Riconoscerete il momento più divertente ed entusiasmante del Gladiatore II quando lo vedrete. Il picco di dopamina dell’atteso sequel di Ridley Scott, vincitore del premio Oscar nel 2000, non è la scena della battaglia di apertura, in cui Paul Mescal e i suoi compagni scatenano l’inferno sui centurioni romani che li attaccano. Non è quando Mescal è costretto a combattere contro un babbuino rabbioso, e il rubacuori irlandese vince mordendo selvaggiamente il braccio della scimmia. Non è quando un rinoceronte in carica sbrana uno sfortunato gladiatore, né quando viene ricreata un’enorme battaglia navale all’interno di un Colosseo allagato, con tanto di squali affamati. E nemmeno quando Mescal affronta finalmente il generale interpretato da Pedro Pescal in uno scontro estremamente freudiano, ovvero la resa dei conti che il film ha promesso per quasi due ore.
Piuttosto, la scena che spicca in questo enorme e ultraviolento spettacolo di spade e sandali è una delle più semplici: un uomo entra nel suo posto di lavoro. Ma quell’uomo è interpretato da Denzel Washington. E il suo posto di lavoro è una fossa in cui i prigionieri di guerra devono dimostrare di essere idonei a diventare i gladiatori che intratterranno i patrizi dell’Antica Roma. Quest’ultimo dettaglio è quasi superfluo per rendere la sequenza così emozionante. E non si tratta solo di chi entra nell’inquadratura, ma anche di come lo fa. “Si aggira” è una parola troppo cauta per descrivere il modo in cui Washington, vestito di abiti ornamentali, con le braccia che oscillano e un passo saltellante, si avvicina al suo trono personale, pronto a vedere chi è degno della sua attenzione. Idealmente, la grande emozione di questa scena sarebbe vedere il giovane e affascinante protagonista di questo blockbuster affondare i denti in un scimmione impazzito. Ma ciò che fa salire l’adrenalina è il modo in cui, dopo aver osservato con attenzione il comportamento più barbaro che si possa immaginare, Washington pronuncia due parole: “Lo compro”.
Anche se non avete ancora visto Il gladiatore II, avrete probabilmente sentito dire che Washington “ruba” il film nel momento in cui entra in scena e lo tiene comodamente nascosto nella tasca del suo caftano per il resto del tempo. Il suo personaggio – Macrino, un ex schiavo diventato un mezzano degli imperatori – stringe un patto faustiano con il Lucio Vero Aurelio di Mescal: combatti per me e otterrai non solo la libertà, ma anche la possibilità di vendicare la morte di tua moglie. Per Macrino, tuttavia, quel bruto dal carattere deciso è molto più di un semplice gladiatore. È un biglietto d’ingresso nella cerchia ristretta che governa Roma. Gran parte del sequel di Scott segue la strada del precedente, facendo leva sul film originale o facendovi direttamente riferimento: possiamo prevedere la maggior parte delle mosse di Mescal, la reazione delle fazioni in guerra fuori dall’arena, il modo decadente in cui si comportano gli imperatori gemelli. Ma Macrino è un jolly. Non si ha davvero idea di cosa farà dopo, e questo prima di fare il doppio gioco con una testa decapitata.
È un ruolo destinato a entrare nel “Denzel Greatest Hits”, dopo una carriera già ricca di lavori incredibili. Ed è l’esempio perfetto del perché Denzel versione supervillain potrebbe essere il Denzel migliore. L’attore già vincitore di due Oscar non investe mai meno del 100%, anche se il film non merita quello che lui sta portando alla festa; ma con i ruoli da cattivo dà un po’ di più. Ha interpretato medici, avvocati, icone dei diritti civili (americani e africani), poliziotti, soldati, cowboy, piloti, insegnanti, allenatori, principi, re e persone comuni che cercano di tirare avanti. La maggior parte di loro ha almeno un piede ben piantato dalla parte del bene; anche il suo Macbeth inizia come un fedele suddito del regno prima che la sua bussola morale si spezzi in due. Ma se il suo Macrino può mai essere descritto come “buono”, quella versione ha abbandonato la baracca da un bel pezzo, rispetto a quando ne facciamo la conoscenza. Ed è il modo in cui Washington interpreta l’astuzia del suo personaggio, le sue calcolate mosse a scacchi e la sua capacità di usare il caos a suo vantaggio – per non parlare dei gesti e delle risatine che l’attore mette in atto, in perfetta modalità high camp – che lo rende così emozionante da guardare.
È possibile scorgere lampi di Bad Denzel in agguato proprio sotto la superficie di molte delle sue interpretazioni degli ultimi quarant’anni, soprattutto in ruoli che tendono più verso l’antieroe imperfetto e borderline che non verso l’eroe standard (Mo’ Better Blues, He Got Game, Flight, Macbeth). Ma quando lascia che i suoi personaggi si liberino dal guinzaglio e si abbandonino ai loro comportamenti peggiori, si può sentire che Washington attinge a un immaginario collettivo in modo del tutto vertiginoso. Il suo personaggio del Gladiatore II è la “versione Impero romano” di uno spacciatore di strada, uno che sa come adulare i senatori, come disarmare i potenziali nemici con boria (si veda il modo in cui grida “Più vino!” prima di carpire informazioni da un compagno di bevute), come trasformare il famoso sorriso in un ghigno da squalo. Si sente che Washington ha tratto ispirazione da ogni sorta di luoghi già battuti, anche se se cercate dei precedenti per il suo machiavellico stratega, tornate a due ruoli specifici di Bad Denzel.
