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Le scene più cult dei film anni ’90

Dal vaso di ‘Ghost’ che apre il decennio al T-Rex che in ‘Jurassic Park’ ci ha terrorizzato a morte; dal volo vero di ‘Thelma & Louise’ a quello immaginario di ‘Titanic’. Fino alla chiamata di ‘Scream’ e al (ehm) gel di ‘Tutti pazzi per Mary’

Foto: 20th Century Studios

Il vaso di Ghost

1990

Affacciarsi al nuovo decennio desiderando di essere un pezzo di creta: si può. Tutta colpa (o merito?) del film Ghost – Fantasma, che nel 1990 non solo riesce a conquistare la critica – vincendo due Oscar: per la migliore sceneggiatura non originale e per la migliore attrice non protagonista (Whoopi Goldberg) – ma anche a consegnare alla storia una delle scene più sexy degli anni ’90. Mettete in una stanza un tornio che gira e un vasetto quasi pronto; Demi Moore (che di lì in avanti sarà “quella” Demi Moore) col suo iconico caschetto corto; Patrick Swayze che è dai tempi di Dirty Dancing – Balli proibiti (1987) che mette tutti d’accordo. E poi in sottofondo la voce dei Righteous Brothers che cantano l’inconfondibile “oooh, my looove” di Unchained Melody, mentre il vasetto distrutto torna a essere solo un pezzo di creta (appunto), ma ora sotto quattro mani che si intrecciano. Livello altissimo? Sì, ma non dimentichiamo che quell’anno vedrà anche Joe Pesci col suo “Che ci trovi di buffo?” detto a Ray Liotta in Quei bravi ragazzi; la posa-urlo di Macaulay Culkin davanti allo specchio di Mamma, ho perso l’aereo; e per finire, pure i tagli di capelli di Johnny Depp in Edward mani di forbice.

Il volo di Thelma & Louise

1991

1991: l’anno in cui ci è passato l’appetito sentendo Hannibal Lecter (Anthony Hopkins) raccontare a Clarice Starling (Jodie Foster) del suo pasto a base di fegato umano, fave e Chianti nel Silenzio degli innocenti. Ma anche quello in cui grazie al regista Ridley Scott abbiamo macinato un bel tot di chilometri (pardon: miglia) in uno dei film on the road più celebri di sempre: Thelma & Louise. Al centro della storia due donne (Geena Davis e Susan Sarandon) e la partenza per una vacanza tra amiche; poi un incontro sfortunato, la pistola di Louise che spara un colpo e la fuga dalla polizia. A un certo punto c’è anche (un giovanissimo) Brad Pitt nei panni di J.D., però non fatevi ingannare: la scena cult è quella finale, con Thelma e Louise che sono ormai circondate dalla polizia ma, prendendosi per mano, decidono di “non tornare indietro” (cit.). Così, via col piede sull’acceleratore; e quel volo in un dirupo del Grand Canyon.

L’interrogatorio di Basic Instinct

1992

Immaginate di essere sottoposti a un interrogatorio per un delitto orrendo di cui siete i principali sospettati. State già sudando? Eppure, con la scena celeberrima dell’interrogatorio della scrittrice Catherine Tramell in Basic Instinct – Istinto di base, il regista Paul Verhoeven nel 1992 ci aveva spiegato bene come reggere la tensione di una situazione sconveniente. Ovvero: come far sì che siano gli altri, gli unici a sudare. La ricetta del successo vede due soli ingredienti: una spropositata cazzimma (con tanto di sigaretta accesa a smacco) e un accavallamento di gambe che lascia intravedere cosa (non) c’è sotto il vestito. Piccolo appunto: essere come Sharon Stone non guasta. Ma se siete più tipi da scaricare le tensioni negative con l’azione, potete sempre fare come la vendicativa Madeline (Meryl Streep) con il fucile puntato verso la nemica giurata Helen (Goldie Hawn) in La morte ti fa bella. A quel punto, però, neanche essere Sharon Stone ve la farebbe fare franca.

