Sean Baker
Anora
Anora è tra i favoriti per la vittoria a miglior film, quindi non è certo una sorpresa che Sean Baker sia in lizza come miglior regista, e che sia pure lanciatissimo. La storia dell’erotic dancer-turned-Cenerentola dopo l’incontro con il figlio di un oligarca russo fonde alla perfezione tutte le caratteristiche del suo cinema: il dramma incentrato sui personaggi, la commedia screwball, il realismo local e lo sguardo umanissimo. Dopo Tangerine, Un sogno chiamato Florida e Red Rocket, l’Academy ha deciso che era finalmente arrivato il suo momento. Certo, dopo la Palma d’oro era facile (a proposito: quattro registi dei precedenti cinque film vincitori a Cannes sono stati nominati, ma soltanto Bong Joon-ho ha vinto per Parasite: Baker farà altrettanto?). Il regista ha anche portato a casa il premio della Directors Guild of America, una vittoria che storicamente garantisce (o quasi) l’Oscar. Aggiungiamo pure il riconoscimento della Producers Guild e si può tranquillamente dire che Baker sia il frontrunner senza se e senza ma. A meno che…
Brady Corbet
The Brutalist
… l’Academy non decida di separare il premio per il miglior film e quello per il miglior regista (è successo circa il 30% delle volte). E sarebbe certamente un buon modo per riconoscere l’eccezionale lavoro di Brady Corbet. Il regista di The Brutalist comunque arriva all’appuntamento con qualche asso nella manica: in primis il Leone d’argento per la regia a Venezia (anche se prima di lui solamente Jane Campion per Il potere del cane è riuscita a trasformare il Leone in Oscar), il Golden Globe e il BAFTA. La polemica sull’utilizzo dell’AI potrebbe nuocergli? È possibile. Ma quello che ha fatto Corbet con questa epica visivamente magnifica che ricorda nella portata, nell’eccesso e nell’ambizione i progetti degli anticonformisti della New Hollywood (tra l’altro: on a budget!) lo piazza di diritto tra i più importanti autori contemporanei e non solo. Come Il potere del cane, Revenant – Redivivo e Gravity, The Brutalist è un film tecnicamente impressionante dal punto di vista registico. Ed è quindi possibile che l’Academy decida di premiarlo.
James Mangold
A Complete Unknown
James Mangold è l’incognita di questa corsa: la sua presenza in cinquina è arrivata un po’ a sorpresa dopo che non era stato candidato a BAFTA, Critics’ Choice o ai Golden Globe, ma invece è stato riconosciuto ai DGA (che però alla fine hanno premiato Baker). È la prima nomination per Mangold, visto che suoi film come Le Mans ’66 – La grande sfida, Logan e Walk the Line – Quando l’amore brucia l’anima erano in lizza per diversi Oscar, ma mai per la regia. E la sua candidatura è la testimonianza di quanto l’Academy apprezzi il suo lavoro (anche come sceneggiatore) e quello del cast e delle maestranze coinvolte nel film biografico su Bob Dylan (vedi anche la vittoria di Timothée Chalamet ai SAG): la sensazione insomma è che A Complete Unknown potrebbe fare molto meglio agli Oscar di quanto previsto. E certamente la sua capacità di piegare il modello del biopic musicale al suo soggetto sfuggente ed enigmatico (His Bobness) meriterebbe.
Jacques Audiard
Emilia Pérez
Dopo il debutto di Emilia Pérez a Cannes (dove il film ha vinto il Premio della giuria e la Palma per le attrici: Gascón, Saldaña, Gomez e Paz) e l’acquisizione da parte di Netflix, all’inizio la strada sembrava piuttosto in discesa anche per Audiard. Certo, il regista francese non ha un rapporto intenso con l’Academy (una sola nomination come miglior lungometraggio internazionale nel 2010 per Il profeta), ma le sue candidature a Golden Globe, Critics’ Choice, BAFTA e DGA hanno fatto la loro parte. La sua audacia di Autore poi e le 13 nom all’Oscar messe a segno in totale da Emilia Pérez erano un gran biglietto da visita. Almeno fino a quando le controversie sul film (in primis i vecchi tweet razzisti di Karla Sofía Gascón) non hanno danneggiato la corsa in tutte le categorie, riducendo drasticamente la possibilità di veder vincere Audiard o il film come best picture.
Coralie Fargeat
The Substance
Coralie Fargeat è la nona regista donna nominata nella categoria, dopo riconoscimenti anche da parte di Golden Globe, Critics’ Choice e BAFTA, ma non dalla DGA: questo non ha certo impedito la candidatura agli Oscar, ma la piazza necessariamente in fondo alla cinquina. C’è stato infatti solo un caso in cui il miglior regista non è prima passato dalla Directors Guild. E dal momento che Fargeat è l’unica in cinquina a non avere questo prerequisito, è praticamente impossibile che possa vincere. Detto questo, il fatto che la regista di un body horror femminista – anzi, di più: incentrato sul corpo di una donna – sia riuscita ad essere celebrata dall’Academy è tutt’altro che scontato. “Perché? Perché sono una donna?”, per dirla con Emanuela Fanelli.