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‘L’orchestra stonata’: sì, i francesi lo fanno meglio

... il grande cinema popolare, quello sorridente e commovente insieme, che arriva al pubblico senza essere melenso o troppo retorico. 'En fanfare' (così in originale) tiene insieme generi diversi e mette al centro la musica come insostituibile punto d’incontro/scontro tra due fratelli

Foto: Movies Inspired

Ammetto che aver visto L’orchestra stonata in anteprima al Parma Film Festival, dove la proiezione è stata preceduta da un’esibizione della Banda Verdi (En fanfare è il titolo originale francese) sulle note della Marcia trionfale dell’Aida (chi sa, sa), certamente ne ha amplificato – e non di poco – la portata. Pareva di stare dentro a un film di Claude Lelouch.

Al di là della (fortunata) circostanza però L’orchestra stonata (dal 5 dicembre al cinema) è un bel film, ed è un bel film come soltanto i film francesi (e le dramedy francesi in particolare) sanno essere belli, larghi, pop, sorridenti e insieme commoventi, senza mai diventare scontati, melensi o troppo retorici. E soprattutto sanno tenere insieme generi diversissimi, come il cancer movie (che però qui diventa solo pretesto, innesco per la trama), il family drama e la commedia sociale con la massima spontaneità e semplicità, muovendosi naturalmente tra una certa delicata ironia e toni invece più seri (ma mai seriosi). Il tutto attraversato dalla musica (la classica, il jazz, ma anche brani meno scontati, come Emmenez-moi di Charles Aznavour), che è insostituibile punto d’incontro/scontro tra due fratelli e il modo di essere comunità, di diventare persino famiglia per una banda sgangherata della città di minatori di Walincourt, nel distretto di Lille, Francia del Nord.

Qui Jimmy (Pierre Lottin) lavora come inserviente nella mensa della fabbrica che sta per chiudere, passando gli avanzi agli operai che fanno i picchetti, e suona il trombone a orecchio nella fanfare, finché qualcuno non arriva nella sua vita e il desiderio di un’esistenza migliore sembra poter diventare realtà. Quel qualcuno è Thibaut (Benjamin Lavernhe), direttore d’orchestra di fama mondiale che ha appena scoperto di essere malato di leucemia, di aver bisogno di un trapianto immediato di midollo osseo e – contestualmente – di essere stato adottato. Indovinate chi è il suo fratello biologico.

Foto: Movies Inspired

C’è la commedia sociale britannica di Ken Loach ma con un gusto che resta meravigliosamente francese e c’è anche l’ottimismo della volontà – per dirla alla Gramsci – di Robert Guédiguian (che, non a caso, produce) in questo nuovo film di Emmanuel Courcol (Un triomphe). Che è esattamente quello che i francesi sanno fare meglio di tutti (e che in Italia non riusciamo a fare, non così): il grande cinema popolare che – attenzione – non vuol dire necessariamente feelgood movie (anche perché vi sfido a non uscire in lacrime dalla sala dopo il finale, e mi fermo qua) e nemmeno “basso”, cheap, per intenderci, ma storie che riescono davvero a toccare il pubblico, grazie soprattutto alle emozioni e all’umanità dei personaggi in cui ci si può facilmente riconoscere.

Merito anche dei due protagonisti, così diversi eppure così (in)credibilmente fratelli: Lavernhe più intellò, snob ma fragile e Lottin più proletario, robusto nel fisico e impetuoso nel temperamento. Sono loro il centro saldissimo dell’Orchestra stonata: il loro rapporto, l’unione musicale e fraterna tra i loro due mondi, rappresentata (ma non vi dico in che modo) dal Bolero che, come racconta Thibaut, “Ravel scrisse dopo aver visitato una fabbrica. Questo (e batte con dei pennarelli su un quaderno, nda) è il rumore della macchine”. Ecco, quel tipo di legame può superare anche un certo determinismo sociale? Se questo non è un film di Natale…

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