Anche quest’anno non vedremo Terrence Malick apparire alla serata degli Oscar, e questo dispiace parecchio e per molti motivi. Sicuramente lui vale sempre la pena vederlo, non si può dire lo stesso di altri candidati. Ma le cose belle si vedono poco e a volte non ci si accorge nemmeno di averle davanti. Non sono state registrate sue apparizioni negli ultimi quattro anni, forse è bello così. Quando succederà sarà una Pasqua e spero con pochi ospiti.
Il mondo, soprattutto in serate come quelle degli Oscar, ha bisogno aprire gli occhi su certi temi e sentimenti. E il cinema di Terrence serve a questo, emozioni e frammenti di vite, per far riflettere lo spettatore su cosa sia davvero importante una volta oltrepassata la superficie, i marciapiedi. La trivella di Malick poteva bucare se non addirittura arrivare al nucleo spietato, illogico e occidentale, della Hollywood Walk of Fame. Peccato.
La vita è cinema, il cinema è vita, prendiamo per buono tutto ciò che di buono ci può arrivare. Quindi se, almeno all’apparenza, abbiamo tutto quello che ci serve per goderci una bella serata, anche quest’anno avvertiremo un vuoto, qualcosa che manca. Come Rick (Christian Bale in Knight of Cups) brancoliamo nel vuoto della ricchezza, riflettendo sul reale senso del viaggio, per capire dove è la nostra perla rara, sicuramente lontana da tutte quelle luci. O come BV (Ryan Gosling in Song to Song), felice e incompleto senza il sentimento dell’amore. Ci annoieremo con mogli, amanti e tanti amici similmente a Cook (Michael Fassbender, sempre Song to Song) perché non abbiamo trovato noi stessi e allora sì che il problema saranno gli altri che prima o poi andranno eliminati.
Fan o non fan, comunque, non si può negare che Malick, in un modo o nell’altro, abbia rivoluzionato fin dagli albori della sua carriera il cinema moderno. Questo è chiaro a tutti coloro che hanno visto almeno uno dei suoi film. Le pellicole da lui dirette “sono” uomini e donne che, in modo o nell’altro, hanno dei dilemmi primordiali e spesso irrisolvibili. È impossibile non constatare, quando se ne guarda uno, quanta dedizione e quanto lavoro serva, per poter realizzare lungometraggi che entrino di diritto nella storia del cinema.
E non si parla di effetti speciali ma di profondità nella scelta artistica piuttosto essenziale ma incredibilmente ricca, estetica e affascinante. La fede, la ricerca della felicità e del proprio essere, l’amore, la fedeltà spirituale tra individui, l’amicizia, il rapporto tra esseri umani sono solo alcuni dei temi che il regista tratta nella sua lunga carriera. Si parla di un filosofo che ci illustra tutto con lo schermo. Inni lirici alla gioia dell’esistenza, opere complete.
Quest’anno poteva essere proprio l’anno giusto per il ritorno e forse c’era proprio bisogno di un po’ di quell’amore “naturale” delle sue opere. Brutte notizie, ci dovremmo masturbare con vecchi ricordi, che comunque suona molto romantico. Sono passati dodici anni dall’ultima nomination all’Oscar e cinque dal suo ultimo film, La vita nascosta – Hidden Life. Sono passati 206 giorni da quel 10 agosto in cui Alex Boden (produttore di Malick) disse: «The Way of the Wind, il film di Terrence su Gesù, è al montaggio».
Be’, religiosi o meno, i suoi seguaci da The Tree of Life in poi non hanno ricevuto alcuna chiamata, nessuna resurrezione. Siamo tutti Padre Quintana (Javier Bardem in To The Wonder), sacerdoti in crisi che, pur pensando di non amare più come vorremmo, restiamo fedeli e coraggiosi nella nostra missione: aspettare. E dunque ci chiediamo, quando uscirà questo “benedetto” film?
Il problema alla base di questa lentezza è il montaggio. Passano sempre anni dalla fine delle riprese al risultato finale, quando il dottor Malick opera. È probabile che il suo perfezionismo maniacale che tanto amiamo sia il motivo principale per il quale anche quest’ultimo film non ci farà compagnia nelle sale, neanche sotto forma di trailer, nonostante le riprese siano terminate dal 2019. Lui ha comunque dichiarato che ciò che sta facendo gli piace, e a noi va benissimo così.
Questo suo modo di operare rende i suoi film sacri, dibattuti e amati (o detestati). A cuore aperto sul lettino dell’ospedale, io penso di confidare nella cura e nella pazienza di questo chirurgo che mi può salvare la vita, conta più il tempo che mi rimane dopo l’operazione che il tempo dell’operazione stessa. Data anche la soggettività e la libera interpretazione che l’autore lascia a chi guarda, non si sorprenda troppo chi, dopo che avrà letto questo articolo, guarderà i film e penserà: quel giornalista è pazzo.
