I film contemporanei si dividono in cinque categorie: commedie, drammi, horror/fantascienza, supereroi e Tom Cruise. L’attore 61enne è andato ben oltre l’essere una star da locandina per diventare un genere cinematografico tutto suo, una sorta di one-man blockbuster che si ispira liberamente ad altri, ma aggiunge qualcosa di speciale: carisma, abilità nel vendersi, azione spericolata, corse infinite e, be’, il suo sorriso a 36 denti. Come ci ha ricordato Top Gun: Maverick, aka il film che ha salvato l’industry lo scorso anno (cit. Steven Spielberg), Cruise è praticamente una certezza. Al diavolo il passo falso della Mummia: il divo è diventato un’incarnazione del passato e del futuro del cinema come passatempo collettivo, un ritorno ai giorni in cui i giganti camminavano sui red carpet e proteggevano l’intrattenimento sul grande schermo come entità vitale. Hollywood ha un disperato bisogno di lui. Potrebbero anche cambiare l’insegna sulla collina: da Hollywood a Tommywood.
E la saga Mission: Impossible è stata il caposaldo del Cruise nel XXI secolo, per non parlare di un sistema sorprendentemente affidabile per l’action/spy movie, scene perfettamente coreografate e grandi brividi, tutto grazie a Tom. Il franchise all’inizio ha flirtato con gli auteur “larghi”, arruolando Brian De Palma e John Woo alla regia; anche J.J. Abrams ci ha messo del suo. Il divo però qui rimane il vero autore, e questi ingressi nel franchise sono più che altro progetti che lo appassionavano personalmente. Ormai Christopher McQuarrie potrà anche essere il resident director – è la sua terza volta dietro la macchina da presa –, ma la baracca è sempre e solo di Cruise. Non è certo il regista delle Vie della violenza a scalare montagne vere a mani nude, a trattenere il respiro sott’acqua per sei minuti e a saltare da aerei a quasi ottomila metri di altezza. Oppure, per esempio, a guidare una motocicletta giù da un dirupo e fare base-jumping nel baratro di sotto.
Questo è uno degli stunt fai-da-te simbolo che Cruise tira fuori in Mission: Impossible – Dead Reckoning Parte Uno, un titolo pensato per creare un’epica extravaganza di spionaggio e causare crampi dello scrittore in massa ai critici. Probabilmente avete visto i promo della star che si esercita a correre a perdifiato e a scendere ripetutamente su una strada verso il nulla per poi librarsi in aria come Willy il Coyote prima di cadere. Anche se questa vetta non è il momento clou di quella che si rivela essere un’avventura estremamente impegnativa, l’idea folle di Cruise, che si costringe ad alzare la posta ancora una volta per attirare gente in sala, rimane impressionante. L’impegno per questo M:I – cosa mi costa rischiare la vita, le gambe e le braccia, se tiene il pubblico incollato? – è totale, e torna agli albori di questa forma d’arte. Questi film devono tanto a Buster Keaton quanto a Bond o Bourne. Sono film di spionaggio sotto steroidi, intrisi di desideri di morte da comici muti.
E come ogni Mission: Impossible prima, Dead Reckoning si attiene a una formula collaudata che essenzialmente funge da stringa per collegare una sequenza d’azione a quella successiva. La situazione: un sottomarino invisibile russo viene attaccato dai suoi stessi siluri. Il MacGuffin: una chiave a forma di croce che l’ufficiale capo del sottomarino possiede e che però scompare; una volta inserito questo oggetto in una controparte identica, la chiave composita sbloccherà… qualcosa. La mente colpevole dietro tutti gli imbrogli che minacciano il mondo: un programma di Intelligenza Artificiale che è diventato senziente, molto ricercato e incredibilmente instabile. (Dovete dare a Cruise quel che è di Cruise: c’è l’odio per ciò che lo streaming ha fatto all’industria cinematografica, e poi c’è la trasformazione del supercriminale del nuovo film in una macchina-algoritmo per uccidere.) L’unica persona che può fermare l’Armageddon dell’I.A. è… be’, lo sapete.
È una missione che l’Ethan Hunt di Cruise decide di accettare, e dopo qualche incontro clandestino, alcuni smascheramenti doverosi e diverse scene meglio classificate come Exposition: Inevitable, il prediletto della Impossible Mission Force riunisce la maggior parte della banda. Grazie alla coorte di lunga data di Hunt, Ilsa Faust (che Dio ti benedica, Rebecca Ferguson), hanno già la prima parte della chiave. Devono solo individuare e procurarsi la seconda, magari prima che altri personaggi interessati e meno ben intenzionati ci mettano le mani sopra, e capirne lo scopo. Se una ladra professionista di nome Grace (Haley Atwell), che ruba il pezzo a cui stanno dando la caccia durante un potenziale rendez-vous in un aeroporto, può aiutare Ethan e l’I.M.F. a non essere coinvolto, tanto meglio.
