Gli Oscar sono sempre stati un campo di battaglia. E negli anni più recenti, la cerimonia è diventata un evento pubblico in cui si riversavano le questioni razziali, di genere ed economiche che attraversano il cinema e la società. Ma nei suoi 94 anni di storia, l’Academy ha dovuto fare da mediatrice a tantissimi casus belli. Ci sono stati abusi di potere, prese di posizione contro l’Academy stessa e persino tentativi di far fuori un produttore della cerimonia dichiaratamente gay.
Abbiamo scelto i momenti più pazzi di queste “Oscars Wars”.
Olivia e Joan, sorelle coltelle (1942)
Prima di Bette Davis vs. Joan Crawford, c’è stato il leggendario feud Olivia de Havilland vs. Joan Fontaine, cioè… sua sorella. È una storia che, ne siamo certi, provoca una salivazione violenta a Ryan Murphy: una guerra alla luce del sole, tantissimi litigi dietro le quinte, fino all’apice della cerimonia degli Oscar. Le due sorelle destinate ad essere “niente se non rivali” si sono ritrovate l’una contro l’altra nella cinquina delle candidate al premio di miglior attrice nel 1942: nessuna delle due aveva vinto in precedenza, tutte e due erano decise a trionfare quella sera. La stampa ribattezzò quella serata proprio “la battaglia delle sorelle”. Quella sera a strappare la statuetta fu Joan Fontaine, che oltre alla gloria si assicurò collera e risentimento da parte della sorella per il resto della vita. “La rivalità le ha seguite fino alla tomba”, scrive Michael Schulman, autore del recente saggio Oscar Wars: A History of Hollywood in Gold, Sweat, and Tears. Quando a Olivia de Havilland, ormai 97enne, fu comunicata la notizia della morte della sorella, il dialogo con la nipote pare sia andato così: “Le chiesi: ‘Come stai stamattina? Tua sorella è morta’. E lei mi rispose: ‘Oh, e quali sono i tuoi programmi per domenica?'”.
Guerra all’Academy (1957)
Nel 1957, l’Oscar per il miglior soggetto andò a Robert Rich. Ma non c’era nessun Robert Rich a ritirarlo. Come spiega Schulman in Oscar Wars, Rich era in realtà lo pseudonimo di Dalton Trumbo, sceneggiatore di grandissimo successo che diventò il nemico pubblico n. 1 dell’House Un-American Activities Committee (l’ente che metteva nella lista nera tutti coloro che erano sospettati di simpatie comuniste, ndt). Trumbo era stato schedato come comunista e sbattuto in galera, nonostante avesse contribuito a scrivere un’altra sceneggiatura da Oscar, quella di Vacanze romane. Tuttavia, pare che Trumbo fu molto divertito all’idea che l’Academy avesse assegnato un Oscar a quello che apparentemente era un traditore dell’America, e si chiese quale potesse essere il modo per muovere la sua vendetta. Quando Kirk Douglas contribuì a riscattare Trumbo chiamandolo a scrivere il copione di Spartacus, lo sceneggiatore fece di quella storia una metafora dell’America maccartista. Aggiunse addirittura una scena che citava esplicitamente la cerimonia degli Oscar del ’57. Il film finì col vincere quattro statuette. John F. Kennedy partecipò a una proiezione pubblica, su consiglio del fratello Teddy. Pare che Kennedy abbia chiesto, una volta visto il nome di Trumbo nei titoli di coda: “Pensi che sia irlandese? Lo spero”. Anni dopo, l’Academy fece pubblica ammenda sulla questione Trumbo e lo onorò con un Oscar postumo per Vacanze romane.
Trincee generazionali (1970)
Gli anni ’70 sono stati il decennio più pazzo nella storia dell’Academy. Un uomo nudo sul palco. George C. Scott che boicottò pubblicamente la cerimonia paragonandola a “una sfilata di carne da macello”. Vanessa Redgrave che trasformò il suo discorso di ringraziamento in un comizio contro “i criminali sionisti”. Ma è stata la cerimonia del 1970 a indicare la prima vera frattura generazionale nell’industria del cinema. La cosiddetta “New Hollywood” vinse contro la vecchia guardia, portando dentro la cerimonia il sesso e la sua sensibilità anti-establishment – e aggiudicandosi a sorpresa i premi maggiori. Un uomo da marciapiede, storia vietata ai minori dell’amicizia tra un sex worker e un delinquente, vinse l’Oscar per il miglior film, dimostrò che “per la prima volta aveva vinto la controcultura”. Schulman scrive come la vecchia Hollywood, rappresentata quella notte da star del calibro di Cary Grant, Frank Sinatra e Mickey Rooney, fu rottamata nel giro di una sera, mentre le regole dell’Academy venivano completamente riscritte. Il nuovo corso era in atto, con una demarcazione generazionale netta tra il vecchio Studio system e la nuova era che stava cominciando.
