Rolling Stone Italia

Oscar: i migliori attori degli anni 2000, dal peggiore al migliore

Dal ‘Gladiatore’ Russell Crowe all’‘Oppenheimer’ di Cillian Murphy, passando per la tanto sospirata statuetta a Leonardo DiCaprio. E , spoiler , sul podio di questa classifica troverete per due volte lo stesso (monumentale) interprete…

Il 2 marzo, cinque uomini si sfideranno agli Academy Award nella categoria miglior attore: solo uno di loro si aggiudicherà l’oro. Negli ultimi vent’anni si è assistito a un’ampia varietà di interpreti che si sono aggiudicati questo premio, da attori comici francesi a veterani americani, da nuove leve a nomi affermati di Hollywood che hanno rilanciato la loro carriera. Alcune di queste performance sembrano già garantite per resistere alla prova del tempo. Altre… be’, nessuno è perfetto, soprattutto i votanti degli Oscar, che spesso scelgono i loro vincitori per ragioni insondabili per il resto di noi.

Perciò, in onore della 97esima edizione degli Academy Award, abbiamo voluto ripercorrere i vincitori del XXI secolo fino ad oggi, classificandoli in ordine di grandezza. Un paio di cose che abbiamo imparato nel processo: 1) interpretare una persona reale (o essere sbranati da un orso) aumenta le possibilità di vincere un Oscar; e 2) le probabilità aumentano a dismisura se si è Sean Penn o Daniel Day-Lewis (entrambi hanno vinto due Oscar in questo secolo).

24

Jean Dujardin

The Artist

Foto: Mark J Terrill/AP/Shutterstock

Jean Dujardin aveva già lavorato due volte con il regista Michel Hazanavicius, realizzando le spiritose parodie di James Bond Agente speciale 117 al servizio della Repubblica (prima Missione Cairo e poi Missione Rio): e allora perché non collaborare per un’altra deliziosa rivisitazione di un genere cinematografico ormai superato? In The Artist, Dujardin ha usato ancora una volta la sua sorniona avvenenza come arma, prendendo in giro il compiaciuto egocentrismo hollywoodiano nel ruolo di un’arrogante star del cinema muto degli anni Venti che scopre di non essere attrezzata per la rivoluzione del sonoro. È un’interpretazione affascinante in un film affascinante, ma la sua piacevolezza inizia a essere monca. Come il film stesso, l’interpretazione di Dujardin è molto piacevole a piccole dosi, ma il suo concentrato di sdolcinatezza può risultare eccessivo a lungo termine.

23

Jeff Bridges

Crazy Heart

Foto: Paul Buck/EPA/Shutterstock

Nel 1998, con Il grande Lebowski, Jeff Bridges ha consolidato la sua posizione di zio fattone preferito dagli americani, offrendo performance con un’aria rilassata alla “Ehi, amico, va tutto bene” che sembravano quasi un ammiccamento tra lui e i suoi fan. Più di un decennio dopo, Bridges ha fatto tesoro di quel carattere amichevole vincendo l’Oscar per Crazy Heart, in cui interpreta una star del country in declino che inizia una con una giornalista più giovane di lui (Maggie Gyllenhaal) inviata a tracciarne il profilo. Il Bad Blake di Bridges potrebbe essere il personaggio di una sdolcinata canzone country – è un ubriacone con una vena di malinconia e un cuore gentile – e l’attore veterano lo investe di un fascino stanco e disinvolto. Si tratta di un’interpretazione toccante, anche se non esattamente rivelatrice, e il premio come miglior attore per Bridges è stato forse più il riconoscimento di una bella carriera che di un lavoro stellare in questo film in particolare.

