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Oscar 2023, i nostri pronostici: il miglior film

I titoli candidati sono 10, ma di favorito in tutti i multiversi pare essercene uno solo. Spoiler in foto
Michelle Yeoh in 'Everything Everywhere All at Once'

Foto: Allyson Riggs/I Wonder

Manca pochissimo alla resa dei conti. Finora The Fabelmans ha vinto il Golden Globe come miglior drama e Gli spiriti dell’isola quello come miglior musical/comedy. Il BAFTA invece è andato a Niente di nuovo sul fronte occidentale e ai SAG ha dominato Everything Everywhere All at Once (che ha trionfato anche in quasi tutte le altre guild, da quella dei registi a quella degli sceneggiatori e dei produttori, agli Independent Spirit Awards e per le associazioni di critici americane). Ecco il nostro pronostico.

Avatar: La via dell'acqua

di James Cameron

Il cinema pop d’autore è entrato prepotentemente nella corsa, fortissimo dei 2.282 miliardi di dollari incassati grazie a Pandora. Le nomination sono quattro: oltre a best picture anche scenografia, sonoro ed effetti visivi. Quest’ultima statuetta è assicurata, visto anche che James Cameron si è inventato la tecnologia che serviva perché ancora non esisteva. Questo secondo capitolo della saga ambientalista è una versione aggiornata e amplificata del film originale, nei pregi e nei difetti. Molto difficilmente avrà la meglio, ma se gli esercenti hanno potuto tirare un sospiro di sollievo, è proprio grazie a questo e a un altro sequel (vedi più avanti).

Elvis

di Baz Luhrmann

Solo Baz Luhrmann avrebbe potuto centrare davvero un film sul re de rock’n’roll in tutta la sua gloria e in tutto il suo dramma. In questo biopic sfavillante e strabordante ci sono tutti gli aspetti di Elvis: icona, superstar della musica e tragedia a stelle e strisce. Attraverso il dualismo tra la star e il suo manager (interpretato da un Tom Hanks fuori dalla sua solita comfort zone), Luhrmann fa della storia di Elvis un grande romanzo americano. Che non funzionerebbe allo stesso modo senza il suo straordinario protagonista, Austin Butler, in grado di arrivare al cuore del mito. Delle otto candidature, quella più vicina a tramutarsi in statuetta è proprio quella per il miglior attore. E poi ci sono le categorie “tecniche”: tifiamo per Aldo Signoretti, nel team make-up and hairstyling del film.

Everything Everywhere All at Once

di Daniel Kwan, Daniel Scheinert

Piano piano il multiverso della magnifica Michelle Yeoh si è fatto strada nella stagione dei premi. E agli Oscar arriva con 10 candidature tutte “pesanti”, compresa ovviamente quella per la sua protagonista. Perché EEAAO, oltre a essere un formidabile bigino della carriera della diva asiatica, è un film come nessun altro, che passa con disinvoltura dal romanticismo à la Wong Kar-wai a sequenze action mirabolanti degne di Jackie Chan. Un’operazione indie ad altissimo tasso di creatività che nei mesi è diventata un vero e proprio fenomeno anche al box office. Senza contare il messaggio di diversity e inclusione: vivere in un Paese differente da quello di origine è come esistere in diverse realtà parallele, gridano i Daniels tra un’incarnazione e l’altra. Se l’Academy vuole stare nel mondo, deve intercettare queste piccole grandi rivoluzioni. E probabilmente lo farà.

The Fabelmans

di Steven Spielberg

Per un po’ sembrava che questa lettera d’amore alla settima arte non avesse rivali. Perché l’Academy adora le storie “meta”, intrise di cinema e, ça va sans dire, venera Steven Spielberg. In questo family drama che incontra il coming of age, il regista mette in scena la sua infanzia e adolescenza per raccontare le sue radici di Autore, che avrebbe fatto (e continua a fare) la storia del cinema. The Fabelmans è un film a cui è impossibile non voler bene. E crediamo che, su sette nomination (tra cui regia, attrice, attori supporting, score, sceneggiatura originale e scenografia), qualcosa porterà a casa.

Niente di nuovo sul fronte occidentale

di Edward Berger

Il tedesco Edward Berger era già noto al circuito ammerigàno: vedi le sue regie in serie acclamatissime come Patrick Melrose, The Terror e Your Honor. Ma non era affatto scontato che il suo ritorno in patria arrivasse fino agli Oscar. E invece farà il suo ingresso alla Notte delle Stelle come uno dei titoli più nominati di sempre (e uno dei maggiori successi “istituzionali” di Netflix): nove candidature in totale, inclusa appunto quella per il miglior film. L’adattamento del romanzo di Erich Maria Remarque, che descrive gli orrori della Prima guerra mondiale ma soprattutto i traumi di chi resta, è un classico filmone bellico che però non rinuncia a lampi di contemporaneità. Si prevede un buon piazzamento nelle categorie tecniche, e la statuetta per il miglior film internazionale è praticamente blindata.

