Meglio Porco (Rosso) che fascista | Rolling Stone Italia
Grandi ritorni

Meglio Porco (Rosso) che fascista

Torna nelle sale per il 25 aprile il capolavoro di Hayao Miyazaki che parla (anche) della nostra Storia. E che resta la miglior risposta alla “Ghibli wave” da social con cui l’IA ha insultato il Maestro

Meglio Porco (Rosso) che fascista

‘Porco Rosso’ di Hayao Miyazaki

Foto: Lucky Red

Quando Porco Rosso arrivò in sala la Resistenza Italiana era fnita da meno di cinquant’anni, e la guerra in Jugoslavia iniziata da poco più di uno. Quando arrivò in sala in realtà non avrebbe nemmeno dovuto essere in sala. Fu quello che stava accadendo nei Balcani, la guerra di nuovo nel cuore dell’Europa, a convincere Hayao Miyazaki a evolvere in film la più commerciale idea di un mediometraggio da far passare sui voli di linea giapponesi.

Ha davvero poco di commerciale l’operazione che Lucky Red ha studiato per celebrare il 25 aprile, l’opera “italiana” di Miyazaki di nuovo al cinema per un giorno. Un evento non speciale, specialissimo. Sette sale, una per città, tutte nella storia della Resistenza: a Napoli il Metropolitan, a Roma il Quattro Fontane, l’Astra a Firenze, l’Odeon a Bologna, il Sivori a Genova, a Milano l’Anteo Palazzo del Cinema, a Torino l’Eliseo.

L’ottantesimo anniversario della Liberazione è un giorno un po’ più speciale degli altri per tornare in picchiata nella storia di Porco Rosso. Aviatore italico, asso della Prima guerra mondiale, un sortilegio gli ha salvato la vita ma l’ha trasformato in maiale. Ha da tempo abiurato la Patria e la maleodorante deriva dell’assolutismo. Ma Porco proprio non può abiurare l’amore per il volo, e così fa il cacciatore di taglie dei cieli: l’inguaribile amore per i velivoli che è lo stesso del regista giapponese, destinato a librarsi ancora ventun anni dopo con Si alza il vento. Anche in quel caso, ma in Giappone, l’ambientazione tra le due guerre: l’eco persistente della prima, il refolo già all’orizzonte della seconda.

Una scena del film di Hayao Miyazaki. Foto: Lucky Red

Nel mezzo, in Italia, l’ombra lunga di vent’anni di dittatura fascista: un’ombra insostenibile e tenuta alla larga, nauseante anche per chi è stato tramutato in maiale. È ben lontano dai ranghi del Regio Esercito che troviamo Porco all’inizio del film, spiaggiato sulla sua isoletta per starsene – letteralmente – in pace assieme all’inseparabile idrovolante color cremisi. La giusta distanza dal Belpaese e dal suo regime, per vivere dall’altra parte dell’Adriatico sotto le falesie della costa dalmata. Proprio dove nella contemporaneità e nel mondo vero la guerra sta rialzando la testa, e spingendo Miyazaki a produrre uno dei suoi capolavori. Interprete di un antifascismo e antimilitarismo arrivati da lontani e planati in lungo e in largo, nella storia del cinema Porco Rosso è un segno persino più graffiante del celeberrimo scambio di battute, mica a caso svolto nel buio della sala cinematografica. “Piuttosto che diventare un fascista, meglio essere un maiale”, o “meglio porco che fascista” a seconda della periodica citazione, del grado di sintesi di una frase disegnata dall’altra parte del mondo e diventata simbolo ovunque, e più che ovunque qui.

Del Porco non si è buttato via niente. Non la profonda ironia, non la vena malinconica per il perduto amore e per gli amici volati in cielo e lì rimasti. Non l’idea progressista della ditta milanese di riparazione e messa a punto di velivoli, interamente in mano a donne, e nella fattispecie a una fanciulla diciassettenne. Non l’anima anarchica e gentile dell’ex combattente che da suino non fa più morti, al massimo abbatte i pirati dei cieli con garbo e senza far troppo male. Da buttare, semmai, è quell’overdose di software e artificialità andata in scena nelle recenti settimane: l’anima posticcia e virale di una Ghibli wave ad uso e consumo dei social, l’intelligenza artificiale a ricalcare i tratti di Miyazaki e farli algoritmo, a straziarne lo spirito.

«Sento fortemente che questo è un insulto alla vita stessa», aveva detto tanto tempo fa il regista giapponese, molto prima che i vari AI generator proliferassero e infarcissero per giorni ogni social network di immagini Ghibli-style. Come nei suoi film di aereoplani, il presentimento di un imminente sopruso, l’imposizione di una violenza diversamente declinata. È suggestivo intravvedere nel 25 aprile di Porco Rosso un’inattesa e tempestiva replica anche a questo, in grado di restituire l’autenticità dell’arte, di opporre la verità alla banalizzazione, voli verticali all’appiattimento. E in più di una maniera l’arte di Miyazaki non è mai parsa così connessa all’idea di resistenza in senso lato.

PORCO ROSSO - Trailer ITA del Film Studio Ghibli, al Cinema ad Agosto

In senso letterale, resistente Porco Rosso lo è stato sempre. Un’opera che doveva durare il tempo di un volo di linea, da oltre trent’anni permane invece come icona di una celebrazione che ne compie ottanta tondi. Che sono tantini, molto spesso sembrano così pochi, e la distanza non sembra sempre giusta. Ogni volta che i conti non tornano Porco pare resistere come l’immagine più romantica dell’antifascismo disegnato a ogni latitudine.

Per esempio in Spagna, per le elezioni di due anni fa, quando divenne il simbolo virale per la chiamata a un voto che scongiurasse ascese oltranziste: improbabile aviatore italiano, supereroe a sua insaputa, patrimonio universale. Un po’ di più per chi da queste parti si trova a pensare che forse è dall’alto la giusta distanza. Come una fanciulla che sa bene che di sotto i prati sono verdi anche negli anni tinti di nero, e persino dall’abitacolo di un aereo da guerra “il mondo è stupendo”.

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