22

Gary Oldman

L’ora più buia

Foto: John Salangsang/Shutterstock

L’Oscar a Gary Oldman per l’interpretazione di Winston Churchill ha consolidato il suo status di uno dei più grandi attori del mondo e ha celebrato la svolta della sua vita professionale e personale. Detto questo, però, la sua performance nell’Ora più buia, per quanto vigorosa e convincente, non si avvicina ai suoi momenti migliori: si tratta del tipo di prova biografica che si basa tanto sull’istrionismo da premio (e sul trucco pesante) quanto sulla sua abilità tecnica. Ma dopo aver accumulato una serie di lavori in cui tendeva a interpretare personaggi cattivi se non bastardi, Oldman ha trovato un eroismo burbero e resistente dentro di sé nel rappresentare un leader in difficoltà che ha sfidato i suoi consiglieri per opporsi a Hitler. È un ritratto onorevole… ma non trascendente.

21

Rami Malek

Bohemian Rhapsody

Foto: Michael Bruckner/Shutterstock

Per anni, Rami Malek è stato un acclamato e poco considerato attore caratterista in film come The Master e Short Term 12. Poi è arrivata la svolta – che gli è valsa un Emmy – con Mr. Robot, e quindi l’offerta di interpretare Freddie Mercury, il magnetico e tormentato frontman dei Queen. Bohemian Rhapsody è stato stroncato dalla critica per mille motivi, dalla formula (pensate a Walk Hard – La storia di Dewey Cox, ma fatto seriamente) all’edulcorazione della sessualità di Mercury. Allo stesso modo, l’interpretazione di Malek è stata liquidata in alcuni ambienti come una mera imitazione, come se bastasse il giusto kit di denti finti per dare vita al cantante. Questo è ingiusto nei confronti di Malek, che ha catturato la dolcezza di Mercury, il suo carisma e la sua gioiosa eccitazione nel potersi trasformare in una rockstar. Il film può essere stroncato, ma almeno il suo protagonista ha dato un po’ di anima al tutto.

20

Brendan Fraser

The Whale

Foto: Patrick T. Fallon/AFP/Getty Images

Nel ruolo di Charlie, un single depresso che lotta contro la sua obesità patologica, Brendan Fraser ha segnato la rinascita della sua carriera, oltre a sfruttare la dolcezza e la vulnerabilità che erano sempre state evidenti nelle commedie che lo avevano reso famoso, anche se mai con un effetto così commovente. Molti colleghi hanno rifiutato il personaggio e il film, accusando entrambi di perpetuare stereotipi grassofobici. Ma anche chi ha criticato The Whale non ha potuto negare la sincerità con cui Fraser ha dato vita a un’anima angosciata a cui non resta molto cui aggrapparsi, se non una figlia arrabbiata e ormai lontana (Sadie Sink) che non vuole saperne di riconciliarsi con lui. Il ruolo di Fraser continuerà a straziarvi anche se il film nel suo complesso vi ha lasciato indifferenti.

19

Jamie Foxx

Ray

Foto: EPA/Shutterstock

È impossibile superare l’incredibile trasformazione fisica di Jamie Foxx in Ray Charles. Non solo ha copiato alla perfezione i suoi manierismi, ma ha anche catturato l’energia tagliente e sexy di quel mito. Foxx ha incarnato la musica e il dolore che Charles portò con sé fino alla sua morte nel 2004. E allora perché finisce così in basso in questa lista? Perché Ray è solo un film biografico musicale così così, che ricorda un’epoca in cui ogni ritratto cinematografico di un genio doveva essere una parabola di grandi successi dalla culla alla tomba (da allora, sono uscite biografie ben più innovative e audaci come Io non sono qui, Love & Mercy e Get on Up – La storia di James Brown). Foxx dà il massimo, ma il film troppo spesso lo blocca nella convenzionalissima storia di una vita piena di tragedie ed trionfi.