Il primo è, senza sorprese, Training Day (2001), il palcoscenico definitivo di Ben Denzel, la vetta del XXI secolo di una star del cinema d’autore che compie una spericolata inversione a U. Si sa che il detective Alonzo Harris non è buono dal momento in cui il novellino Jake Hoyt, interpretato da Ethan Hawke, entra nella sua orbita e che il più sboccato della polizia di Los Angeles sta per impartire al suo pupillo un’educazione poco sentimentale su come si gestisce la strada. La pura gioia con cui Harris esercita il suo dominio su tutti coloro che incontra, dai malcapitati studenti universitari agli informatori delle gang, fino ai suoi presunti superiori (“i tre saggi”), esercita l’attrazione che ha una falena verso la luce; Hoyt è la guida turistica che ti permette di andare in giro con questo predatore supremo, ma è per Harris che ti ritrovi a fare il tifo. Non per niente Washington ha vinto il suo secondo Oscar (e il primo come miglior attore protagonista) per aver interpretato questo poliziotto magnetico e completamente corrotto. Ogni volta che il suo personaggio del Gladiatore II batte le dita in modo stravagante, o agita la lingua dopo una battutina allusiva, o alza la voce in un modo che sembra dirci “King Kong non ha niente da invidiarmi!”, si può praticamente sentire Alonzo Harris in piedi appena fuori dall’inquadratura, che applaude silenziosamente per questo collega “alfa” della Città Eterna.
Il secondo è Frank Lucas, il protagonista dell’altra collaborazione di Washington con Sir Ridley Scott: American Gangster (2007). In parte biografico, in parte poliziesco e in parte thriller a sfondo mafioso, il film racconta l’ascesa di Lucas da braccio destro del signore della droga di Harlem Bumpy Johnson a re del traffico di eroina a New York negli anni Settanta. Lucas mantiene la sua posizione sul lucroso mercato dell’eroina soprattutto grazie alla sua capacità di non attirare l’attenzione; la sua caduta finale è accelerata dalla deplorevole decisione di distinguersi per una volta tra la folla e di sfoggiare una pelliccia di cincillà e un cappello in pendant (Lucas non si farebbe mai trovare morto con una delle vesti fluenti e decorate di Macrino). Ma il suo vero superpotere è il modo in cui è in grado di osservare tutto da ogni angolazione restando in disparte e poi fare freddamente la sua mossa. È un cobra umano, paziente, furtivo e disposto a mettere le persone l’una contro l’altra e a raccogliere il bottino solo in seguito; una qualità che anche lo straordinario manipolatore del Gladiatore II possiede in abbondanza. Entrambi preferiscono operare nell’ombra fino a quando non è necessaria una dimostrazione di potere. Si potrebbe obiettare che Lucas non è un cattivo a tutti gli effetti: ha comprato una villa a sua madre. Ma visto il modo in cui interrompe con calma un pasto di famiglia in un ristorante, spara a un rivale per strada e poi torna a riprendere la chiacchiere tra un boccone e l’altro, non lo si potrebbe nemmeno definire un eroe.
Uno dei migliori momenti di Bad Denzel nell’epica parabola di Scott arriva verso la fine, dopo che Lucas è stato catturato e viene interrogato dal suo Javert personale, il detective Richie Roberts: il fatto che sia interpretato nientemeno che dalla star del Gladiatore originale, Russell Crowe, rende la scena ancora più bella. I due uomini si confrontano con discussioni verbali riguardanti la zona grigia tra giusto e sbagliato, e mentre il personaggio di Crowe ha la rettitudine dalla sua parte, il gangster di Washington ha sia il dono della parlantina che l’abilità di far cadere nel dimenticatoio queste nozioni così semplicistiche. È solo uno che ha visto un’opportunità e l’ha colta. Non può fare a meno di essere più furbo e scaltro della concorrenza. E non parlategli di “normalità”. Quando hai vissuto la vita che ha vissuto lui, quell’aggettivo non significa quasi nulla. Là fuori c’è una giungla.
La voce di Washington è seducente, finché non decide di fare sul serio. Per sottolineare un’affermazione, rovescia una tazza di caffè piena. Ma per qualche istante ci si ritrova attratti dall’idea che Lucas non è altro che un uomo d’affari di successo, e che tutto questo è solo il solito business. Il luccichio negli occhi del suo poliziotto di Training Day è presto sostituito dalla freddezza morale del suo personaggio di American Gangster, ma è ancora lì. Ed è proprio il ricordo di questi due supervillain così affascinanti che si affaccia alla mente quando Macrino entra in scena nel Gladiatore II. Washington si basa su ciò che ha fatto in queste due precedenti immersioni nel lato oscuro, prima di infilarsi una toga e decollare verso la stratosfera dell’amore-odio. Si spera che le autorità preposte alla consegna dei premi riconoscano ciò che sta facendo. Ma intanto, ci si ritrova a guardare l’attore mentre si cala ancora una volta nei panni del cattivo. E a dichiarare, con non poca ammirazione: “Questo è il mio Denzel preferito!”.