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Oscar 2025, i nostri pronostici: il miglior film

‘Anora’ è il frontrunner, ma ‘Conclave’ spera in una fumata bianca. E ‘A Complete Unknown’ potrebbe essere la sorpresa. Ecco le previsioni della vigilia, in rigoroso ordine di probabilità di vittoria

Foto: Universal Pictures

Anora

Sean Baker

Certo, in principio fu la Palma d’oro. Ma solo tre film nella storia sono riusciti a bissare agli Oscar il successo sulla Croisette: uno è recente (Parasite nel 2020), ma altrimenti bisogna andare indietro di parecchio (Giorni perduti di Billy Wilder nel 1946 e Marty, vita di un timido di Delbert Mann nel 1956). Secondo i pronostici generali, il film di Sean Baker dovrebbe confermare la doppietta. Partito un po’ in sordina all’inizio della Awards Season, Anora ha messo il turbo nelle ultime settimane, confermando la sua posizione di frontrunner. Sarebbe il trionfo del cinema indie e low budget e di un autore che non ha mai voluto scendere a patti con Hollywood. Ma senza rabbia, solo per dimostrare che esiste un cinema “altro”. Di cui anche l’Academy ha dovuto finire per accorgersi.

Conclave

Edward Berger

Da un bestseller überpop, un film diventato un po’ inaspettatamente “Oscar material“. Merito della regia del tedesco Edward Berger, già trionfatore due anni fa fra i titoli internazionali con Niente di nuovo sul fronte occidentale (ma quest’anno non ha, altrettanto a sorpresa, incassato la nomination come regista), del supercast (con in testa il bellissimo “momentum” di Isabella Rossellini) e dalle confezione d’auteur deluxe. E nelle ultime settimane le sue quotazioni si sono impennate: vedi la vittoria come “best ensemble” ai SAG, un premio che spesso è indicatore degli umori dei votanti anche degli Oscar. Potrebbe ancora essere fumata bianca…

The Brutalist

Brady Corbet

L’opera monstre di Brady Corbet, che si qualifica come autore dopo due titoli già assai promettenti (The Childhood of a Leader – L’infanzia di un capo e Vox Lux), è un film bigger than cinema. Non solo per la durata (quasi quattro ore, intervallo compreso), ma anche e soprattutto per l’idea di realizzare una produzione che dialoga sì con il passato (vedi il formato VistaVision “riesumato” per l’occasione), ma per rendere rilevante il cinema di oggi, (ri)pensato come evento ed esperienza che dal divano di casa non puoi fare. Alcuni votanti, proprio per la lunghezza, non l’hanno nemmeno visto tutto (o almeno così dichiarano fonti anonime a Variety), e questo è il segno che difficilmente vincerà. Ma mai dire mai.

A Complete Unknown

James Mangold

L’underdog – si fa per dire, visti i nomi e i soldi coinvolti – di questa Awards Season. Ma di fatto è andata così: il biopic di Bob Dylan non è stato presentato a nessun festival, è uscito negli Stati Uniti il giorno di Natale e ha conquistato a poco a poco i critici e soprattutto gli spettatori (al momento siamo a 110 milioni di dollari al box office internazionale), che sono stati il vero volano per i premi “pesanti” dei mesi a venire. L’uragano Timmy ha fatto il resto. Un film classico e insieme “Gen Z”, che piacerà non solo ai membri più anziani dell’Academy. Se si vuole andare sul sicuro, questa è la scelta più ovvia.

Wicked

Jon M. Chu

L’altra scelta sicura è questo musical in stile Old Hollywood che sembra confezionato per strappare premi. O, almeno, sembrava: la nomination al regista Jon M. Chu non è arrivata, la posizione di Cynthia Erivo e Ariana Grande nelle rispettive cinquine si è via via indebolita (ma il loro resta il migliore press tour della stagione: vedere i meme per credere) e il trionfo nella notte del 2 marzo sembra annunciato solo nelle categorie tecniche. Ma intanto il botteghino ringrazia: con oltre 720 milioni di dollari di incasso, è l’adattamento di uno show di Broadway di maggior successo di sempre. E non dimentichiamoci che a novembre esce il capitolo 2: che i votanti dell’Academy stiano aspettando gli Oscar 2026?

