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‘Saturday Night’, alle origini dello show comico più famoso (e caotico) di sempre

Jason Reitman omaggia il ‘Saturday Night Live’ e il suo inventore Lorne Michaels con un film scatenato anche se un po’ troppo reverente. Raccontando i forsennati 90 minuti che precedettero i leggendari 90 minuti che cambiarono per sempre la Storia della Tv

Foto: Hopper Stone/Sony Pictures

Non avrebbe mai funzionato. Non potevano dare abbastanza biglietti per riempire i posti. C’erano problemi di suono, di luci, di droga, di ego. Alcuni membri della troupe se ne andarono. Un membro chiave del cast non ha voluto firmare il suo contratto e poi è scomparso proprio prima che lo show andasse in onda in diretta. Il conduttore trasudava disprezzo. Ai Teamsters non piacevano i fenomeni da baraccone dai capelli lunghi. I due maschi alfa del gruppo non si piacevano a vicenda. All’autore Michael O’Donoghue non piaceva nessuno. Avevano tre ore di materiale e un’ora e mezza (con le pause pubblicitarie) per mandarlo in onda. L’unico motivo per cui il mite canadese al centro di questa tempesta ottenne lo slot delle 23:30 del sabato sera fu perché la NBC era in guerra con Johnny Carson e questo doveva essere il modo per ottenere un vantaggio nelle trattative con lui.

E poi, in qualche modo, contro ogni previsione e nozione di logica, l’11 ottobre 1975, John Belushi mimò un attacco di cuore sul palco e Chevy Chase urlò: “In diretta da New York, ecco il Saturday Night!”, e il piccolo show di sketch controculturali venne al mondo in quello che può essere descritto solo come un parto difficile, disordinato e violento. Il modesto pubblico che ha assistito al primo episodio del Saturday Night Live quando è andato in onda in diretta quella sera non aveva idea di quanto fosse vicino a vedere una replica del Tonight Show. O, se è per questo, che stavano assistendo alla creazione della Storia. Ma a cinquant’anni di distanza, sappiamo che quel momento fu un piccolo passo per Lorne Michaels e un grande passo per il genere comico.

In parte tributo eccessivamente riverente, in parte esilarante commedia sboccata in stile anni ’70 e in parte assalto frontale con l’intenzione di ricreare l’adrenalina della produzione di quel primo SNL, Saturday Night di Jason Reitman (nelle sale italiane come evento speciale solo il 21, 22 e 23 ottobre, ndt) cerca di riportare gli spettatori ai 90 minuti che hanno preceduto i 90 minuti che hanno cambiato il mondo. Alla prima del film al Telluride Film Festival – naturalmente di sabato sera, con il bonus di un cameo di Bill Murray – lo sceneggiatore e regista ha raccontato due aneddoti al pubblico durante la sua introduzione prima della proiezione. Uno riguarda il fatto che chiese al suo agente di contattare Michaels per permettergli di scrivere per lo show per una settimana; il produttore rispose: “Bene, può venire allo Space Camp”. Quell’esperienza gli ha cambiato la vita, ha ammesso Reitman, ed è proprio il caos controllato che precede una trasmissione in diretta che ha voluto catturare su pellicola.

L’altro racconto è consistito nel fatto che lui e il suo co-sceneggiatore, Gil Kenan, hanno contattato ogni persona vivente che si trovava nello Studio 8H quella fatidica notte e hanno raccolto i loro ricordi sulla realizzazione di quel primo episodio. “Le storie di tutti si contraddicevano”, ha osservato Reitman, così i due hanno cercato di creare una sceneggiatura che tenesse conto di tutte queste narrazioni divergenti e soggettive. Questa piccola chicca contribuisce a descrivere la qualità del mosaico di questa origin story, che cerca di inserire ogni possibile esempio della Legge di Murphy nel conto alla rovescia per l’inizio dello spettacolo, per quanto stravagante o apocrifo sia – cosa che non va confusa con la Legge di Eddie Murphy, un fenomeno che non avrebbe interessato il SNL fino agli anni ’80.

