Avviso ai naviganti: Il segreto di Liberato non è una di quelle supercazzole che chiamano tutti al cinema promettendoti di raccontarti qualcosa, banalmente il segreto del titolo, ma lasciano con tanti giri di parole e niente di fatto. Di risposte ne dà, ecco, anche se non sono quelle che uno magari si sarebbe aspettato. E poi ha un senso, un ritmo, un intrigo. Soprattutto, però, lascia con nuove domande, perché evidentemente si può raccontare un mistero senza svelarlo (o almeno questo è il senso di tutta l’operazione). Da questa prospettiva, l’auto-documentario su Liberato fa il suo. È in sala da oggi, 9 maggio (ovviamente), per una settimana; il prefisso “auto-” è da usarsi perché ci ha lavorato il suo team, con la regia di Francesco Lettieri, deus ex machina dei videoclip e di parte del suo immaginario, e di Giorgio Testi, e quella di Giuseppe Squillaci e del fumettista LRNZ per le parti animate.
Si vedono tante persone a lui vicine, dagli addetti ai lavori agli stessi Lettieri, Calcutta che lo aveva impersonato per la prima apparizione in assoluto al MI AMI, il manager (che storia), i discografici di Bomba Dischi che ci hanno creduto subito e meglio di tutti, pure noi di Rolling Stone, che raccontano questi (già) sette anni sulla giostra, dal debutto a San Valentino 2017 con Nove maggio al concerto allo Stadio Maradona per lo scudetto del Napoli («Mi aveva promesso che il suo primo concerto sarebbe stato lì: non è stato il primo, ma è fu una prova di mentalità», dice a un certo punto Lettieri) e ai tre di Piazza del Plebiscito dello scorso anno, e che hanno segnato, se non proprio la chiusura di un cerchio, almeno la fine di una prima rincorsa.
Senza spoiler, si scoprono tante cose: ci sono filmati di repertorio e video privati, e si capisce com’è stato il lavoro dietro le quinte, come sia stato più artigianale di quanto sembrasse da fuori, e corsaro soprattutto. L’opposto, insomma, del progetto concepito a tavolino, con le amicizie giuste, che si pensava all’inizio. Per cui, sì, qualche dettaglio croccante c’è, anche se tutto è filtrato dal fatto che si tratta di un film di Liberato, e quindi sospeso tra l’indagine rigorosa e il racconto di finzione. Chi, per dire, ha mai visto Chi ha incastrato Elio e le Storie Tese?, la parodia di ogni mockumentary che nel 1993 raccontava gli Elii attraverso, appunto, gli Elii, sa già limiti e pregi della formula, ma va detto che qui la materia è sufficientemente scottante ‒ e gli autori sufficientemente bravi ‒ da non dare mai la sensazione di parlarsi addosso, di sbrodolarsi.
Ok, direte voi, ma alla fine si saprà chi è Liberato? Sì, si saprà, nel senso che sentiremo la sua voce e attraverso sequenze animate, in stile Studio Ghibli, verremo a conoscenza di tanto della sua vita precedente, di com’era da bambino, del modo in cui ha scoperto la musica, dell’ispirazione per l’anonimato, di dove ha vissuto, gli amori e il resto. Avremo, ecco, un punto di vista nuovo, diciamo umano e introspettivo su chi si cela dietro quella maschera un po’ Pulcinella e un po’ Daft Punk. Ma ovviamente, se qualcuno ci avesse mai abboccato, non sapremo che faccia ha, e anzi leggendo tra le intenzioni del film forse non lo sapremo proprio mai. Né sapremo, per esempio, il suo nome di battesimo: a quello ci ha già pensato la Siae, e fa sorridere che nel film venga passato in rassegna davvero tutto, ma non quell’episodio. Che dire, chi tace acconsente; o anche: chi se ne frega.
