“Un nuovo giorno, un nuovo invito a palare di Pornhub”. È questo che ho pensato quando la regista Suzanne Hillinger e la Jigsaw Productions del premio Oscar Alex Gibney mi hanno chiesto di apparire nel loro nuovo documentario: Money Shot – La storia di Pornhub (disponibile su Netflix).
Il film racconta del boom di Pornhub in tutto il mondo, finché un reportage del New York Times firmato Nicholas Kristof non ha svelato, attraverso le dichiarazioni di vari testimoni, che la sua società gemella, MindGeek, ospitava video illegali a tema pedopornografia e stupro. Hillinger mi ha promesso che il film avrebbe mostrato come le accuse di traffico a scopo sessuale da parte dell’estrema destra siano state il cavallo di Troia mandato per distruggere l’industria dell’intrattenimento per adulti.
Ero un po’ restia a mettermi davanti a una cinepresa per un’intervista: non mi piace lavare i panni sporchi in pubblico. Rispettavo il lavoro di Hillinger, ma in generale mi fido poco dei registi di documentari. La maggior parte dei film sul mondo del porno seguono il modello di Hot Girls Wanted: tendono a rappresentarci come un gruppo di ragazze manipolate, abusate e dal quoziente intellettivo bassissimo.
Ma più di tutto, ero stanca di parlare di Pornhub. Dall’uscita dell’articolo di Kristof chiunque, da Vanity Fair a (ironia della sorte) il New York Times, mi ha chiesto di dire la mia su questo scandalo. Lo capisco. Sono una delle più famose pornostar americane. Scrivo di sesso per diversi siti e testate. Ma sono stufa. Personalmente, non me ne frega niente di Pornhub. Non voglio essere costretta a preoccuparmi per un sito porno, perché non dipendo solo da quello. Se chiudono Pornhub, altri settemila siti spunteranno come i funghi.
Il problema è che la guerra contro Pornhub è una guerra tesa a distruggere l’intera industria del porno. Se i cristiani volessero davvero porre fine alla pedopornografia online, dovrebbero prendersela con Facebook, che dà spazio a moltissimo materiale in cui i minori vengono abusati (20,3 milioni di video riportati contro i 13mila di Pornhub). Ma quello che vogliono davvero è distruggere la Porn Valley.
Mi interessa dimostrare che queste sono campagne anti-porno, semplicemente travestite da campagne contro lo sfruttamento sessuale. È per questo che ho iniziato a scrivere per vari siti. È per questo che ho deciso di alzare la voce. Se non avessi parlato francamente anche in questo documentario, temevo che nessun altro l’avrebbe fatto. O peggio: che avrebbero preso la più stupida delle pornostar per farla passare, appunto, per la donna più cretina d’America. Perciò ho accettato di rilasciare quest’intervista.
Per ragioni di sicurezza, ho chiesto alla produzione che le riprese avvenissero in un luogo che non fosse casa mia. Hanno dunque affittato un villino da quale parte sulle hills di Los Angeles. Avrebbero potuto farmi passare per un’idiota, o una troia, perciò mi sono vestita adeguatamente, senza lasciare troppa pelle scoperta. Non volevo neanche che mi facessero passare per un’impostora: volevo solo essere simpatica, e ovviamente sincera.
Nel corso delle quattro ore totali di registrazione, abbiamo parlato dei miei anni nel porno, delle Chiese evangeliche che cercano in tutti i modi di fare a pezzi l’industria del porno legale, del perché ho deciso di scrivere di questi argomenti, e di un sacco di altre cose. Mi hanno anche filmato mentre scrivevo sul mio computer mentre lavoravo a un pezzo.
Non troverete molto di tutto questo in Money Shot. Come molte altre pornostar, appaio come semplice “testa parlante”. In 90 minuti, il film sintetizza la storia di Pornhub in ordine rigorosamente cronologico. La prima parte descrive l’ascesa di Pornhub in modo divertente ed efficace, attraverso le interviste ad attori porno, ricostruzioni di quello che è successo e persino video di TikTok. Funziona. La narrazione sorvola su alcuni dettagli cruciali (per esempio, il fatto che MindGeek non ha creato Pornhub, l’ha semplicemente acquisito) ma, tutto sommato, va dritta al punto.
I problemi arrivano nella seconda parte. È lì che viene mostrato come organizzazioni religiose di estrema destra come Exodus Cry si siano unite al National Center on Sexual Exploitation (NCOSE) dopo essere venute a conoscenza della presenza su Pornhub di video a contenuto pedopornografico o con al centro vere e proprie violenze sessuali. Dani Pinter, avvocato del NCOSE, racconta tutto questo sullo schermo, mentre Laila Mickelwait, portavoce di Exodus Cry, ha declinato l’invito ad essere intervistata. Pinter è vestita con il tipico tailleur “aziendale” e, anche se lavora per un gruppo cristiano radicale, sembra parlare direttamente a nome del National Center for Missing and Exploited Children.
