Ci lamentiamo sempre che il cinema italiano non si occupa più di politica, costume e società, e già questo potrebbe essere un piccolo atto di complottismo: ci silenziano! in cambio del tax credit non ci permettono di dire le cose come stanno! Sappiamo benissimo che non è così, però ci piace lagnarci, dire che l’industria cinematografica del vicino è sempre più verde.
Forse basterebbero le idee, e chi è in grado di recepirle. Spunta nel vasto programma di Roma – Alice nella Città, ad essere precisi – questo Il complottista, opera prima di Valerio Ferrara, da lui scritta insieme ad Alessandro Logli e Matteo Petecca. Produce Elsinore con Wildside, distribuirà nelle sale la neonata PiperFilm, e loro l’idea l’hanno evidentemente colta e raccolta. Siamo tutti complottisti, anche se non vogliamo ammetterlo, e invece in questa storia siamo costretti a specchiarci.
Antonio (Fabrizio Rongione), barbiere di professione e complottista per passione (ce l’ha soprattutto con Bill Gates), tipico maschio incel come si dice oggi, uno di quelli che prima di andare a dormire leggono La scoperta del Sacro Graal, un giorno si convince che i lampioni di Roma, che lampeggiano semplicemente perché Gualtieri non li ha ancora sistemati (e non ci ha fatto un reel), stanno mandando dei segnali in alfabeto Morse: una bomba ci colpirà, è quello che annunciano.
Nasce un movimento post-grillino, Fare Luce, che butta dentro tutto: il carovita, il nucleare, gli alieni, i servizi segreti, gli hacker, i referendum ovviamente pilotati. La colpa? “Sono sempre loro: l’establishment”, e il bello è che lo dice, a un certo punto, un politico che dell’establishment ha fatto parte. Il gruppo è composito: c’è quello ossessionato dal profilo con la spunta blu, che renderebbe pure i complottismi più autorevoli; c’è quello che all’ultimo momento si tira indietro perché si caga sotto (la scusa ufficiale è: ho il corso di salsa); c’è quello complottista anche nei confronti dei complottisti: e se ci stessero fregando anche loro?
È un’umanità (cui dà volto un gran gruppo d’attori: ci sono anche Antonio Gerardi, Fabrizio Contri, Roberto De Francesco, Ernesto Mahieux) non dissimile da quella che vediamo sui social, anche noi nelle nostre echo chamber in cui risuona solo Vermiglio e l’ultimo romanzo di Sally Rooney. Qualcosa spunta anche dalle nostre parti, e il film racconta precisamente questo analfabetismo magmatico e contaminante che ci riguarda un po’ tutti, quel mondo così lontano e così vicino che si politicizza a caso, e che al fondo resta eternamente patriarcale – qui si salva solo la moglie del protagonista, interpretata da Antonella Attili, che infatti fa le valigie e tanti saluti.
Valerio Ferrara fa un cinema molto italiano, tra il comico e il grottesco – c’è qualche ricordo di Nanni Loy – ma con l’occhio che prova ad allargarsi, basterebbe la scelta del protagonista Fabrizio Rongione, per sempre “l’attore dei Dardenne”. Con la sua faccia stralunata un po’ da Buster Keaton, de-romanizza questa storia di barbieri, commesse di supermercato, vecchietti con la pensione minima, villeggianti in roulotte sui laghi laziali. Una storia di realtà, di costume e società, che toh, anche da noi, se ci si crede, si può fare.