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‘Sei nell’anima’ non è un’autobiografia. Parola della Gianna

Nonostante il biopic Netflix sia tratto dal suo memoir e lei sia tra le firme della sceneggiatura, Nannini assicura: «Volevo fare quello che mi pare, come sempre. Mica un film sulla mia vita». Ecco cosa è venuto fuori

Foto: Ralph Palka/Netflix

«Sei nell’anima non è un film autobiografico». Come no? «No, non lo è. Io volevo fare quello che mi pare. Come sempre. Mica un film sulla mia vita». E tu la guardi, senza capire. Perché, insomma, carta canta: dal 3 maggio su Netflix arriva questo film ispirato all’autobiografia Cazzi miei di Gianna Nannini, e tutta la storia ruota attorno ai primi trent’anni di vita della cantante. È un biopic, mica il remake di Hansel e Gretel. Ma lei, “la Gianna”, come la chiamano nel film, non ammette repliche anche perché nella sua vita non ha mai seguito le mode: figuriamoci se inizia adesso quando, con tutto quello che ha ottenuto, non ha certo bisogno di dimostrare alcunché. Dunque, cos’è Sei nell’anima? A occhio, citando sempre Gianna, potremmo dire che è il risultato di «un lungo rompimento di palle» courtesy of Cinzia TH Torrini. A quanto pare la regista di Elisa di Rivombrosa ha un animo rock da groupie un po’ stalker, perché si è messa a marcare stretta “la Gianna” sventolandole sotto il naso, ogni due per tre, ’sto copione. Dai, dai e dai, alla fine Nannini ha ceduto: «L’ho letto e mi sono detta: bello», ammette. «Ho incontrato un paio di volte il produttore ma dentro di me mi dicevo: tanto non si fa, perché non troveranno mai chi interpreta me».

Invece il destino l’ha fregata: è sbucata fuori tale Letizia Toni, che al momento a voi e a noi non dice nulla ma aspettate di vederla nel film. Praticamente è la reincarnazione della Gianna: stesso fascino tagliente e voce pazzesca. Quando l’attrice si siede al pianoforte e canta, la voce è la sua. Strepitosa. «Mi sono identificata in lei. Mi sono vista, riconosciuta e piaciuta», assicura Nannini. E non deve essere la solita dichiarazione di rito, perché la cantautrice ha svelato a Toni i suoi trucchi del mestiere: «Ha un modo tutto suo di respirare», assicura Letizia. E voi penserete: vabbè, che sarà mai, le avrà insegnato a usare il diaframma. No, qui è una questione di utero e ovaie. E non è una battuta. «Io canto usando il diaframma, l’utero e le ovaie: spingo la voce da lì», chiarisce (si fa per dire) la Gianna. «In Italia lo fanno solo i cantanti lirici e soul. Io l’ho imparato perché me lo insegnò, da piccola, la mia insegnante bulgara di canto». E già questo sarebbe un’ottima premessa per spingere a premere il tasto play del telecomando e bersi le quasi due ore di autobiografia, pardon, «rompimento di palle».

Gianna Nannini e Letizia Toni. Foto: Leandro Manuel Emede courtesy of Netflix

Ma c’è di più. Secondo Torrini e Toni, a rendere questa storia universale è l’esigenza che la trama sprigiona: più che una serie di eventi, Sei nell’anima è il fermo immagine – lungo un’ora e quaranta minuti – di un’emozione. Quella della Gianna. Un sentimento che dalle canzoni passa dritto sullo schermo e prova ad andare oltre allo stereotipo della dannazione alla sesso, droga e rock’n’roll. O meglio. Ci sono sia il sesso – decisamente fluido – che parecchia droga e un ottimo rock («Sono stata io a portarlo in Italia, prima nessuno lo faceva», rivendica Nannini), ma anche il delicatissimo tema della malattia mentale. Come i fan sanno, Nannini non ha avuto una vita facile. E, sì, usiamo il passato prossimo perché la cantante ha spiegato che quella battaglia «oggi è finita». Poi precisa: «Le droghe non c’entravano. Non era uno stato psicotico indotto delle sostanze: all’epoca Carla (sua attuale compagna, nda) disse consapevolmente questa bugia al medico per salvarmi dal manicomio e da una cura che sarebbe stata a base di psicofarmaci», assicura. E quindi? «Non so dirti nemmeno io cos’è successo, né come è successo. So solo che tutti noi teniamo delle cose nascoste dentro di noi e probabilmente quello è stato un modo per portarle fuori dall’utero materno, per dire delle cose che ho vissuto in altre dimensioni». In ogni caso, è stata «una lotta molto dolorosa» dopo la quale è rinata nel 1983. «La morte è obbligatoria, l’età è facoltativa» è il mantra del film. In questa lotta tra vita e morte, un ruolo decisivo è stato svolto da Carla, «l’unica persona che mi ha sostenuto dall’inizio alla fine e che mi ha salvata nel momento di crisi più profonda». Non a caso il film è un omaggio a lei, che nella trasposizione cinematografica ha il volto di Selene Caramazza, già vista nel film Cuori puri e nella serie The Bad Guy.

Letizia Toni con Selene Caramazza in una scena del film. Foto: Ralph Palka/Netflix

A questo punto potremmo dire: avete tutte le info, buona visione e tanti cari saluti. Ma c’è un ultimo punto, tanto caro al pubblico italiano, che non possiamo tralasciare. Quello dell’“è vero o non è vero?”, altrimenti detto: fedeltà storica. Ebbene, in Sei nell’anima non ci sono cazzabubbole anche perché, così a occhio, è difficile immaginare una Gianna che tradisca la sua identità (soprattutto in un film che vuole esserne l’elogio). Gli eventi sono dunque quelli, dai fischi durante i primi concerti a Mara Maionchi (qui interpretata da Andrea Delogu) che si commuove ascoltando lo struggimento della sua voce, passando per i vari eccessi e successi. Si romanza giusto un po’ qua e là: «Mio padre non era così autoritario e soprattutto non è mai stato violento», spiega per esempio la cantante, «semplicemente non voleva che io cantassi perché all’epoca le donne che lo facevano erano bollate come troie». Anche l’amicizia con la prostituta è un filo rivisitata, «ma va bene così», e se lo dice Nannini possiamo dormire tranquilli. Anche perché, ricordiamoci che «non è un biopic»…

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