È arrivato sullo schermo come se un’esplosione lo avesse scaraventato lì da un altro posto. Il suo volto non era propriamente bello, ma c’erano la linea pulita della mascella, il collo e le spalle forti, la voce piena. Era lo studente dell’ultimo anno che speravi di diventare quando eri una matricola. Due giorni dopo la morte di Heath Ledger, all’età di ventotto anni, Daniel Day-Lewis ha interrotto la sua apparizione da Oprah. «Mi dispiace… È strano parlare di qualsiasi altra cosa», ha detto l’attore. «Non lo conoscevo. Ma ho l’impressione, una forte impressione, che mi sarebbe piaciuto molto, come persona, se lo avessi conosciuto».
Contiamo sugli artisti per molte cose — come simboli di eccellenza o figure da invidiare —, ma raramente ci aspettiamo di sentirci più fortunati di loro. Le stelle per noi incarnano la vita dei sogni. E Ledger era una star in un modo molto particolare. Guardarlo trasmetteva un senso di potere e potenzialità, di salute e giovinezza. Ecco perché la sua morte sembra ancora così sbagliata, e perché la reazione è stata primitiva, tribale. Significa che la giovinezza e la vitalità non sono sufficienti.
È stato tutto molto rapido: il pomeriggio del 22 gennaio 2008 il suo corpo è stato trovato a faccia in giù nella sua camera da letto a Manhattan. Prima di sera, era già stata individuata la causa: overdose, le pillole erano state rinvenute sparpagliate al suo capezzale. Il giorno dopo è stato detto che si trattava di farmaci da prescrizione: Xanax, Valium e Ambien, che accomunavano la camera da letto di Ledger a quella di migliaia di altri ansiosi, ambiziosi, insonni.
C’era l’immagine di Michelle Williams — madre di sua figlia Matilda — in una macchina diretta all’aeroporto, sembrava una first lady in lutto. Nel fine settimana la polizia di New York ipotizzava che i farmaci si fossero accidentalmente mescolati in un cocktail che ha fermato il cuore di Ledger. I giornalisti di gossip hanno accennato morbosamente a una festa senza freni. Fuori dagli Screen Actors Guild Awards, gli evangelici più estremisti facevano picchetto perché Ledger aveva interpretato un cowboy omosessuale. L’ultima volta che lo abbiamo visto era in un sacco nero dentro un’ambulanza.
Ledger è cresciuto a Perth, nell’Australia occidentale — «la città più isolata del mondo», mi ha detto una volta. Suo padre guidava auto da corsa, sua madre insegnava francese e Heath era in qualche modo un mix dei due, tra il duro e il colto. Voleva recitare e a sedici anni andò a Sydney con meno di un dollaro in tasca. La sua era già una vita di decisioni audaci, spostamenti rapidi ma lunghi e cambi di scena, una vita da un film.
È successo tutto troppo velocemente. La carriera di Ledger a Hollywood è iniziata un anno prima dell’elezione di George W. Bush e non è sopravvissuta alla sua presidenza. Nel 1999 Ledger è stato protagonista della commedia teen 10 cose che odio di te e in seguito ha rifiutato altri ruoli da adolescente. Aveva il talento di fare una pausa al momento giusto, aspettando che le situazioni si sviluppassero a suo favore. Ha interpretato il figlio di Mel Gibson nel Patriota. Poi è stato scelto per Il destino di un cavaliere. Aveva ventun anni. Il suo corpo aveva ancora i movimenti liberi e sciolti di un ragazzino, ma era chiaro che sarebbe diventato una star. Aveva un sorriso da uomo, con le rughe di espressione che gli risalivano dal mento fino alle orecchie. E quando sorrideva, il suo viso passava da un’espressione selvaggia a una più calda, era un sorriso da leader.