18

Sean Penn

Mystic River

Foto: Brendan McDermid/EPA/Shutterstock

Il primo dei due Oscar di Sean Penn in questo secolo è arrivato nel cupo thriller “bostoniano” firmato Clint Eastwood. Il suo ritratto di Jimmy, l’ex detenuto testa calda la cui figlia adolescente viene uccisa, è consapevolmente melodrammatico, pieno di emozioni forti e di rabbia ribollente (la scena in cui Jimmy viene a sapere della morte di sua figlia trabocca di angoscia operistica, e probabilmente gli ha fatto conquistare la statuetta). Penn articola ogni grammo della rabbia e del dolore del suo personaggio, rendendo Jimmy una figura tragica e feroce. Ma è anche qualcosa di più di un tocco martellante, il che mina il crudo realismo che Mystic River altrimenti raggiunge.

17

Eddie Redmayne

La teoria del tutto

Foto: Jordan Strauss/Invision/AP/Shutterstock

Eddie Redmayne ha catturato il terrore di perdere il controllo del proprio corpo in questo dramma sulla complicata storia d’amore tra Stephen Hawking (a cui è stata diagnosticata la SLA quando aveva appena vent’anni) e sua moglie Jane (Felicity Jones). È il tipo di performance che è facile liquidare come un’esca per gli Oscar, ma la rappresentazione dell’attore va oltre la mimica o i dettagli della malattia. Il suo Hawking è un genio arrogante colto nel bel mezzo della scoperta di sé stesso, proprio mentre apprende che sta per vedersi strappare via tutto a causa di una condizione paralizzante. Di conseguenza, La teoria del tutto ha un’intensità dolorosa e fragile, con Redmayne che diventa sempre più una figura distante e complicata man mano che il film procede. Sì, è anche un film su certi cliché come la perseveranza e il trionfo dello spirito umano, ma l’abilità dell’attore nel farli risuonare fa sì che tutto funzioni.

16

Denzel Washington

Training Day

Foto: Peter Brooker/Shutterstock

Sospettiamo di non poterci fidare di Alonzo Harris, un detective della polizia di Los Angeles che non ha ancora raggiunto un limite che non ha paura di oltrepassare. Ma ciò che ha reso la performance di Denzel Washington così avvincente è che, come l’impressionabile poliziotto interpretato da Ethan Hawke, continuiamo a pensare che potremo tenere sotto controllo quel tipo. Non è così. Washington è sempre stato una presenza fortemente carismatica sullo schermo, ma con questo thriller trasforma quel fascino in qualcosa che sembra pericoloso e imprevedibile: sappiamo che dobbiamo diffidare di quest’uomo, ma non siamo sicuri di quanto sia profonda la sua corruzione. Training Day può essere terribilmente esasperato, ma è la svolta arrogante di Washington che rende il tutto efficace, è la sua intensità a mille watt a tenerci intrappolati in quell’auto accanto a questo minaccioso predone di strada. Flight, Malcolm X, He Got Game: Washington ha regalato molte performance più sfumate e devastanti. Ma qui offre veri e propri fuochi d’artificio da star del cinema, il che è una capacità tutta sua.

15

Sean Penn

Milk

Foto: Kevin Winter/Getty Images

Se la vittoria dell’Oscar di Sean Penn per Mystic River ha mostrato la sua ferocia, il suo ruolo nei panni dell’attivista per i diritti dei gay Harvey Milk ha rivelato la sua dolcezza e compassione. In una carriera in cui spesso ha interpretato il duro (sia sullo schermo che fuori), Penn ha mostrato qui una rara gentilezza, il che non significa che non sia stato meno deciso in questo ruolo. Milk è una sorta di film di formazione che segue il suo eroe in un percorso alla ricerca di sé stesso e, allo stesso tempo, che spinge tutti ad accettare gli omosessuali nelle loro comunità. Penn forse non è mai stato così adorabile, una qualità che raramente è stata associata a questo attore. Ma guarda come invece gli riesce bene.