“Chiunque controlli l’Entità controlla la verità”, dice un personaggio, stabilendo fin dall’inizio la posta in gioco assurdamente alta. Ma come sintesi di questo modus operandi nella trama di Mission: Impossible, indicheremmo lo scambio in cui Grace chiede maggiori dettagli su un piano e l’assistente perennemente stressato interpretato da Simon Pegg risponde: “Tendono solo a mettersi in mezzo”. Potete provare a districare la matassa in cui si inseriscono personaggi secondari come gli agenti dell’Intelligence col volto di Shea Wigham e Greg Tarzan Davis o spremervi le meningi chiedendovi se Esai Morales e Pom Klementieff, aka Mantis dei Guardiani della galassia, siano fanatici dell’Intelligenza Artificiale o semplicemente mercenari di livello superiore. Non si è mai del tutto sicuri se i volti più familiari, alcuni dei quali vengono strappati per rivelarne altri sottostanti (il trucco della maschera non invecchia mai), si presentino per ragioni che sembrano più nostalgiche che propriamente narrative.
Tutto questo però sembra secondario rispetto alla missione in questione, d’altra parte questi film raramente riguardano la storia. Potreste dover dare un’occhiata a Wikipedia per ricordare qual è la “trama” del capitolo precedente, M:I – Fallout del 2018. Ma probabilmente ricordare quel salto col paracadute, la rissa in bagno in cui Henry Cavill sfoggia bicipiti che sembrano cannoni e lo sguardo incandescente che la Vedova Bianca di Vanessa Kirby rivolge a Cruise prima che lei lo baci compulsivamente. Dead Reckoning non arriva mai a quel livello (probabilmente Fallout è il migliore della saga), anche se McQuarrie (e i co-sceneggiatori Bruce Geller ed Erik Jendresen) inventano scene pazzesche e il cast si ritaglia momenti indipendenti che ci accompagnano oltre i titoli di coda. C’è un inseguimento in macchina per le strade di Roma che coinvolge manette, scale interminabili e una Fiat 500 delle dimensioni di un ditale che sembra uno svitato Il club dei 39 in miniatura. Un tipico combattimento due contro uno si svolge nel vicolo più stretto di sempre. Il climax a bordo di un treno in fuga inizia rendendo omaggio al finale esplosivo dell’originale M:I e termina con Cruise e Atwell che combattono la gravità, e un’auto alla volta che precipita lentamente.
C’è anche quel pubblicizzatissimo salto in moto, sorprendentemente così così rispetto alle passate acrobazie potenzialmente mortali di Cruise; colpa della presentazione, che non rende giustizia alla tostissima preparazione ed esecuzione della sequenza. Ovviamente è impossibile non reagire, perché sappiamo che è la star del cinema che si impegna di più al mondo a volare nell’aria con la massima facilità. Ed è di questo che parlano davvero questi film: non di disordini geopolitici, non di aggeggi e gadget all’avanguardia, non del lavoro di squadra dell’I.M.F. Non si tratta di cenni alla serie tv che ha ispirato il franchise, perché il materiale originale è stato a lungo eclissato a questo punto, né si tratta di commenti in stile cavallo di Troia sugli eventi attuali attraverso la lente leggera del multiplex. (C’è voluto del tempo per fare questo film, che sta arrivando nei cinema proprio quando la preoccupazione sulle frontiere dell’Intelligenza Artificiale ha raggiunto il suo apice, ma l’attesa per la seconda parte ruota attorno a un sottomarino russo scomparso – un punto della trama datato nello stesso decennio in cui è iniziata la carriera di Cruise.)
Riguardano tutti Tom, l’uomo che sta cercando di fare l’impossibile: realizzare blockbuster alimentati dallo star power in un’epoca in cui l’I.P. regna, attraverso film d’azione che provano a sembrare altamente artigianali e accessibili a livello globale. Ci sono due maschi alfa ipercompetenti bloccati in un’ecosfera di burocrati beta, cattivi egocentrici e indovini spaventati, nell’intero universo M:I. Solo uno di loro sembra essere immaginario. Dead Reckoning Parte Uno è semplicemente l’ultima puntata della visionquest di Cruise non solo per mantenere vivo il cinema, ma anche per proteggere un’intera definizione vecchia di decenni di cosa sia un certo tipo di film prima di farlo scomparire. Non sappiamo se la seconda parte manterrà la macro o micro promessa di questo capitolo. Quello che diamo per certo è che Cruise continuerà a rischiare la vita per farci dire “Wow!” finché riuscirà a respirare, nel caso scegliessimo di accettare la sua missione. Questa recensione si autodistruggerà tra cinque, quattro, tre, due….