La seconda parte della carriera di Ledger è stata una reazione alla celebrità: aveva intravisto quello che lo aspettava e, nel bel mezzo di una riunione agli studios, si è chiuso in un bagno. «Un attacco d’ansia in piena regola», ha raccontato. «Sbattevo la testa contro il muro». Da lì ha deviato il suo percorso verso film più dark e prospettive commerciali più difficili. Desiderava togliersi di dosso quell’immagine patinata per mostrare la pelle cruda e flessibile dell’attore. «Volevo eliminare quel biondo», ha spiegato. «Volevo cambiare la direzione in cui stavo andando. Mi chiedevo: “Come posso trasformare la mia carriera in quella che vorrei?”».
La celebrità era poco pratica. Non si era mai adattato alla cosa: vendere ai media assaggi della tua vita privata in cambio delle immense libertà che dà quel tipo di denaro. Le sue interviste iniziano a girare attorno alle stesse parole: diffidente, irrequieto. «Tu o chiunque altro voglia conoscermi davvero, dovrebbe stare seduto qui per un anno. Mi servirebbe tanto per spiegarlo», mi ha detto.
Approcciava il suo lavoro con la stessa durezza, non si è mai definito artista e non ha mai pensato di essere bravo: «Voglio sempre prendere le distanze da quello che faccio e analizzarlo». Ogni volta che accetta una parte, «attraverso questo processo: odio il ruolo, odio me stesso, penso di averli ingannati, che non sono in grado di farlo sul serio». Ledger non aveva una formazione vera e propria, e se c’è una cosa che si può dire della scuola di recitazione è che ti insegna ad affrontare il ruolo come qualcosa di estraneo, come una lingua che parlerai temporaneamente. Ledger non aveva questa capacità. Aveva bisogno di vivere quella parte di se stesso che era il personaggio. «Le performance provengono dal credere a quello che stai facendo», ha spiegato Ledger. «Ti convinci e credi nella storia con tutto il cuore».
Sul set dei Segreti di Brokeback Mountain, aveva iniziato una relazione con Michelle Williams. Hanno avuto una figlia — «siamo soltanto caduti profondamente l’uno nelle braccia dell’altro, i nostri corpi hanno preso quelle decisioni per noi». Un anno dopo, Ledger ha detto di sentirsi appagato: «Quando sei così felice, tutto trova il suo posto».
I suoi film migliori raccontano la storia di qualcuno che piano piano impara a essere se stesso. Casanova parla di come passare dall’essere un amante ad amare veramente qualcuno. Brokeback è un avvertimento sui costi che tutti coloro che ti circondano devono pagare se nella vita rifiuti l’amore. In Io non sono qui interpretava un uomo che — come lui — e per ragioni che non riusciva a spiegare o risolvere, ha perso l’amore, la famiglia e la casa. E proprio come il Joker del Cavaliere Oscuro ha rifiutato ogni legame: un «clown psicopatico, un assassino di massa con zero empatia», così ha descritto il personaggio.
Quando Ledger e Williams si sono separati qualche mese prima della morte di lui, il motivo sembrava essere l’uso di droghe. Gli mancava la figlia, dormire era diventato un problema: «Devo fare qualcosa per questa testa, perché a volte semplicemente non prendo sonno, continua a ticchettare». Riposava solo due ore per notte. Quando un Ambien non faceva effetto, ne ingoiava un secondo, sveniva e si riprendeva un’ora dopo, con la testa che ronzava ancora. Sul suo ultimo set cinematografico, il co-protagonista Christopher Plummer ha dichiarato che secondo lui Ledger non dormiva per niente.
Dopo la sua morte c’è stato il momento dei tributi. Todd Haynes, che lo ha diretto in Io non sono qui, ha detto: «Heath era un vero artista. Questa è una tragedia inimmaginabile». Il regista di Brokeback Mountain Ang Lee ha affermato: «Lavorare con Heath è stata una delle più grandi gioie della mia vita». Christopher Nolan (Il Cavaliere Oscuro) ha scritto del suo «carisma — invisibile e naturale come la gravità… Non mi sono mai sentito così vecchio come mi capitava guardando Heath». Ledger ha chiesto molto al suo cuore dal punto di vista romantico, professionale, personale e fisico. E, alla fine, il suo cuore ha detto: «No».