Pochissimi membri di MindGeek hanno accettato di essere intervistati, ma ascoltiamo due “gole profonde” vicine alla società la cui identità non viene rivelata: un responsabile dei contenuti e un dipendente del settore risorse umane. Il primo muove durissime accuse contro MindGeek, colpevole secondo lui di non aver eliminato quei video illegali; ma il fatto che voglia restare anonimo rende il suo j’accuse molto più debole. Il secondo, invece, non sembra così esperto in materia: è un semplice impiegato che potrebbe lavorare per MindGeek come per qualsiasi altra società.
Il direttore della fotografia fa passare loro due come testimoni credibili e coraggiosi, mentre riprende me e altre pornostar come Asa Akira dall’alto, avvicinandosi a noi con la macchina da presa come se fossimo le vittime di un film scandaloso. I riferimenti per distinguerci l’una dall’altra sono ben pochi: Akira sembra quasi parlare a nome di MindGeek mentre io vengo presentata come una pornostar e scrittrice indipendente, ma abbiamo sfondi perfettamente identici. Anche se lavoriamo per tante piattaforme diverse, sembra che siamo qui in difesa di Pornhub: in realtà, quello che avremmo voluto fare noi era discutere di una questione molto più ampia e spinosa.
L’altro problema è che la verità sui movimenti di estrema destra che hanno avviato la loro crociata contro Pornhub è completamente taciuta. Sì, vengono riportate le connessioni tra Exodus Cry e una Chiesa omofoba. Viene mostrato come l’avvocato che vuol fare fallire MindGeek paragoni assurdamente la società ai Soprano. Ma soprattutto ci viene illustrato come il NCOSE fosse precedentemente un gruppo cristiano – il Morality in Media – pensato per censurare tutti i contenuti ritenuti “immorali”. È stato rinominato NCOSE per avviare la crociata contro traffico a scopo sessuale e mettere al tappeto una volta per tutte l’industria del porno. Quando viene interpellata su questo, Pinter perde le staffe, rivelandosi l’imbrogliona che è.
Ma questa rivelazione arriva troppo tardi e in modo troppo confuso, soprattutto perché il film non dà mai una chiara definizione di “traffico sessuale”. Le persone interpellate ripetono queste due parole in continuazione; ma visto che non sono mai spiegate chiaramente, sembra che i bambini siano stati rapiti direttamente da MindGeek e costretti a subire atti sessuali. Il New York Times accusa MindGeek di dare spazio a quei video (che è una cosa terribile, siamo tutti d’accordo), non di gestire un traffico di donne e bambini.
La regista e i produttori di Money Shot volevano supportare noi pornostar, ma il messaggio è così confuso da non far passare tutto questo. Nessuno ovviamente vuole passare per colui o colei che difende lo sfruttamento sessuale, ma il film si trasforma in una specie di dibattito che vuole tenere conto delle due diverse fazioni in campo. Guardando il film, mi sono venute in mente le spaventose parole di Donald Trump dopo le rivolte di Charlottesville: “Ci sono bravissime persone da entrambe le parti”.
Probabilmente il vero difetto di questo film è il montaggio. Invece di partire con la storia di Pornhub, avrebbero potuto far cominciare il film con il racconto degli estremisti religiosi. Se il documentario fosse iniziato dalle origini di Exodus Cry e dal “rebranding” del NCOSE, forse questa ambiguità sarebbe venuta meno. Sarebbe stato chiaro che su Pornhub erano presenti quei video, ma che questo è un problema che riguarda Internet in generale, e che gli estremisti stanno usando il “traffico sessuale” per distruggere l’intera industria del porno.
Non ho odiato Money Shot, ma non l’ho neanche amato. Penso però che il film sarebbe stato peggiore di così, se pornostar come la sottoscritta non avessero accettato di prendervi parte. Non c’è un narratore, il documentario si basa solo sulle testimonianze delle persone coinvolte. Più pornostar accettano di parlare, più giornalisti, registi e produttori possono avvicinarsi alla verità.
Dani Pinter e Laila Mickelwait non hanno fatto nessuna dichiarazione pubblica o scritto nessun post sui loro canali social a proposito di Money Shot, il che dimostra che il film è riuscito nel suo intento: far passare loro e le organizzazioni che rappresentano dalla parte del torto. Money Shot non è un film perfetto, ma che su una piattaforma mainstream come Netflix si parli di temi come questo è comunque un modo per offrire un’altra e più giusta rappresentazione dell’industria del porno. Per questo motivo, sono felice di aver parlato in Money Shot. E non smetterò mai di parlare.