14

Colin Firth

Il discorso del re

Foto: Paul Buck/EPA/Shutterstock

Anche i re hanno le loro vulnerabilità, nonostante siano belli come Colin Firth. Questa semplice verità guida Il discorso del re, un raffinato dramma in costume che trae la sua empatia dall’elegante e generosa interpretazione di Firth nei panni di re Giorgio VI, che nel 1936 salì al trono e dovette finalmente affrontare una balbuzie debilitante. Attore noto per aver interpretato personaggi pieni di fascino disinvolto e garbo impeccabile, Firth ci fa sempre sentire il peso della corona che grava sulla testa del suo personaggio. Raramente la mancanza di fiducia è stata così profondamente empatica.

13

Forest Whitaker

L’ultimo re di Scozia

Foto: Paul Buck/EPA/Shutterstock

Proprio come la vittoria di Denzel Washington per Training Day, Forest Whitaker ha vinto come miglior attore anche se tecnicamente non è il protagonista nel suo film (sarebbe, se mai, il giovane medico idealista Nicholas interpretato da James McAvoy, sedotto dal magnetico Presidente ugandese Idi Amin di Whitaker). E come il poliziotto corrotto di Washington, il dittatore africano diventa un ritratto ipnotico del male, un uomo che può diventare spietato se qualcuno incrocia il suo cammino. La dolcezza stoica che è spesso al centro delle performance di Whitaker qui è stata completamente eliminata: nell’Ultimo re di Scozia assistiamo solo all’oscura malvagità di un leader la cui sete di potere non può essere saziata.

12

Matthew McConaughey

Dallas Buyers Club

Foto: Jordan Strauss/Invision/AP/Shutterstock

Ron Woodroof, l’elettricista protagonista di Dallas Buyers Club, non è il tipo di persona che normalmente è al centro di un film da Oscar, il che rende appropriato che sia interpretato da Matthew McConaughey, un attore che per gran parte della sua carriera non ha fatto parte di nessun “Oscar buzz“. Ma a partire da The Lincoln Lawyer del 2011, il divo ha detto addio al suo stile da hippie da spiaggia e da tipo da commedia romantica e ha iniziato a fare un lavoro più ponderato, culminato nella pluripremiata interpretazione di un omofobo del Texas che, dopo aver contratto l’HIV, scopre cosa vuol dire essere discriminato in America. In cui McConaughey onora il rifiuto di quell’uomo di diventare tutto buono e bravo solo perché sta morendo. Anzi…

11

Will Smith

Una famiglia vincente – King Richard

Foto: Patrick T. Fallon/AFP/Getty Images

La famigerata reazione eccessiva di Will Smith alla cerimonia del 2022, che ha portato allo schiaffo al presentatore Chris Rock, lo ha reso una sorta di paria in un settore che un tempo governava. Ma dimenticate, per un momento, le polemiche e la macchia forse permanente sulla sua reputazione. Smith è travolgente nei panni di Richard Williams, il padre operaio di Compton convinto che le sue figlie Venus (Saniyya Sidney) e Serena (Demi Singleton) siano destinate a diventare campionesse di tennis, anche se gli mancano le risorse finanziarie di cui godono i loro coetanei. La star aveva già interpretato personaggi della vita reale in precedenza, ma in Una famiglia vincente non ha paura di rendere la dedizione di Richard al limite del malsano, chiedendosi attivamente se questo padre così motivato volesse che le sue ragazze avessero successo per sé stesse o per soddisfare il suo fragile ego. Sfortunatamente, lo schiaffo ha eclissato, se non cancellato, la sfumatura che Smith ha apportato al ruolo: non puoi separare il film da quello che è successo sul palco degli Oscar.

