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‘Principe Libero’, il De André di Luca Marinelli è grande. Punto

L'attore si è confrontato coraggiosamente con l’icona, Fabrizio De André, e ci ha restituito meravigliosamente l’uomo, Faber. Chapeau pure alla voce. Sì, nonostante tutte le polemiche sull'accento romano

Credo che davanti all’interpretazione-bomba che Luca Marinelli ha dato di Fabrizio De André in Principe Libero ci sia poco da dire. Anzi, proprio nulla se non: chapeau.

Chapeau al coraggio, perché per confrontarsi con il mito, il cantautore italiano più grande di sempre, osannato da un culto quasi sacrale, ci vogliono le palle. Persino un suo amico, ha raccontato Luca, dopo aver ricevuto la notizia gli ha scritto: “Ma sei matto?!”. Marinelli si è confrontato coraggiosamente con l’icona, De André, e ci ha restituito meravigliosamente l’uomo, Faber. Perché ogni finzione in qualche modo è un tradimento: tradire è necessario per essere fedeli all’essenza di chi si racconta. E Principe Libero ha ben chiaro che c’è una differenza tra la persona e il personaggio, tra la vita e la narrazione. Come afferma Gianluca Gobbi, bravissimo nei panni di un Paolo Villaggio inedito: “Quando ti scontri con due giganti non puoi fingere, non li devi imitare, ma onorare, assecondare”.

Chapeau all’interpretazione. Anche se Marinelli non interpreta semplicemente De André, troppo facile (o difficile) ma più efficacemente lo rappresenta, se lo porta dentro e lo fa emergere con una naturalezza impressionante. Il modo di portare i capelli e di fumare la sigaretta, la postura, la camminata, l’intensità, il tormento. “Non avevo paura, era terrore puro” ha confessato l’attore “Ho pensato che la cosa migliore da fare fosse creare un personaggio in questo universo parallelo di finzione che era il nostro film, creare un mio Fabrizio De André e lavorare su questo come si lavora a ogni carattere”. Marinelli ha trovato il “suo” Faber, più intimo e privato, e gli ha dato vita in maniera inquieta e poetica. Nella penombra, con la chitarra in braccio e il ciuffo sul viso, Luca “è” Fabrizio.

Chapeau pure alla voce. Sì, e nonostante tutte le polemiche che hanno affollato i social: da “De André che parla con l’accento romanesco?!” a “Marinelli parla come Totti”. Marinelli magari non avrà la cadenza di Fabrizio (e con intelligenza nemmeno la tenta) ma poco importa. Perché Principe Libero è la prima biografia romanzata sullo schermo di De André, non è un documentario e nemmeno un trattato sulla discografia. È piuttosto un biopic “sui generis”: sono le canzoni di Fabrizio che ci guidano nella storia. E Marinelli con audacia imbraccia anche la chitarra e, tra un tiro di sigaretta e un sorso di whiskey, affronta la prova totale: canta De André, senza scimmiottarlo, con il suo tono naturale. Dopo aver trovato il suo Faber gli dà anche una voce. E la questione dell’accento ci porta al punto successivo.

Chapeau anche secondo Dori Ghezzi. Che ha subito messo a tacere le polemiche sulla mancanza di inflessione genovese: “La famiglia di Fabrizio era piemontese e lui parlava in modo neutro, magari usava i dialetti se voleva scherzare. Paolo Villaggio (che aveva discendenze anche veneziane) è riuscito a leggere la sceneggiatura prima di andarsene e ha commentato: “Eliminate tutti i ‘belin’”. Toglietevi dalla testa questa cosa della lingua, Paolo e Fabrizio sono nati a Genova, ma sono figli dell’universo”. Dori ha preso tutti per mano ed è stata il termometro emotivo del film. Ha anche convinto Marinelli che era la persona giusta: “È passato molto tempo prima che ci decidessimo a dare vita a questo progetto perché abbiamo aspettato Luca”. Come dire che lui era l’unico in grado di interpretare Faber. E se Dori, che di De André ha visto l’anima e se la porta tutt’ora dentro (tanto che quando guarda un’intervista d’epoca A che tempo che fa abbassa la testa commossa) afferma che senza Marinelli questo film non si sarebbe potuto fare, credo davvero che, una volta di più, le chiacchiere stiano a zero. E tutto quello che resta da dire è: chapeau, Luca Marinelli.

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