Emilia Pérez

Jacques Audiard

Con le sue 13 nomination, è il film in lingua non inglese più nominato di sempre. Ma questo record che gli permette di entrare al Dolby Theatre da papa andrà probabilmente a vuoto, facendolo uscire cardinale. O quasi: ancora si spera nelle statuette per la miglior attrice non protagonista (Zoe Saldaña) e la miglior canzone originale (El mal). Ma di certo, per colpa principalmente dello scandalo sollevato dai vecchi tweet razzisti della protagonista Karla Sofía Gascón, non si realizzerà quello che Netflix sognava: dopo aver perso il trofeo di best picture con Roma di Cuarón, il nuovo player dello streaming contava nel musical di Audiard per essere consacrato ai piani alti del cinema. Provaci ancora, Ted.

Io sono ancora qui

Walter Salles

E mentre Emilia Pérez retrocede, ad aumentare le sue chance è il concorrente “brasilero”, di sicuro nella categoria miglior film internazionale. Ma poi è arrivata, un po’ a sorpresa, anche la candidatura fra i migliori film tout-court. Passato a Venezia 81 con grande successo di critica, è il vero dark horse di quest’annata. Non vincerà nella decina più pesante, ma ha segnalato all’attenzione globale una star brasiliana (Fernanda Torres) e rimesso sullo scacchiere un autore, Walter Salles, che aveva già “dialogato” con l’Academy in passato (vedi Central do Brasil, per cui era stata nominata anche la madre di Torres, Fernanda Montenegro, e I diari della motocicletta). La vittoria è già questa.

I ragazzi della Nickel

RaMell Ross

In altre annate, sarebbe stato questo il titolo da battere. Alla base c’è il romanzo di un Premio Pulitzer (Colson Whitehead), una storia che fa i conti con la Storia (e in particolare la questione “Black Lives Matter” non ancora risolta) e una confezione insieme classica e contemporanea. E allora, cos’è andato storto? Nonostante il consenso unanime della critica, il film ha faticato ha farsi strada in una Awards Season più imprevedibile che mai. E il suo regista RaMell Ross, con all’attivo un unico e “invisibile” film (Hale County This Morning, This Evening del 2018) non è evidentemente sembrato abbastanza forte, tanto che non è arrivata una nomination fra i best director. Ma è un autore che è qui per restare, ne siamo certi.

The Substance

Coralie Fargeat

“Mi ha disgustato”: è il commento di un votante (ovviamente anonimo) interpellato sempre da Variety. Anche solo per questo, stupisce vedere un body horror così grandguignolesco candidato fra i migliori film. Per alcuni è stata un po’ una sorpresa, ma a portarlo qui sono stati due fattori determinanti: il fatto che fosse scritto e diretto da una donna (Coralie Fargeat, candidata anche come miglior regista) che usa il genere per parlare, letteralmente, dei corpi delle donne oggi; e ovviamente la presenza di Demi Moore, che si specchia nel suo personaggio di “popcorn actress” (cit. sua) dimenticata e scrive la più bella parabola hollywoodiana di questa stagione. Tiè.

Dune – Parte due

Denis Villeneuve

Il curioso caso di Denis Villeneuve: magari qualcuno scriverà questa storia, un giorno. Tra i migliori autori del panorama attuale, il regista canadese ha all’attivo una sola nomination come miglior regista (nel 2017 per Arrival, se non si conta la candidatura nel 2010 per il suo La donna che canta fra i migliori film internazionali). E la parabola sci-fi tratta dal ciclo di Frank Herbert sembra non aver convinto del tutto l’Academy. La nom a miglior film sembra più un atto dovuto (anche a fronte degli oltre 700 milioni di dollari di incasso globale) che il vero riconoscimento di un Autore (sì, con la maiuscola). Prima o poi quella statuetta arriverà, ma non è ancora questo il giorno.

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