Ogni mondo ha l’Uomo Ragno che si merita. E qui sulla Terra-1610, il nostro lancia-ragnatele è un certo Miles Morales: un adolescente mezzo nero e mezzo portoricano che ama i graffiti, le Air Jordan e la fisica quantistica. Come la maggior parte dei suoi soci, è stato morso da un aracnide radioattivo, ha sviluppato la capacità di strisciare sui muri e percepire il pericolo in arrivo, si è procurato degli spara-ragnatele, una tuta, e ha imparato che da un grande potere derivano grandi responsabilità. È pure riuscito a salvare i multiversi dal collasso l’uno sull’altro, dopo che una manciata di altri Spidey interdimensionali – Spider-Gwen, Spider-Man Noir, una spider-ragazzina robot – si erano fatti strada nel suo angoletto di Spider-Verse. Storia lunga.
Essendo arrivato al cinema proprio mentre il rinascimento del Marvel Cinematic Universe era al suo apice interconnesso, ma prima che i film sui supereroi avessero iniziato a stancare il pubblico, Spider-Man: Into the Spider-Verse (in italiano Un nuovo universo, ndt) del 2018 ha preso la storia di un personaggio Marvel e l’ha fatta sembrare fresca, eccitante, unica. La questione non era tanto che Peter Parker non fosse più il vostro amichevole voi-sapete-chi di quartiere – nei fumetti, Morales indossava la spider-tuta dal 2011 – ma che il fascino universale della storia di Spidey e la sua malleabilità fossero stati davvero capiti. Chiunque potrebbe essere masticato da un raccapricciante mutante; chiunque potrebbe imparare a usare quei poteri e godersi i salti tra un grattacielo e l’altro di New York. Forse, ancora più importante, questa avventura animata ha intrinsecamente compreso perché i fumetti di supereroi hanno parlato a generazioni di lettori attraverso sia la forma che il contenuto, senza mai dimenticarsi che è un film. Aggiungete un po’ di arguzia, entusiasmo, un’esplosione di emozioni sotterranee, un genuino rispetto per il mezzo ma unito a un divertente senso di irriverenza (Spider-Ham?), e non c’è da stupirsi che molti di noi lo considerino ancora uno dei punti più alti del genere.
Dire che i fan erano terribilmente in ansia per l’inevitabile sequel è un po’ come notare che anche tutti quegli appiccicosi lanci di ragnatele in età adolescenziale sono, ehm, un po’ metaforici: insomma, è OVVIO. Spider-Man: Across the Spider-Verse sa che deve essere all’altezza di aspettative enormi. Si sforza davvero un sacco di approfondire le basi concettuali del primo film, immergersi più a fondo nella storia di Morales e migliorare l’idea di Spider-Man e Spider-Woman (e Spider-animale, vegetale e minerale). Questo secondo round starebbe al di sopra della maggior parte delle altre epopee cinematografiche di supereroi anche se la competizione recente non fosse stata così deludente e logora, e riesce a far rivivere l’emozione di riscoprire l’icona Marvel teen e arrabbiata del vostro tempo. Il brivido del multiverso è sparito. La dose di ragnatele però è extra.
Morales (doppiato nella versione originale da Shameik Moore) vive ancora a Brooklyn con suo padre, l’agente di polizia Jefferson Davis (Brian Tyree Henry), e sua madre, Rio (Luna Lauren Vélez). Continua a fermare i criminali, mantenere segreta la sua identità e bilanciare senza successo la vita personale con quella da supereroe. Il college si profila all’orizzonte. Miles è piuttosto solo; gli manca Gwen Stacy, alias Spider-Gwen (Hailee Steinfeld), aspirante batterista rock e difensora degli Earth-65. Quindi, quando un giorno lei si presenta senza preavviso nella sua stanza, lui è felicissimo. Anche a Gwen è mancato Miles. Il bisogno della compagnia di qualcuno che capisca cosa significa nascondere il proprio vero io ad amici e famigliari dietro una maschera? È condiviso.