10

Leonardo DiCaprio

Revenant – Redivivo

Foto: Chris Pizzello/Invision/AP/Shutterstock

È vero che mangiare un fegato di bisonte crudo e andare quasi in ipotermia mentre guadi fiumi gelati non ti garantisce una statuetta. Ma tali dimostrazioni di impegno in nome dell’autenticità filmica non ostacolano nemmeno le tue possibilità di essere riconosciuto dai tuoi colleghi votanti. I retroscena di quanto brutali fossero le riprese del survival-western di Alejandro G. Iñárritu erano già diventati leggenda, quando Sua Leonardità salì sul palco per ritirare il suo primo Oscar, e quasi certamente contribuirono alla vittoria. Ma tornate indietro e guardate la sua performance ora che il trambusto si è calmato, e vedrete uno dei suoi più incredibili lavori sullo schermo. Sì, “era ora”, come hanno detto molte persone riguardo alla vittoria di DiCaprio. Ed è stata anche meritatissima.

9

Cillian Murphy

Oppenheimer

Foto: Warner Bros.

Gli occhi di ghiaccio di Cillian Murphy in primissimo piano sembrano paralizzati dal silenzio che a volte diventa devastante, per non dire assordante, che circonda “l’esperimento” al centro di Oppenheimer. Un film totale che racchiude il senso del cinema di un autore totale, vale a dire Christopher Nolan. E starring un attore totale che, dopo tanto cinema d’autore (28 giorni dopo di Danny Boyle, Breakfast on Pluto di Neil Jordan, Il vento che accarezza l’erba di Ken Loach, ma anche la trilogia del Cavaliere oscuro e Dunkirk dello stesso Nolan) e la consacrazione sul piccolo schermo con la serie cult Peaky Blinders, per la prima volta trova un ruolo totale. È la vetta di una carriera silenziosa, sempre in sottrazione. Come la performance al centro di questo film epico, sempre calibratissima, in sottrazione, quasi in sordina rispetto al clamore – e alle terribili conseguenze – di questa storia. E come l’atteggiamento di questo attore, marziano irlandese a Hollywood che Hollywood è finalmente riuscito a prendersela.

8

Joaquin Phoenix

Joker

Foto: Rachel Luna/Getty Images

C’era una volta Joaquin Phoenix, che rischiava di diventare la parodia dell’artista impegnato. Fortunatamente, da allora ha raddrizzato la nave, ottenendo una serie di successi critici (The Master, Vizio di forma, A Beautiful Day – You Were Never Really Here). E poi è arrivato il colosso commerciale di Joker. Le lamentele secondo cui Phoenix stava semplicemente riciclando un modus operandi familiare sullo schermo nei panni di Arthur Fleck, il travagliato newyorkese che diventerà l’arcinemico di Batman, sarebbe più convincente se il disagio cencioso non fosse ancora così magnetico. Guardare qualcuno che è rimasto spesso lontano dalla Hollywood mainstream offrire una performance così grande e audace in un blockbuster da major significa ricordarsi che i talenti peculiari possono creare arte pop senza macchiarsi nel processo. Heath Ledger sarà per sempre il Joker ideale di quasi tutti – inconoscibile, terrificante, infinitamente affascinante – ma Phoenix trasmette tutto il dolore che trasforma un uomo comune in un supercriminale.

7

Anthony Hopkins

The Father – Nulla è come sembra

Foto: Jeff Kravitz/FilmMagic/Getty Images

Forse il più grande sconvolgimento dell’Oscar da quando Moonlight ha vinto su La La Land, il secondo Academy Award di Anthony Hopkins è arrivato 29 anni dopo il primo. I votanti hanno scelto il suo vecchio patriarca che combatte contro la demenza al posto del defunto Chadwick Boseman in Ma Rainey’s Black Bottom. Mettendo da parte il dibattito su quale interpretazione sia migliore, concentriamoci su quanto sia superbo Hopkins in The Father, e su come quel ruolo sia stato un emozionante promemoria dell’intensità che l’attore allora 84enne può portare a un personaggio quando è completamente coinvolto nel processo. Dopo aver incassato per troppi anni ruoli secondari in film mediocri, Hopkins è stato meraviglioso nei panni di Anthony, un uomo che passa da straordinariamente affascinante a imperdonabilmente petulante, mentre la sua malattia gli strappa via un pezzo dopo l’altro. Ti mostra, passo dopo passo, come questo leone, un tempo potente, si riduce a un bambino spaventato che non può più fidarsi dei suoi sensi e di ciò che lo circonda. I membri più anziani dell’Academy si relazionavano con le paure per la sua salute? Forse, ma gli spettatori di ogni età possono apprezzare questo ritratto stratificato e devastante di qualcuno che guarda sé stesso scivolare via.