Non manca qualche Easter egg, comprese gag che sarebbero diventate dei classici in futuro, come lo sketch sulle molestie sessuali della prima ospitata di Lily Tomlin e la feroce parodia di Julia Child della quarta stagione. Ci sono anche alcuni tagli netti, e a volte si ha l’impressione di camminare attraverso una mostra dedicata allo show piuttosto che guardare un film sui suoi inizi. Ma soprattutto, Saturday Night è un film con Lorne Michaels (il Gabriel LaBelle di The Fabelmans) che cerca di spegnere incendi metaforici e a volte letterali mentre si occupa dei membri del cast e di calmare il nervoso produttore esecutivo Dick Ebersol (Cooper Hoffman). Rosie Shuster (Rachel Sennott), moglie di Michaels e autrice dello show, si occupa di molti dettagli di contorno, in modo che Michaels possa fare da tramite con i comici, gestire gli ammutinamenti e i casini dell’ultimo minuto e cercare di mettere a fuoco il quadro generale. Lavora anche come “sussurratore” di Belushi, dato che il mercuriale John (Matt Wood) non ha firmato il suo contratto e sta lentamente perdendo la calma per il fatto di doversi vestire come un’ape.

Nel frattempo, Chevy Chase (Cory Michael Smith) è già corteggiato come una stella emergente con un futuro brillante (“Sei un bel gentiluomo divertente”, gli dice un dirigente del network). Dan Aykroyd (Dylan O’Brien) flirta con ogni donna in vista e porta avanti una relazione non tanto segreta con Rosie. Laraine Newman (Emily Fairn) è in ansia, Jane Curtain (Kim Matula) molto divertente e Gilda Radner (Ella Hunt) è adorabile e svampita. Poiché i protagonisti originali sono ormai così noti, il film si basa su molti tic e caratteristiche riconoscibili piuttosto che sviluppare queste persone come personaggi. L’unico a ottenere qualcosa che assomigli a un arco narrativo, oltre a Lorne, è Garrett Morris (il Lamorne Morris di New Girl), che passa la maggior parte del film a chiedersi perché sia qui a interpretare papponi e camerieri anche se è un diplomato alla Jiulliard, fino a quando un sound check nel terzo atto non risponde alla sua domanda.

C’è dell’altro, naturalmente: J.K. Simmons che interpreta Milton Berle, Willem Dafoe che trasforma il vicepresidente della NBC David Tebet in una specie di troll, Matthew Rhys che si immedesima nella rabbia di George Carlin, Finn Wolfhard che interpreta uno stagista alla 30 Rock e Nicolas Braun di Succession che ritrae sia Jim Henson che Andy Kaufman. L’inventore dei Muppet è un hippie piagnucolone che tutti deridono allegramente, mentre il suo ritratto dell’innovativo cabarettista si basa sulla ben documentata stranezza dell’uomo; in questa particolare rivisitazione, Kaufman è colui che salva la situazione. Il cast di Saturday Night è uno strano miscuglio di volti famosi che interpretano altri volti famosi e di semi-sconosciuti che danno vita a giovani talenti emergenti. Come per il primo cast del SNL, alcuni hanno più opportunità di altri di brillare. Il Chase smargiasso, dal fascino umano e offensivo, di Smith è quasi inverosimile. O’Brien è in grado di dare il mood da “sono in visita su questo pianeta” di Aykroyd. Morris sfrutta al meglio la sua parte e, in un mondo perfetto, la perfetta interpretazione di Tommy Dewey del “principe delle tenebre” Michael O’Donoghue farà conoscere alle nuove generazioni l’attore dei National Lampoon e gli farà ottenere più lavoro.

Tutto ciò è indubbiamente divertente e snervante, con i comici che fanno i buffoni, la pressione che aumenta e le possibilità che il sogno di Michaels di uno show “fatto per la generazione che è cresciuta in Tv dalla generazione che è cresciuta in Tv” vada effettivamente in onda che si allontanano minuto dopo minuto. Il film si avvia anche a una conclusione scontata, per gentile concessione di cinquant’anni di Storia: immaginate una storia di loser su un gruppo di straccioni del baseball che sapete già che alla fine si riveleranno essere i New York Yankees del 1927. Reitman potrebbe trasformare questo dramma da backstage in una commedia di sgobboni contro snob, proprio come faceva il suo caro vecchio padre Ivan Reitman (co-sceneggiatore di Animal House, regista di Polpette, Stripes – Un plotone di svitati e Ghostbusters – Acchiappafantasmi). Ma sta anche scrivendo una lettera d’amore a un’istituzione sacra, girata in 16 mm e vestita come un cosplay degli anni ’70. Il Saturday Night Live si è a lungo compiaciuto della sua stessa mitologia, e Saturday Night è felice di aggiungere un po’ di affetto all’anniversario d’oro dello show. Caos e narcotici, talento grezzo e perseveranza, la resistenza di Michaels e la sorprendente fortuna di tutto ciò hanno in qualche modo portato le telecamere a catturare la pura anarchia che si scatenava sul mondo alle 23:30.

Da Rolling Stone US

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