C’è una ragione se Gwen ha viaggiato tra le dimensioni, oltre a quella di salutare un vecchio amico. Un prologo con un attacco dell’Avvoltoio – questa versione del leggendario cattivo sembra essere uscita direttamente da uno schizzo di Leonardo da Vinci del 1490 – termina con Gwen che viene reclutata per una squadra d’élite di Spidey. Il team è gestito da Miguel O’Hara, meglio noto come Spider-Man 2099 (Oscar Isaac), che è stato visto l’ultima volta puntare il dito, letteralmente, nella sequenza post-crediti di Into the Spider-Verse. Jessica Drew/Spider-Woman (Issa Rae) ha mandato Gwen sulla Terra da Miles per tenere d’occhio una nuova minaccia. Il suo nome è Macchia (Jason Schwartzman), un umano allampanato in grado di lanciare buchi neri nel tessuto dello spazio. L’aspirante supercriminale ha anche un legame personale con Morales e lo considera la sua nemesi. Il nostro eroe non prende sul serio questo tizio, ed è una cosa di cui si pentirà presto.
Da qui parte la storia, e Across the Spider-Verse comincia ad essere all’altezza del suo titolo. Come nel primo film, Miles conoscerà altri Spider-eroi, incluso il suo vecchio mentore Peter B. Parker (Jake Johnson). Questa volta, però, incontrerà centinaia di diverse varianti di lancia-ragnatele, da uno Spidey dell’India orientale che vive in una “Mumbhattan” del futuro alternativo, a uno Spidey anarchico britannico con lo spirito ribelle del ’76 (Spider-Punk!). E poi lo Spidey pistolero, lo Spidey dinosauro, lo Spidey colletto blu, lo Spidey proud dad e alcune altre incarnazioni che sono più ragni che umani. Diversi cameo live-action probabilmente scateneranno urla di gioia da parte del pubblico. E dato che gli sceneggiatori-produttori Chris Miller e Phil Lord sono ancora una volta a bordo, be’… non sorprendetevi se ci sarà anche una versione giocattolo del supereroe.
La nozione di multiverso è diventata un po’ una carta che i franchise si giocano per farla franca negli ultimi tempi, con le serie di supereroi che usano il concetto di linee temporali come un modo per riportare in vita personaggi e/o attori amati, accontentare pigramente i fan, annullare la morte, fare reset – in pratica, lo utilizzano per fare in modo che nulla di quello che accade, è accaduto o accadrà conti più davvero. I multiversi possono essere una scusa.
Ma possono anche diventare un’opportunità, e questo è ciò che il team creativo di Spider-Verse ha capito fin dall’inizio. Il trio di registi (Joaquim Dos Santos, Justin K. Thompson e il Kemp Powers di Soul), insieme a Lord, Miller e al co-sceneggiatore Dave Callaham, lo utilizzano come fosse un permesso per fare qualunque cosa, cambiando formati e flettendo la loro immaginazione al massimo. Per fortuna non sacrificano le “piccole cose” come la storia e la logica narrativa in nome di una mentalità Easter-Eggs-über-alles; ci sono battute in abbondanza, ma non è necessario aver presente tutti i riferimenti per seguire cosa sta succedendo. E, come con il primo film, Across the Spider-Verse è puro nirvana non solo per i fan dei supereroi, ma anche per gli amanti dell’animazione in generale: la fluidità e il brio delle immagini è strabiliante in ogni fotogramma.
I lettori dalla memoria lunga potrebbero ricordare che originariamente c’era una “Parte 1” nel titolo, quando il film è stato annunciato nel 2021, e Across the Spider-Verse finisce davvero con un cliffhanger. Il che potrebbe spiegare perché diverse sottotrame sembrano chiuse a metà, o perché il cattivo principale – ce ne sono diversi – sembra più un MacGuffin che un vero e proprio arcinemico. Ne sapremo di più quando Spider-Man: Beyond the Spider-Verse arriverà nei cinema il prossimo marzo. In ogni caso, sapere che vi state avventurando in una storia di “Morales interruptus” non dovrebbe impedirvi di adorare il contributo che il film porta alla saga di Spidey.
A rischio di far incazzare la polizia degli spoiler, c’è un momento in cui Miles salva qualcuno che non dovrebbe. Qualsiasi studioso di viaggi nel tempo vi dirà che, una volta che cambiate il corso di una serie predeterminata di eventi, rischiate di abbattere l’intero castello di carte del continuum spazio-temporale. Miles, ci viene detto, ha incasinato un “evento canonico”. E, come sa qualsiasi fan di lunga data di qualsiasi cosa, non si scherza con il canone. Però puoi costruirci sopra, e dimostrare che il futuro di un franchise non è mai scolpito nella pietra. È esattamente ciò che fa questo sequel, e lo fa magnificamente. Dateci subito la “Parte 2” e nessuno si farà male.