Il senso del Segreto di Liberato infatti è tutto lì, nel chi se ne frega, nel raccontare di come oggi Liberato possa anche fare a meno dell’ossessione per la sua identità. Ed è vero: se anche adesso scoprissimo la faccia di tale Gennaro Nocerino, ammesso che sia lui a cantare, che ci cambierebbe? Certo, uno può pensare a una paraculata: Liberato sta sputando nel piatto dove ha mangiato fino a ieri, se si fosse conosciuto il suo volto dall’inizio (non sarebbe stato Liberato, ok, ma un altro progetto), le cose sarebbero andate diversamente, di sicuro non ci sarebbe stato tutto quell’hype. Ma è anche vero che quello stesso hype, con gli anni, si è spento, e che Liberato a sua volta è diventato un classico capace di sopravvivere alla sua stessa immagine. Il come, ovviamente, è evidente: con le varie Tu t’e scurdat’ ’e me, Je te voglio bene assaje e le altre; con una manciata di canzoni, cioè, che in un’epoca di mordi e fuggi sono rimaste nel tempo, e come si vede nel film fanno emozionare ancora tanta gente ai concerti. O davvero il pubblico limonerebbe meno volentieri su Tu t’e scurdat’ ’e me se conoscesse la faccia di chi l’ha scritta? Sembra lapalissiano, evidentemente non lo era. Il fatto è che questa ossessione ‒ in parte alimentata da lui stesso, e ci mancherebbe ‒ non ha mai avuto senso: si sono tirate fuori teorie del complotto perché serviva una spiegazione straordinaria a un fenomeno altrettanto straordinario, tutto qui.
Le domande che solleva il film, e di cui in parte si compiace anche, sono altre. Il mistero di Liberato è infatti com’è stato possibile che un artista del genere, con un impatto del genere, sia venuto dal niente; dov’è che ha trovato l’ispirazione, i riferimenti, gli ascolti, per partorire un progetto così originale e affascinante, insomma da quale varco spazio temporale nel 2017 è mai uscita fuori Tu t’e scurdat’ ’e me, che ancora macina milioni di ascolti pure se è presto per la nostalgia, e a tante feste è un pezzo imprescindibile. Se fosse stato davvero un side-project di Calcutta o di un detenuto X di Napoli in cerca di riscatto, in parte ce lo saremmo pure spiegato; invece così rimane che una delle cose più grandi successe alla nostra musica negli ultimi quindici anni, forse pure la più grande, la più inspiegabile, porta la firma di un tipo qualunque, che prima di qui aveva avuto esperienze, di nuovo, qualunque.
Perché ‒ e nel documentario si vede bene ‒ Liberato ha fatto cose impensabili e originali partendo dal basso e nel giro di pochissimo: suonare in festival internazionali, diventare un simbolo di Napoli, unire e far cantare quartieri che prima di lui neanche si parlavano, aver smosso ciò che resta della critica musicale e un pubblico trasversale, aver soprattutto sdoganato l’immagine cool della città Italia come nessuno. Se c’è stata una rivalutazione nazionale sincera di Napoli, è partita da lui. E come tutto questo sia riuscito così bene, di nuovo, non si spiega.
L’altra domanda che lascia aperta riguarda il futuro. Lo spiegano bene dal suo entourage, quando dicono che a ogni uscita ha sempre cercato di alzare l’asticella ‒ i singoli, il disco, la colonna sonora di un film, i live a Napoli, adesso addirittura un film. La gente si è abituata a questa escalation, i pezzi non tutte le volte sono stati all’altezza dell’escalation, ma è sopravvissuto alla fine naturale dell’hype che giocoforza si è sgonfiato, e oggi può permettersi perfino un film al cinema; e va bene, ma adesso? Più di suonare a Napoli per la festa scudetto, più di dirci di smetterla di ossessionarci, cosa c’è? Forse, la più difficile: azzerare e ripartire con un’altra Tu t’e scurdat’ ’e me, però diversa. Un pezzo che segni anche quest’epoca, come aveva fatto con la precedente. Al di là delle ambizioni, dei live e dei vari progetti, in questi ultimi anni ha vissuto comunque un po’ di rendita di brani così forti e incisivi, senza sostituirli con altri altrettanto incisivi. Questa, dicevamo, è un po’ la chiusura di un cerchio. Il mistero di Liberato è anche come aprirà il prossimo.