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‘One to One’, l’epopea rivoluzionaria di John Lennon e Yoko Ono

Il documentario di Kevin Macdonald fuori concorso a Venezia 81 offre in versione restaurata il concerto benefico del 1972 a New York e mostra l’ex Beatle alfiere della controcultura. Impagabili le telefonate con amici e collaboratori, come quando John dice a Jim Keltner preoccupato per l’impegno politico: «Non ho intenzione di farmi sparare»

Foto: Biennale di Venezia

Entro in sala per l’ennesima proiezione della maratona veneziana, di fianco a me una tizia parla al telefono con qualcuno: «Guarda, a dirla tutto l’unico film che mi è davvero piaciuto finora è quello su John e Yoko». E ci sta, perché di titoli belli, anche bellissimi, quest’anno la Mostra ne ha centrati parecchi, ma One to One: John & Yoko di Kevin Macdonald (con Sam Rice-Edwards) ha qualcosa di potentissimo, galvanizzante perfino contagioso.

Prima di tutto c’è un Lennon incendiario post-Beatles, all’apice del suo carisma da alfiere della controcultura e dei movimenti contro la guerra in Vietnam, nonché punto di riferimento per innumerevoli cause: «L’apatia non fa bene e possiamo fare qualcosa. I figli dei fiori non hanno funzionato, e allora?! Riproviamoci!», dice a un certo punto dal palco. E poi c’è Yoko Ono, probabilmente mai così vulnerabile come quando parla della figlia Kyoko, che le è stata portata via, e descrive candidamente a David Peel come si sente ad essere considerata la causa di separazione dei Beatles: «Dicono che sono una giapponese brutta e che mio figlio deve morire. Prima di partorirlo ho avuto tre aborti».

Siamo tra il 1971 e il 1972, la vita nel Regno Unito per la coppia è diventata insostenibile, così i due lasciano la villa inglese di Ascot per trasferirsi a New York in un’appartamento di due stanze nel Greenwich Village, in cui rimangono per 18 mesi prima di stabilirsi nell’Upper West Side. Guardano compulsivamente la tv da quel letto che è diventato un cimelio (e che Macdonald ha ricostruito perfettamente nel doc, a spezzare il ritmo indiavolato), il terrificante reportage di Geraldo Rivera sulla Willowbrook State School for Retarded Children li strazia. Quei ragazzini con disabilità mentali che vivevano in condizione disumane sono «quasi il simbolo di tutto il dolore della Terra» per John che, insieme a Yoko, decide di aiutarli con One to One, il suo unico concerto integrale da quando i Fab Four si esibirono a Candlestick Park. E anche il suo ultimo.

Le immagini dello spettacolo (che raccolse mezzo milione di dollari) sono state restaurate e rimasterizzate, con l’audio remixato supervisionato dal figlio Sean Ono Lennon. Ed è tutto formidabile: dalla band alla carica di John quando attacca con New York City, coverizza Hound Dog, canta Instant Karma, Mother e su Come Together piazza un “Come together, right know, stop the war”. Quando tocca inevitabilmente a Imagine la lacrimuccia ormai è impossibile da trattenere.

Ma il documentario fa molto di più: esplora a tutto tondo l’incessante impegno politico e sociale della coppia al fianco di personaggi come Allen Ginsberg e Jerry Rubin, inserendo il concerto nel vortice della scena politica statunitense e montando immersivamente inni al capitalismo come spot di auto e bevande tra i servizi del telegiornale che mostrano gli orrori del Vietnam e gli inizi del Watergate, seguono la prima rappresentante nera al Congresso, Shirley Chisholm, raccontano del riot nella prigione di Attica e della sparatoria che quasi uccise il governatore dell’Alabama George Wallace.

Il “cuore pulsante” di One to One, come sostiene il regista, però sono le telefonate con amici e collaboratori registrate dagli stessi John e Yoko, terrorizzati dall’idea che le autorità li ascoltassero, e mai svelate prima d’ora: c’è Lennon che vuole organizzare un Free The People Tour, usando i ricavi degli show per pagare la cauzione ad alcuni detenuti in ogni città: «È come essere Jesse James»; c’è Yoko mentre implora l’attivista AJ Weberman, deciso a frugare nei bidoni della spazzatura di Bob Dylan e dimostrarne così l’ipocrisia dopo il successo, di scusarsi perché il cantautore era fondamentale per parlare alla coscienza dei giovani; c’è il batterista Jim Keltner che esprime a John la sua preoccupazione nel suonare a raccolte fondi politiche, al quale Lennon risponde: «Non ho intenzione di farmi sparare». E poi una piccola, irresistibile meraviglia: gli assistenti della coppia d’oro della controcultura sono impegnati a trovare un migliaio di mosche che servono a Yoko per una nuova installazione artistica: «Il problema è che le mosche muoiono in un giorno», sentenzia un gallerista, ma May Pang (sì, quella May Pang, d’obbligo vedere anche un altro doc The Lost Weekend), le trova: «Pare che con del latte si possano tenere in vita per una settimana». LOL. Alla fine di quel periodo John e Yoko si separeranno per 18 mesi. Ma questa è un’altra storia.

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