Adrien Brody
The Brutalist
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Foto: Universal
Per Il pianista di Roman Polański, Brody è stato il più giovane vincitore dell’Oscar come attore protagonista nella storia: era il 2003 e gli mancavano poco più di tre settimane ai 30 anni. Ora ne ha 51, questa è la sua seconda candidatura e l’ha ottenuta per un personaggio che pare l’evoluzione naturale di Władysław Szpilman: László Tóth, architetto ebreo ungherese sopravvissuto ai lager che insegue l’American Dream. Grazie a un’interpretazione monumentale, magnifica, totalizzante, finora si è portato a casa quasi tutti i premi “che pesano”: Golden Globe come miglior attore in un film drammatico, Critics Choice Award e BAFTA (gli è sfuggito soltanto il SAG ieri sera). Se all’inizio della awards season la concorrenza sembrava più serrata, ora Brody sembra piuttosto lanciato. A meno che le polemiche sul suo ungherese “sistemato” con l’AI non spaventino troppo Hollywood. E in quel caso ci sarebbe un altro illustre candidato già prontissimo…
Timothée Chalamet
A Complete Unknown
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Foto: Searchlight Pictures
Se vincesse, Chalamet potrebbe strappare il primato di più giovane “best actor” a Brody, con 268 giorni di vantaggio. Meravigliosamente calato nei panni di Bob Dylan, dal suo arrivo a New York nel 1961 al going electric nel 1965, Timmy ha raccolto recensioni uniformi ed entusiastiche da critica e pubblico ed è stato nominato a tutti i premi, portandone a casa finora soltanto uno, ma certamente rilevante: quello assegnato dai colleghi attori, il SAG Award. Dylan è l’eroe dei boomer, l’Academy vuole conquistare la Gen Z (chi meglio del loro, di eroe?) e Chalamet ha davvero dato tutto per entrare nel personaggio (compreso imparare a suonare perfettamente armonica e chitarra), oltre a piazzare tra i film candidati in diverse categorie anche Dune – Parte due, che ha fatto la sua parte nel salvare le sale quest’anno. I votanti però potrebbero anche non apprezzare troppo il suo modo scanzonato di fare promozione e pensare che Timmy di tempo ne avrà ancora parecchio per essere riconosciuto.
Ralph Fiennes
Conclave
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Foto: Focus Features
Ralph Fiennes è alla terza nomination all’Oscar (le altre due erano arrivate come supporting per Schindler’s List e come protagonista per Il paziente inglese), ma non ha mai vinto. E questa potrebbe essere una buona occasione per l’Academy di premiare un collega stimatissimo (e british). In più la sua performance as il cardinale Lawrence, incaricato di organizzare e condurre in porto l’elezione del nuovo Papa, è molto sottile e poco urlata. Resta il cuore di un film che però è anche percepito come parecchio corale (sono mancate nomination individuali per Stanley Tucci, John Lithgow… l’unica eccezione è Isabella Rossellini) e che infatti ha già vinto il Critics Choice come miglior cast, ad esempio. Insomma, si tende a prediligere l’insieme sul singolo (vedi anche il BAFTA come miglior film), quindi non sarà facile per lui.
Colman Domingo
Sing Sing
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Foto: A24
È la seconda candidatura per l’attore dopo quella per il biopic Rustin, dove interpretava appunto l’attivista per i diritti civili Bayard Rustin. Non c’è una persona a Hollywood che non sia un estimatore di Domingo e anche il ruolo di John Whitfield, alias “Divine G”, che sconta la pena per un crimine che non ha commesso a Sing Sing e trova uno scopo nel programma di riabilitazione teatrale, è al centro di una di quelle storie (vere) costruttive e di riscatto che piacciono all’Academy. Questo però è un film ancora più corale di Conclave, e la concorrenza quest’anno è davvero troppo forte. E poi Colman verrà nominato (giustamente) nei secoli dei secoli finché non vincerà. Amen.
Sebastian Stan
The Apprentice – Alle origini di Trump
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Foto: Metropolitan Filmexport
Sebastian Stan (alla sua prima nom) è l’outsider della cinquina, così come il collega Jeremy Strong fra i supporting: la loro candidatura è stata piuttosto inaspettata. Perché questo è il biopic sui propri inizi che nessun presidente neo-eletto, men che meno Trump, vorrebbe vedere. Ed è vero che l’industry cinematografica disprezza The Donald più di chiunque altro e godrebbe non poco a premiare Stan per castigare Trump. Il problema però è che Hollywood inizia a temere davvero Trump, ed è anche ben consapevole che una buona parte del pubblico lo ha pure votato. Sarà per la prossima, Sebastian.