6

Casey Affleck

Manchester by the Sea

Foto: David Fisher/Shutterstock

Gli uomini folli e riservati sono stati la specialità di Casey Affleck per un bel po’ di tempo, vedi Senza santi in paradiso, L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford e Gone Baby Gone. Ma ha trovato il contenitore perfetto in Lee Chandler, un bostoniano della classe operaia la cui triste vita sta per diventare ancora più triste. In questo perfetto studio della perdita, del rimorso e del dolore firmato dallo sceneggiatore e regista Kenneth Lonergan, i nostri occhi sono puntati su Lee mentre affronta la morte di suo fratello e si irrita all’idea di crescere suo nipote adolescente, sviluppi che lo costringono a rivisitare i traumi del passato. Manchester by the Sea è un dramma nero e profondo che esplora brillantemente il tragico background del suo personaggio, mostrando ogni grammo del disprezzo per sé stesso e della cruda disperazione che Lee indossa come una vecchia felpa sformata. Molte vittorie come miglior attore arrivano grazie a ruoli appariscenti e impressionanti. La performance di Affleck è invece ferma e silenziosa, il ritratto di un uomo tormentato che vuole solo scomparire.

5

Adrien Brody

Il pianista

Foto: Eric Charbonneau/BEI/Shutterstock

Prima del Pianista, questo attore newyorkese era forse più famoso per un film in cui non appariva, essendo stato tagliato da La sottile linea rossa di Terrence Malick. Ma dopo il dramma sull’Olocausto di Roman Polański, Adrien Brody è diventato una star, e anche, a 29 anni, il più giovane vincitore del premio come miglior attore di sempre. La sua carriera non è stata più caratterizzata da un ruolo così straordinario, ma i suoi alti e bassi successivi non fanno altro che amplificare quanto sia singolare nei panni di Władysław Szpilman, un ebreo polacco la cui vita di acclamato pianista viene distrutta quando i nazisti invadono la sua terra natale. La performance di Brody è tutta sguardi tormentati e pause intense: come Leonardo DiCaprio in Revenant, il compito principale è trasmettere la silenziosa resilienza necessaria per rimanere in vita in circostanze impossibili. L’anima di Brody permea questo film spesso tragicamente cupo, il semplice bisogno del suo personaggio di sopravvivere si trasforma in un atto di eroica sfida di fronte ad atrocità inimmaginabili.

4

Russell Crowe

Il gladiatore

Foto: Kevork Djansezian/AP/Shutterstock

Nelle mani di qualcun altro, lo spettacolone neo-biblico di Ridley Scott sarebbe stato solo l’ennesimo blockbuster. Ma Russell Crowe, che si era guadagnato la fama per i precedenti ruoli drammatici in L.A. Confidential e Insider – Dietro la verità, ha portato serietà e cuore nel suo ruolo di onorevole generale romano che deve sconfiggere l’eccentrico giovane imperatore (Joaquin Phoenix) che lo ha relegato a una vita nel mondo spietato dell’arena al motto di “uccidi o sarai ucciso”. Il XXI secolo non ha prodotto molti eroi d’azione pieni di sentimento, meditabondi e dalle spalle larghe, né ha prodotto molti kolossal con la portata e il cuore dell’epica hollywoodiana old school. Crowe e Il gladiatore sono l’eccezione, un raro esempio di attore che accetta la sfida di realizzare un peplum colossale ma dalla grande portata emotiva. Il suo Massimo abbatte un leader corrotto e, così facendo, l’attore australiano si è guadagnato un posto d’onore in una nuova generazione di superstar.