Il T-Rex di Jurassic Park

1993

Signore e signori, benvenuti al Jurassic Park! Quel posto magnifico che ha preso vita dalla visione incantata di Steven Spielberg, e che nel 1993 prima ci ha lasciato a bocca aperta per la meraviglia, e poi ci ha ghiacciati per il terrore. Un po’ come nelle due scene del film, quando il primo incontro con i pacifici Brachiosauri lascia a bocca aperta la ricercatrice Ellie Sattler (Laura Dern); mentre quello con lo spaventoso T-Rex scappato dal suo paddock fa scattare il paleontologo Alan Grant (Sam Neill) e il matematico Ian Malcolm (Jeff Goldblum). Intanto ci siamo noi: che più siamo piccoli, più sappiamo che quella roba lì, di sicuro, non ce la dimenticheremo mai (e infatti). Per fortuna poco dopo arriva Robin Williams, che nelle vesti di Mrs. Doubtfire si mette una bella torta in faccia e torna a far ridere pure chi, tra noi, dalla volta del T-Rex aveva ripreso a dormire nel lettone con mamma e papà.

Il twist di Pulp Fiction

1994

Un ricordo (ma sempre attualissimo) delle feste in maschera alle serate universitarie: la ragazza di turno che si presenta vestita à la Mia Wallace. Come biasimarla: da quando è uscito nelle sale nel 1994, Pulp Fiction è diventato a mani basse uno dei film più iconici degli anni ’90, e forse pure il più riconoscibile di Quentin Tarantino. Tanto che persino chi non ha mai visto il film conosce (e sa riprodurre?) la scena del ballo sulla pista del Jack Rabbit Slim’s, quando Vincent Vega (John Travolta) e Mia Wallace (Uma Thurman) si scatenano sulle note di You Never Can Tell di Chuck Berry. Un po’ come già nel 1964 avevano fatto i tre protagonisti di Bande à part nella scena della cosiddetta “Madison Dance”, da cui Quentin prende spunto. Ma il regista francese Jean-Luc Godard non era come Tarantino: a quei ballerini improvvisati, lui, aveva lasciato su le scarpe.

La rivelazione di Keyser Söze nei Soliti sospetti

1995

È il 1999, è appena uscito Fight Club e nel recensirlo il noto critico Roger Ebert parla della cosiddetta “sindrome di Kayser Söze”: ovvero, di quando «i film sembrano dover per forza aggiungere una scena finale che ridefinisca e metta in discussione la realtà di tutto quello che è appena successo». Per capire da dove prenda spunto per quella definizione bisogna tornare al 1995, prendere il cult I soliti sospetti, e arrivare alla scena più indimenticabile del film: quella finale, dove si svela chi sia infine Keyser Söze, il mandante dell’assalto alla nave che ha coinvolto i cinque sospettati (vedi alla voce: Kevin Pollak, Stephen Baldwin, Benicio del Toro, Gabriel Byrne e Kevin Spacey). Il resto si sa: Ebert prende quel finale a fallimento; la memoria di noialtri – e i due Oscar nel 1996 per la migliore sceneggiatura non originale e per il miglior attore non protagonista (Spacey) – lo consacra a successo. Caro Roger, non prendertela: siamo sicuri che quell’anno il discorso sulla libertà di Mel Gibson in Braveheart ti abbia davvero conquistato. O magari avresti preferito tirare i dadi con Robin Williams in Jumanji?

