L’arte di comporre equivale al flusso vitale che accompagna ogni singolo compositore nell’arco della sua vita? Al suo intercedere nei movimenti, nelle sinfonie che egli compone, sino alla gestazione dell’arte proprio come messaggio della sua esistenza terrena? Come diceva Leonard Bernstein, “un’opera d’arte non ha l’obiettivo di risponde alle domande che ci si pone, le suscita: e il suo significato fondamentale sta nella tensione, fra le risposte contraddittorie insite nella sua contemplazione”. Tutto questo non potrebbe essere la metafora della vita stessa?
Ciò che Bradley Cooper compone, nella direzione ed interpretazione di uno dei più grandi compositori e direttori d’orchestra del XX secolo, è un racconto che, soffermandosi sul rapporto con chi ne fu la compagna di vita, l’attrice Felicia Montealegre, ne contempla la sezioni orchestrali, la suddivisione enciclica dello scorrere inevitabile di una relazione che costituì per Leonard Bernstein la sua anima sonora prediletta.
Lo spartito che vediamo nella prima sequenza di Maestro, in cui viene replicata la celebre intervista con il giornalista Mike Wallace nel 1980, sembrerebbe anticipare le fasi di scrittura di una sinfonia, ma in questo caso stiamo partendo dall’ultimo movimento della sua strutturazione in quanto ciò che doveva essere scritto è già stato ampiamente illustrato. Le note di una vita prendono anima nel racconto passato che Bernstein ci illustra, cadenzandone attentamente e ritmicamente la visione con alcuni dei momenti più importanti della sua carriera così come del rapporto con Felicia.
Dall’allegro del primo movimento in cui il giovane compositore arriva a dirigere per la prima volta la New York Philharmonic Orchestra alla Carnegie Hall, diventandone conseguentemente direttore, ogni momento viene contrappuntato facendo diventare anche lo spazio circostante il flusso sonoro di Bernstein; un uomo che ha vissuto in perfetta armonia nascendo davanti a un pianoforte e con una bacchetta in mano.
L’amore per la sua musica, nella divulgazione di essa, così come per la sua compagna, pervade inizialmente lo schermo nel fiorire della loro conoscenza. Come analizza Manohla Dargis sul New York Times, l’apertura sinfonica introduce l’idea della vita di Lenny come una grande e costante performance, che diventa la metafora dominante del film. Cooper sottolinea quest’idea ripetutamente, anche quando Felicia porta Lenny nel teatro vuoto dove lei è una sostituta e dove recitano scherzosamente una scena d’amore che suggellano con un bacio hollywoodiano. “Qualche tempo dopo, in un’energica virata nel surrealismo, Felicia gli prende la mano e corrono da un pranzo all’aperto con gli amici ad un altro teatro dove tre ballerini in uniforme bianca da marinaio stanno aspettando sul palco (citazione dal musical Un giorno a New York). Come nel caso della corsa di Lenny fuori dalla sua camera da letto e nella Carnegie Hall, Cooper mette in scena questo sprint con la macchina da presa puntata verso i personaggi, come se stesse correndo su una passerella sopraelevata”.
Il montaggio segue la muscolatura e il corpo di un uomo che ha da sempre vissuto per la musica e con la musica. Le sue venature reagiscono al valore ritmico delle note sullo spartito e il susseguirsi del cambio di formati ne esalta il costante padroneggiare della partitura. Ma ciò che avviene nella musica per Leonard non può essere suggellato anche nella vita privata. Se la sua crescita artistica si compone di sempre più elementi, è la vita privata a risentirne, e il cambio tonale della sua sinfonia personale non fa eccezione, anticipando un adagetto che porta lo spettatore dal bianco e nero del passato al colore tenue del presente.
Nonostante il suo mentore, il direttore d’orchestra Sergej Kusevickij, gli ricorderà durante un pranzo con la stessa Felicia che deve dirigere la sua vita in modo che, quando va sul podio a guidare l’orchestra, possa dire sinceramente a se stesso “la mia vita e il mio lavoro sono puliti”, Bernstein vede il suo ruolo come quello di comunicatore del suo mondo personale, colui che deve vivere una grandiosa vita interiore piuttosto che esteriore. Il compositore vive di conflitti e non può agire diversamente. L’elemento della sigaretta perennemente nella mani di Lenny va costantemente a sostituire ciò che la bacchetta rappresenta nella sua visione musicale, la suddivisione della conduzione nel dettare tempo, forma e sublimazione. Il direttore d’orchestra non può staccarsi dalla sua vita sinfonica, ed è il perenne conflitto della sua vita privata a mostrarsi a Felicia, nella sopportazione di una vita forse più grande di quanto lei potesse immaginare. L’ultimo atto della loro vita insieme si può dire che venga composto da entrambi, perennemente a due voci, nel tentativo di recuperare il tempo perduto dopo la breve separazione, concedendosi gli ultimi elementi in musica di una vita vissuta in due chiavi differenti, ma sempre comunicanti.