3

Daniel Day-Lewis

Lincoln

Foto: Kevin Winter/Getty Images

Molti sanno che Daniel Day-Lewis inizialmente rifiutò la richiesta di Steven Spielberg di interpretare il sedicesimo presidente americano, inviando al regista una lettera che lodava la qualità della sceneggiatura di Lincoln ma declinando l’invito. Per fortuna, ha cambiato idea. Day-Lewis incarna l’intelligenza e la maestosità di Lincoln, ma la performance rivela di più: come questo presidente timido, un po’ ingenuo, inflessibilmente risoluto abbia esercitato fascino, minaccia, intelligenza e patriottismo per porre fine alla Guerra Civile e allo stesso tempo assicurarsi abbastanza voti per approvare il 13esimo emendamento. Ci voleva un attore nato all’estero per rivelare il meglio del carattere americano: la dignità, la volontà, l’umanità, persino l’amore per le battute stupide. L’iniziale riluttanza di Day-Lewis a interpretare il ruolo dimostra perché era destinato a farlo così bene. Questo Oscar lo ha reso l’unico a vincere tre Academy Award come miglior attore protagonista. E non è stata nemmeno la sua migliore performance in questo secolo…

2

Philip Seymour Hoffman

Truman Capote – A sangue freddo

Foto: Paul Buck/EPA/Shutterstock

La tragedia della morte di Philip Seymour Hoffman nel 2014 non fa altro che rendere questo gioiello di performance ancora più struggente. Nel ruolo di Truman Capote, uno scrittore sprezzante, insicuro e brillante alla ricerca del suo capolavoro, Hoffman ha fornito un ritratto di ambizione e manipolazione che non sminuisce mai le emozioni contrastanti sotto la facciata spietata del suo personaggio. Nel film lo scrittore si reca a Holcomb, nel Kansas, nel 1959, per intervistare gli abitanti di una comunità dove era avvenuto il raccapricciante omicidio di quattro persone. L’attore mostra Capote in parte come reporter e in parte come vampiro, non permettendoci mai di vedere pienamente la profondità dell’egocentrismo del personaggio e la sua insensibile predilezione per una buona storia rispetto alla vita umana. Ma il potere subdolo del ritratto di Hoffman è il modo in cui finiamo per sentirci dispiaciuti per questo mostro strambo e compiaciuto: è stato il momento più luminoso di questa star così talentuosa, camaleontica e che ci manca così tanto.

1

Daniel Day-Lewis

Il petroliere

Foto: Chris Carlson/AP/Shutterstock

Per prepararsi a interpretare Daniel Plainview, l’imponente e avido misantropo che si staglia sui panorami americani come un gigante allampanato nel Petroliere, Daniel Day-Lewis ha studiato le registrazioni audio dell’era del Dust Bowl, così come i nastri dell’attore-regista John Huston. Da quelle e altre fonti, ha creato una delle rappresentazioni distintive dell’eccezionalismo americano in grande stile. Molto, molto grande: tutto in Plainview è sovradimensionato, inclusa la sua avarizia, meschinità, competitività; e soprattutto la sua spietata certezza che, in qualche modo, risucchiare tutto il petrolio del West americano riempirà il vuoto della sua anima. È una performance che è allo stesso tempo sopra le righe e anche sorprendentemente, inaspettatamente tenera. Ma soprattutto è così sorprendentemente sicura di sé che è come se il regista e sceneggiatore Paul Thomas Anderson ci stesse mostrando qualcosa di oscuro, marcio e vero sul capitalismo stesso. I votanti degli Oscar non gli hanno tanto assegnato il premio come miglior attore ma, piuttosto, si sono sottomessi all’indomabile e imponente magnificenza della sua interpretazione.

Da Rolling Stone US

Iscriviti