La telefonata di Scream

1996

Domanda da un milione di dollari: nel cinema è più memorabile un finale d’effetto (vedasi I soliti sospetti) o un inizio da brivido? Nel dubbio, direi entrambi. Perché se il 1995 è segnato dalla rivelazione di quel Keyser Söze, il 1996 non può che essere la chiamata del serial killer Ghostface a una giovanissima Drew Barrymore (alias Casey Becker) nella scena iniziale di Scream – Chi urla muore. Qualcosa di talmente iconico da entrare nel nostro immaginario (voi in quegli anni rispondevate al telefono?); dare avvio a un merchandise pazzesco (vedasi le sopracitate feste in maschera); portare alla realizzazione del film parodia (e campione d’incassi) Scary Movie (2000), capolavoro nel suo genere. Oggi non ci resta che fare una cosa: ringraziare il regista Wes Craven per tutte le volte che ci ha tolto d’impaccio quando dobbiamo scegliere quale film vedere la notte di Halloween. Anche se c’era sempre l’amico che aveva da ridire, perché al coltellaccio di Ghostface lui preferiva di gran lunga l’attacco degli alieni di Independence Day.

La posa di Titanic

1997

So cosa state pensando: “Certo, era ovvio!”. Ebbene, lo è. Perché nel 1997, ma che dico, in tutti gli anni ’90, non c’è niente che possa raggiungere il livello di cult stratosferico di quella scena di Titanic. Vuoi perché c’è la maestria registica di James Cameron o perché in sottofondo si sentono le note di My Heart Will Go On e la voce di Céline Dion, che insieme fanno battere il cuore pure ai morti. Vuoi perché tutte avremmo voluto essere Kate Winslet con Leonardo DiCaprio esattamente lì, nei colori caldi di quel tramonto, con l’oceano davanti agli occhi, a dire “Sto volando, Jack!”, e pensare di essere libere da qualsiasi impedimento. Seriamente: di cosa stiamo parlando?

Il “gel” di Tutti pazzi per Mary

1998

Facile adesso fare i disinibiti a parlare di sesso, quando tutto è sdoganato al punto che la vita di Rocco Siffredi è una serie tv (per la cronaca: Supersex, su Netflix). Pensate invece che roba è stata per quei molti di noi che nel 1998 erano bambini trovarsi al cinema con mamma e papà a guardare una simpatica commediola come Tutti pazzi per Mary e incappare nella scena in cui non solo Ted Stroehmann (Ben Stiller) si fa una pugnetta (scusate); ma Mary Jensen (Cameron Diaz) finisce pure per spalmarsi il ciuffo con quella “cosa” che, sì: sembrava proprio gel per capelli. Morale della favola: il film è campione d’incassi, vince quattro premi agli MTV Awards e ottiene due candidature ai Golden Globe (miglior film commedia o musicale e miglior attrice in un film commedia o musicale, ovvero Cameron Diaz). Mentre noi bambini al cinema coi genitori, ehm…

La gente morta del Sesto senso

1999

Chiudere il decennio alla grande: il cinema degli anni ’90 non lo fa bene, lo fa benissimo. Tanto che scegliere una sola scena rappresentativa di quello straordinario 1999 diventa un bel cruccio. Per intenderci: a marzo i fratelli (anzi, sorelle) Wachowski ci fanno comprare lunghi cappotti di pelle e ripetere all’infinito quel “pillola rossa o pillola blu?” di Matrix; a settembre il debutto alla regia di Sam Mendes ci incanta (Kevin Spacey in primis) con i petali rossi sul corpo nudo di Mena Suvari in American Beauty; a ottobre David Fincher ci fa parlare (ops) solo delle regole del Fight Club. A spuntarla allora non resta che il piccolo Cole Sear (l’allora enfant prodige Haley Joel Osment) quando nel Sesto senso confessa allo psicologo infantile Malcolm Crowe (Bruce Willis) il suo piccolo segreto: “Vedo la gente morta”. E non so se M. Night Shyamalan si aspettava che quella battuta sarebbe diventata eterna – a considerare le sei candidature ricevute agli Oscar, forse covava un certo sospetto –, ma il tempo è ancora qui a confermarci che sì, è successo.

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