G per Giustizia (1973)
Nel corso dello stesso decennio, gli Oscar hanno continuato a far arrabbiare un bel po’ di membri dell’industria che fu. “La cerimonia fu travolta da un fattaccio dopo l’altro”, scrive Schulman. Nel 1973, Marlon Brando inviò l’attivista Apache Sacheen Littlefeather in segno di rifiuto dell’Oscar come miglior attore ricevuto per Il padrino, gesto coraggioso che fu però ampiamente deriso (leggenda vuole che siano serviti sei uomini per fermare John Wayne, pronto a salire sul palco e scagliarsi contro Littlefeather). Fu in ogni caso l’inizio di una serie di discorsi di ringraziamento che sfruttavano l’ampia platea per lanciare messaggi politici. In tempi più recenti, questo episodio è stato però al centro di interpretazioni revisioniste e divergenti. Nel 2022, l’Academy si è pubblicamente scusata con Sacheen Littlefeather, riconoscendo l’orribile trattamento da lei subìto nel 1973. Ma dopo la morte di Littlefeather lo stesso anno, due sorelle della donna hanno dichiarato che Sacheen non era affatto una nativa americana, e che quella degli Oscar era solo una delle tante truffe che avevano contraddistinto la sua vita piena di bugie e raggiri.
Non è una Hollywood per gay (1989)
Il 1989 è stato l’anno in cui gli Oscar hanno avuto un restyling in chiave musical – ricevendo in cambio la definizione di “peggiori Oscar di sempre”. Allan Carr, l’eccentrico produttore di Grease e Can’t Stop the Music, realizzò finalmente il sogno di mettere in scena la notte degli Oscar. “Voglio riportare il glamour in questa cerimonia”, confidò agli amici. Ma la sua fantasia camp era troppo assurda e carnevalesca per riportare in vita l’allure dei tempi passati. Nel corso di quella serata ci furono numeri musicali sfarzosi, compresa una performance con protagonisti due amatissimi volti del Brat Pack anni ’80, Christian Slater e Ricki Lake. Ma prima c’era stato un terribile numero ispirato al mondo Disney, 11 interminabili minuti in cui Rob Lowe cantava e ballava su canzoni che andavano da Biancaneve a Proud Mary. Le critiche furono spietate. La Disney addirittura minacciò di denunciare l’Academy per l’uso non autorizzato di una sua principessa (!); e l’Academy stessa si trovò costretta a esaminare a fondo quella débâcle. “Carr aveva commesso molti peccati hollywoodiani”, scrive Schulman. “Si era rivelato troppo autocelebrativo, troppo kitsch, e soprattutto troppo gay”. Dopo quell’infausta serata, Carr divenne un paria a Hollywood, e la sua carriera andò in pezzi.
Maria, chiudi la busta (2017)
Sullo sfondo della polemica #OscarsSoWhite e l’inizio della presidenza Trump, La La Land e Moonlight si preparavano a vincere i massimi premi agli Academy Award del 2017. Gli Studios dietro i due film avevano fatto un lavoro di lobby ferocissimo, e i pronostici dell’ultimo minuto sostenevano che Moonlight avrebbe davvero potuto battere il titolo sfidante (e favorito) nella categoria “miglior film” – un premio che sarebbe valso come risarcimento per la mancanza di candidature ad attrici e attori afroamericani. Com’è noto, Faye Dunaway lesse la busta sbagliata e annunciò che il vincitore era La La Land; poco dopo, fu proprio il produttore di La La Land, Jordan Horowitz, a correggere l’errore e a confermare che la statuetta spettava a Moonlight. La ricaduta fu enorme. Da una parte c’erano i social, dove si cercava di ricostruire l’ordine esatto degli eventi, e dall’altra chi sosteneva che fosse tutta una burla tesa a infiammare ancora di più le logiche razziste dell’Academy. Alla fine, si è scoperto che un impiegato della PwC (società che offre servizi legali e fiscali e che da anni collaborava con l’Academy, ndt) aveva dato a Dunaway la busta con il nome della vincitrice dell’Oscar per la miglior attrice, invece che quella dedicata ai film. Non sorprende sapere oggi che Faye, subito dopo l’incidente, si è data “a una fuga sulle hills“.
Lo Schiaffo (2022)
“Lo Schiaffo” è ancora vivido nella nostra memoria. Non solo perché ha violato il decoro della notte degli Oscar, ma anche perché è arrivato pochi anni dopo il disastro della busta sbagliata. Will Smith – lo sapete – ha aggredito Chris Rock per un’infausta battuta sulla moglie di Smith, Jada Pinkett. Per qualche minuto, il caos ha regnato al Dolby Theatre: molti pensavano che fosse uno sketch organizzato, altri l’hanno subito preso per un atto di violenza inammissibile. Se quegli istanti hanno scioccato tutti – anche perché poco dopo Smith avrebbe vinto l’Oscar come miglior attore – sono stati i “dietro le quinte” a tenere banco, nelle settimane a venire. Schulman ricorda come, durante il party di Vanity Fair, Smith abbia ballato sulle note della sua hit Gettin’ Jiggy Wit It con in mano la statuetta appena vinta: “Nel giro di poche ore, aveva aggredito un collega e vinto un Oscar: stavamo forse assistendo a un esaurimento nervoso?”. Oltre a tutte le parole che si sono spese su violenza, questione razziale e mascolinità tossica, la notte degli Oscar 2022 resta tutt’oggi un trauma per tutti.