Maestro non è un film fortemente musicale nel fine semantico del termine, ma vive di sonorità continue nella vita intrepida di un musicista straordinario. Bradley Cooper, insieme al suo mastodontico team sonoro guidato dal sound designer premio Oscar Richard King (autore quest’anno di un altro film che segnerà la corsa alla statuetta come Oppenheimer), costruisce il suono di Maestro come una sinfonia di due ore. “Il film è tagliato molto sulla musica”, ha aggiunto King, “e il suono è stato davvero usato in modo musicale, nel senso che non c’era alcuna differenza acustica nella transizione da una sequenza all’altra. Una scena si fonde con l’altra, ognuna ha il suo suono specifico e la sua qualità specifica rimane intatta in modo che fluisca semplicemente. E man mano che la vita [di Bernstein] progredisce, c’è un senso di slancio che non si ferma e non ricomincia, in un flusso sonoro continuo”.
In una masterclass pubblicata sulla pagina ufficiale di Netflix Behind the Streams e intitolata The Sound of Maestro, Bradley Cooper spiega di fronte a Steven Spielberg (co-produttore insieme a Martin Scorsese del film) come ogni elemento risonante nella scena sia stato effettivamente suonato, per esempio la composizione tratta da Fronte del porto (di cui Bernstein scrisse la colonna sonora) nella prima sequenza in cui Leonard approda per la prima volta alla Carnegie Hall come direttore d’orchestra e il suo corpo risponde conseguentemente al ritmo di ciò che viene suonato. “Volevamo che il suono naturale del mondo fosse musicalmente in linea con ciò che accadeva ritmicamente”, dice Cooper. “Il film ci mostra in maniera decisamente palese che il suo corpo ribatte al ritmo stesso della colonna sonora”.
Ogni decennio dell’esistenza sinfonica di Leonard Bernstein viene riformulato acusticamente per essere parte integrante della sua vita; dagli applausi titubanti e sorpresi durante la sua prima esibizione al respiro affannato e al ritmare del cuore costantemente fuori fase, sono tutti elementi che, come spiega perfettamente Tom Ozanich, dialogue/music mixer di Maestro, fanno sì che il film sia la colonna sonora della musica stessa. Sono composizioni che in qualche modo il film sta alimentando.
Lavorando principalmente con materiale di repertorio appartenente alla maggiori opere dirette e composte da Bernstein, registrate nuovamente per far entrare lo spettatore ancor di più al centro della narrazione, nel mostrare acusticamente lo stesso respiro e corposità di ciò che avveniva in musica, era fondamentale costruirgli attorno ciò che la vita sonora dello stesso compositore aveva rappresentato, il respiro della sua esistenza e di quella di sua moglie Felicia. Si sente la musica dei loro respiri insieme e il vento della loro esistenza, come racconta Richard King, vive di differenti inflessioni proprio per esaltarne i momenti a Central Park, a Tanglewood e nelle lore case a Long Island e nel Connecticut. “Cooper voleva che fosse una componente della natura, e abbiamo lavorato molto duramente sui venti per renderli reali, il che è incredibilmente difficile”, spiega King. “Quanto è forte il movimento, se è a raffiche o non a raffiche. E, penso, quel motivo del vento che aveva in mente era il vento della traiettoria di Bernstein, che era così rapida; la sua ascesa alla fama è stata così rapida, e quindi la sua vita divenne così piena e in continua evoluzione”.
Le performance di una vita risuonano direttamente attraverso l’esperienza acustica del pubblico, in cui tutto avviene in presa diretta, così come nella meravigliosa sequenza nella Cattedrale di Ely, registrata appositamente in quello spazio così da catturarne il religioso riverbero. Lì Bernstein diresse la London Symphony Orchestra nella Sinfonia n. 2 in Do minore di Mahler, nota anche come Resurrezione. “Hanno fatto un ottimo lavoro nel mixare insieme tutte quelle tracce mediante il sistema Dolby Atmos che Steve Morrow e Jason Ruder hanno utilizzato sul set, facendoti davvero sentire come se fossi a teatro”, ha detto King. “Hanno portato il suono reale del mondo, escludendo la musica, solo quando l’esibizione finisce. E c’è questa pausa significativa in cui sentiamo che il pubblico è sbalordito, ancora rapito dal momento di ascolto musicale prima di esplodere in un fragoroso applauso”.
“Con l’avvicinarsi della morte un artista deve gettare via tutto ciò che lo tiene costretto. Deve essere risoluto nel creare, nel tempo che gli resta, in assoluta libertà. Ed è per questo che devo vivere il resto della mia vita, lunga o corta che sia, esattamente come voglio”. Attraverso Maestro, Bradley Cooper fa sì che l’estate canti ancora dentro Leonard Bernstein, consegnando al pubblico un grande lavoro su come l’arte della composizione non abbandoni mai chi si è forgiato in essa.