le nostre passioni. Così non resta che dirlo ancora: “Oh, capitano! Mio capitano!”.