Rolling Stone Italia

‘L’esorcista del Papa’, Russell Crowe ne sa una più del diavolo

La domanda è: come c'è finito un premio Oscar come l'ex 'Gladiatore' a recitare in questo piccolo horror soprannaturale nemmeno troppo malaccio, che prova a seguire le orme dell''Esorcista' 50 anni dopo?
Russell Crowe è Padre Gabriele Amorth nell''Esorcista del Papa'

Foto: Jonathan Hession/Sony Pictures/Netflix

Teste che ruotano a 360°, carne bruciata, incantamenti sacri in latino: potrebbe essere… il diavolo? Quest’anno si celebrano i 50 anni dell’Esorcista, la pietra miliare dell’horror by William Friedkin che ha trasformato il genere, che è stata parodiata, oggetto di sequel (in più occasioni) ed è tuttora saldamente radicata nella coscienza culturale collettiva. Ora nelle sale è arrivato L’esorcista del Papa, un piccolo horror soprannaturale nemmeno troppo malaccio, con protagonista un grosso e barbuto Russell Crowe che si mette alla prova con l’accento italiano nei panni di padre Gabriele Amorth, celebre esorcista in real life.

Sì, gli esorcisti esistono, e questa è stata in realtà la chiave dell’impatto del film di Friedkin. Ha trattato l’orrore con una veridicità da documentario, creando l’illusione che ciò che stavamo vedendo (o da cui ci coprivamo gli occhi) stesse accadendo davvero. L’esorcista del Papa cerca di seguirne le orme, e occasionalmente ci riesce persino, giocando con le idee di fede, dubbio e credenze e analizzando le differenze tra mero disturbo psicologico e, ehm, possessione. Nel farlo, a tratti, diventa anche un po’ stupido. In questi cinquant’anni sono stati realizzati moltissimi film sulla possessione satanica, che ci hanno consegnato parecchi tropi e aspettative sul genere. Questo lungometraggio ne usa un sacco, dalla voce profonda e roca – dove sei, Mercedes McCambridge (la voce del demone Pazuzu nell’Esorcista, ndt)? – al lancio di corpi per la stanza. Per citare una vecchia canzone dei Barenaked Ladies, “it’s all been done“.

Il che non significa smettere di provarci. È il 1987, e questa volta le vittime del signore oscuro sono una mamma americana (Alex Essoe) e i suoi due figli (Peter Desouza-Feighoney e Laurel Marsden), appena arrivati in Castiglia, Spagna, per ristrutturare una vecchia abbazia che apparteneva alla famiglia del marito defunto. Si portano dietro un bel fardello: da quando il marito/papà è morto in un terribile incidente d’auto un anno prima, il figlio Henry non ha più parlato. È devastato dal senso di colpa, e in questo universo proprio del senso di colpa, o meglio del peccato, si nutre il diavolo.

Ed ecco finalmente Padre Amorth, che gira l’Europa in scooter, tracanna whisky da una fiaschetta e forse si diverte più di quanto dovrebbe essere consentito a un esorcista. Prima di mettersi al lavoro in Spagna, Amorth viene pesantemente ammonito da un giovane cardinale frignone (Ryan O’Grady) che non crede a tutto quel chiacchiericcio soprannaturale. Ma Amorth ne sa una più del diavolo (pardon). Grazie anche all’aiuto di un prete spagnolo, Padre Esquibel (Daniel Zovatto), l’esorcista del Papa capisce subito di trovarsi di fronte a un degno avversario.

Il film può sembrare pacchiano e derivativo, la mancanza di budget è evidente negli effetti speciali scadenti, ma ha anche alcune cose non male. Il regista Julius Avery conosce la grammatica visiva dell’horror, gli shock, i tagli e il lavoro di ripresa che costruiscono la paura. Crowe porta una fisicità imponente e un fascino ammiccante alla gravitas di Amorth, anche se è difficile capire come un attore che ha vinto un Oscar (per Il gladiatore) e avrebbe potuto facilmente portarne a casa altri due (per A Beautiful Mind e The Insider – Dietro la verità) sia finito a recitare qui. Ma l’aspetto più sorprendente è che L’esorcista del Papa ha delle idee. Entrambi i sacerdoti hanno rimpianti e scheletri nell’armadio, fardelli considerevoli di cui il demone è ben consapevole. E lo stesso vale per la Chiesa cattolica. Non stiamo parlando degli abusi sessuali: il film entra nei peccati dell’Inquisizione spagnola, probabilmente l’errore più epocale dell’istituzione nei secoli dei secoli. La cospirazione al centro della trama non ha una vera e propria forma, è un po’ troppo da società segreta, ma riesce a connettersi abbastanza bene con gli orrori in corso.

L’Associazione Internazionale degli Esorcisti ha definito il film “non attendibile” e la cosa più bella è che esiste davvero un’Associazione Internazionale degli Esorcisti. Questa certezza ci riporta a quel brivido che muoveva L’esorcista originale e, in misura molto minore, L’esorcista del Papa. Entrambi i film cercano di suggerire che tutto questo potrebbe accadere a noi, a voi, a chiunque. E più qualcosa sembra reale, più diventa spaventoso. Questo film non diventerà mai un classico del genere, ma è meglio di quanto abbia ragione di esserlo. A volte il diavolo che conosci fa un lavoro niente male.

Da Rolling Stone US

Iscriviti