Gli spiriti dell'isola

di Martin McDonagh

La storia quasi folcloristica di due amici che diventano improvvisamente nemici come metafora di una nazione, l’Irlanda, sull’orlo di una guerra civile è un film meno scatenato rispetto al solito pulp tra irriverenza e poesia di McDonagh, ma è anche un ritorno alle sue radici teatrali. È un opera dolente e magnifica con una coppia di protagonisti (Colin Farrell e Brendan Gleeson) in stato di grazia e dei supporting (Kerry Condon e Barry Keoghan) da applausi. Nove candidature, di cui quattro per gli attori più regia, montaggio, score e sceneggiatura originale. Per quest’ultima ha già vinto Golden Globe e BAFTA e potrebbe spuntarla (anche se, con le stesse premesse, per Tre manifesti a Ebbing, Missouri non era andata come previsto). Ma, tristemente, niente di più. In questa Awards Season ci sono titoli che fanno più rumore. Peccato.

TÁR

di Todd Field

Che cos’è TÁR? Un (falso) biopic? Un thriller venato di horror in stile Żuławski? Un film sull’epoca che viviamo, fatta di empowerment femminile e cancel culture? Forse tutto, forse niente. A 16 anni dall’ultima regia (Little Children), Todd Field firma un film che una volta sarebbe stato considerato fin troppo sperimentale (per capirci) e che oggi rappresenta invece il mainstream di quest’era di passaggio, in cui serie e piattaforme sono il nuovo pop e il cinema tradizionale può tornare a inventare tutto. Ma TÁR è, soprattutto, un monumento a Cate Blanchett (che non vincerà il terzo Oscar, ma questa è un’altra storia), attrice e performer totale che rende più vera del vero questa direttrice d’orchestra che fa di tutto pur di non perdere il suo potere. E che trasforma una perfetta stronza in un personaggio da adorare.

Top Gun: Maverick

di Joseph Kosinski

L’ha detto lo stesso Spielberg a Tom Cruise al tradizionale Academy Luncheon: «Hai salvato il cu** a Hollywood. E potresti aver salvato la distribuzione nelle sale». Niente di più vero: con 1.488 miliardi di dollari al botteghino, il sequel di Top Gun è stato il maggiore incasso del 2022, in piena crisi nera del rito della sala. Maverick è una perfetta operazione nostalgia che però è stata anche capace di aggiornarsi benissimo al presente. Forte di cinque candidature (anche sceneggiatura non originale, effetti visivi, montaggio e sonoro), il sequel di Top Gun non vincerà best picture, ma è la testimonianza di una sacrosanta attenzione al cinema pop. Che poi è quello che permette all’industry di andare avanti.

Triangle of Sadness

di Ruben Östlund

Il cinepanettone per cinéphile (pardon) conquista pure l’Academy. Palma d’oro a Cannes 2022 (la seconda per lo svedese Ruben Östlund dopo quella vinta nel 2017 con The Square), Triangle of Sadness è il cavallo diesel che ha fatto la corsa più lenta ma inesorabile verso i massimi premi della Awards Season. Candidato anche per la regia e la sceneggiatura originale, è la presenza d’auteur che, con gli anni, è sempre più facile incrociare al Dolby Theatre, merito anche dell’allargamento “global” della giuria. La parabola tragicomica del naufragio dei ricchi (e, forse, del riscatto dei poveri) è la Grande Metafora che segue l’onda lunghissima di cult come Parasite. A differenza del “collega” sudcoreano, non vincerà niente. Ma la barca è arrivata fin qui, e comunque non è poco.

Women Talking - Il diritto di scegliere

di Sarah Polley

La quota rosa di questa categoria, e anche degli Academy Award 2023 in generale. Sarah Polley, attrice eccellente (Il dolce domani, eXistenZ) e regista forse ancora più sensibile (Lontano da lei, Take This Waltz, Stories We Tell), adatta il romanzo senza tempo Donne che parlano di Miriam Toews per indagare il nostro, di tempo. Il racconto di un gruppo di donne di una comunità mennonita che si ribellano agli abusi dei maschi sintetizza “la conversazione” avviata dal MeToo e ancora irrisolta; ma, per paradosso, non diventa mai un comizio pedante. Grandissime attrici (Claire Foy, Rooney Mara, Jessie Buckley e un cameo di Frances McDormand) e un set scarno che però non traduce mai il film in teatro filmato. Lo scandalo, per molti, è che Polley non sia stata candidata tra i registi. Ma con tutta probabilità vincerà l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale, e giustizia sarà fatta.

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