La profondità di un’opera è lo specchio della tua. Questa peculiarità della libertà interpretativa costa però tante inquadrature diverse per la stessa scena e continui stacchi, a favore di un montaggio serrato, richiede anni di analisi. Non a caso, il film vincitore della Palma d’oro, The Tree of Life, ha avuto un’intera équipe di montatori, ritardando comunque di tre anni la produzione.
In cinquant’anni di carriera Terrence Malick ha realizzato dieci film, dal 1973 ad oggi, tutti singolari capolavori che vale sempre la pena rivedere. Terrence ti accompagna nel bosco ma non ti spiega quello che stai osservando, e solo a volte ti prende per mano. Sono le singole percezioni le vere protagoniste: continuamente ricercate negli ambienti e negli spazi, con grandangoli e grandi profondità di campo che si aprono sempre a tutto ciò che circonda gli attori, nel bene e nel male.
Si passa dai bambini che corrono a mani di giovani amanti, a campi di girasole, bellissime donne e uomini: tutto quello che l’occhio desidera guardare è racchiuso nella sua cinematografia. Film favolosi, evocativi e spiazzanti, dove il silenzio dice più di mille parole, dove la natura e le città riescono a parlare. Perché non è solo la storia che ci rimane, quanto più l’essenza di ogni parte vissuta sotto forma di sensazioni, come nella vita reale, come un profumo. Può suonare un po’ astratto, ma Knight of Cups è un esempio calzante perché sembra proprio essere un film privo di sceneggiatura. Il messaggio da cogliere è soggettivo, ma prendetene almeno uno, bisogna guardare oltre.
Lo stile registico di Malick si sforza di catturare ciò che è spontaneo e inaspettato e parla del rapporto stretto che c’è tra l’amore sacro e l’amor profano, tra la fede indistruttibile e i deboli rapporti umani. Conoscere Malick è essenziale: lascia parlare le immagini, le riflessioni in voice off, la fotografia e il montaggio che, assemblati, firmano un linguaggio cinematografico potente e poetico, in grado di condizionare fortemente lo sguardo dello spettatore e farlo ragionare sull’essenza delle emozioni.
Lo stesso Emmanuel Lubezki, premio Oscar alla migliore fotografia per tre volte consecutive e collaboratore stretto di Terrence, dichiara: «Da quando ho conosciuto Terrence la mia visione della natura e dei sentimenti è cambiata in meglio, ho perfino un rapporto migliore con mia moglie». Difficile fare meglio di così. Quello che questa sensazionale coppia di autori ha raccontato al mondo è un modo tutto nuovo e non a caso meraviglioso di illustrare le emozioni attraverso il cinema. Non ci resta quindi che aspettare e confidare nell’uscita di questa grande opera religiosa, magari l’anno prossimo, magari no.
Badate bene, non bisogna essere dei cristiani e credere in Dio per avere una risposta dai suoi film. Dio, nei film di Malick. vive nella natura e in ognuno di noi (“d’Io”?). Io credo in questo “Jesus Christ Superstar” composto da Terrence proprio perché voglio capire che Dio vive nello sguardo del suo Gesù e del suo Giuda. Azzarderei una profezia frutto della similitudine tra Terrence Malick e Mick Boyle (Harvey Keitel), uno dei protagonisti di Youth, incantevole pellicola di Paolo Sorrentino, grande estimatore del regista texano.
E se The Way of the Wind fosse il film testamento? Consacrerebbe così la carriera di un regista mistico d’Occidente che in tutti i suoi film ha parlato di donne, uomini, sì, ma anche, appunto, di Dio. Quale film migliore per segnare una carriera perfetta, lontana dai riflettori, se non una storia basata proprio sulle donne, gli uomini, lo spirito e la fede con protagonista il figlio di Dio?
Vorrei lasciarvi un esercizio da svolgere, un esercizio che cambia in maniera drastica la percezione della realtà. Provate a guardare The Tree of Life, se non l’avete ancora fatto, o qualche altro film di Terry. Immergetevi completamente nella sua visione ancestrale. Applicate tutto quello che avete visto nella vostra realtà, non fermandovi al materialismo di quello che vi circonda ma scoprendone la profondità più totale. Fatevi un bel giro al parco, cercate l’essenza, guardate le persone e gli alberi e lasciatevi accogliere dal Nuovo mondo. Il silenzio vi dirà qualcosa.