Christopher Nolan
Oppenheimer
Pare assurdo, ma Christopher Nolan non ha mai vinto un Oscar. Di più, è stato nominato soltanto una volta in questa categoria (nel 2018 per Dunkirk). Con Oppenheimer avrebbe potuto scrivere un biopic tradizionale, e invece ha girato un thriller che gioca con il tempo in puro stile nolaniano, trasformando la storia dell’uomo che inventò l’atomica in qualcosa di epico, esistenziale, intimo e clamorosamente cinematografico. Senza contare che si tratta della metà di quel fenomeno culturale, Barbenheimer, che ha dato nuova linfa al cinema. Nolan è uno dei pochi registi contemporanei il cui nome sopra il titolo significhi davvero qualcosa. E ha già vinto come “best director” ai Directors Guild of America Awards: 9 su 10 dei premiati negli ultimi anni hanno poi portato a casa l’Oscar.
Yorgos Lanthimos
Povere creature!
Il regista greco è forte delle ben 11 nomination per il suo Povere creature!, da molti considerato il suo miglior film, già Leone d’oro a Venezia 80. Dopo La favorita (che gli regalò la sua prima candidatura alla regia e valse la statuetta come attrice a Olivia Colman), Lanthimos ritrova Emma Stone, la cui performance sembra averle spianato la strada per una vittoria (Gladstone permettendo): più che la versione femminile di Frankenstein, Bella Baxter infatti è una Barbie punk sulla via di un’emancipazione estrema, di un fuck you al patriarcato ancora più urlato e sì, – letteralmente – goduto. Lanthimos è un virtuoso del bizzarro e del destabilizzante: per questo romanzo gotico dalla vibe steampunk-retrofuturista ha creato un mondo straordinario, artificiale, contorto. Se non sarà Nolan, potrebbe toccare a lui.
Martin Scorsese
Killers of the Flower Moon
Per l’81enne (!) Marty è la decima nomination alla regia in carriera, anche se ha vinto una sola volta (per The Departed – Il bene e il male nel 2007). E, dopo la strepitosa accoglienza sulla Croisette, Killers of the Flower Moon è diventato uno dei film preferiti dalla critica in questa stagione. Il vibrante rovesciamento dell’epica americana by Scorsese, che corre per 10 statuette (comprese quelle di attrice per Gladstone e supporting per De Niro), dimostra che il suo cinema è ancora attualissimo, urgente e vitale. E che la sua mano dietro la macchina da presa fa ancora davvero la differenza. La sua (seconda) vittoria non stupirebbe, e sarebbe un bellissimo modo per Hollywood di celebrare uno dei suoi maestri.
Justine Triet
Anatomia di una caduta
È poco probabile che la statuetta vada a Justine Triet, ma questo non rende la sua presenza in questa cinquina meno importante: è l’ottava donna candidata alla regia nella storia degli Oscar e ha sbaragliato la concorrenza di Celine Song (Past Lives), ma soprattutto quella – ingombrantissima – di Greta Gerwig (Barbie). Dopo aver conquistato la Palma d’oro a Cannes, il suo Anatomia di una caduta è stato nominato in ben cinque categorie, comprese quelle “pesanti” di miglior film e sceneggiatura originale. Negli ultimi tre anni però l’Oscar per la regia è andato a due donne. E a questo giro non toccherà a Justine.
Jonathan Glazer
La zona d’interesse
Così come quello di Triet, il nome di Glazer tra i candidati testimonia la rinnovata attenzione dell’Academy per gli autori europei. Il suo dramma sull’Olocausto visto dalla lussuosa villa del comandante di Auschwitz che confina con il campo è il suo capolavoro, riconosciuto prima di tutto a Cannes (Grand Prix) e non solo. Il regista ha già ipotecato la vittoria della Zona d’interesse come miglior film internazionale, collezionando altre quattro nomination molto rilevanti. E c’è chi sponsorizza a gran voce la necessità che il lungometraggio vinca come miglior film. Ma la statuetta per la regia quest’anno andrà a Nolan.