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‘Stay Still’, le ‘Ragazze interrotte’ dell’opera prima di Elisa Mishto

Ambientato in Germania, il film nasce da un’idea affiorata nella mente della regista più di dieci anni fa, quando per il documentario 'States of Mind' si ritrovò a vivere per un circa un anno in alcune cliniche psichiatriche

Foto: Francesco di Giacomo

Che cosa segna maggiormente le nostre vite se non il conflitto tra ciò che siamo e ciò che la società ci richiede di essere? Serpeggia questa domanda tra una scena e l’altra di Stay Still, primo lungometraggio di Elisa Mishto, una produzione italo-tedesca in esclusiva fino all’8 luglio sulla piattaforma digitale MioCinema e successivamente in arene e sale, distribuita da Istituto Luce-Cinecittà. La regista di Reggio Emilia, di stanza a Berlino da una ventina d’anni, porta sullo schermo la storia di due donne che quel conflitto lo subiscono in maniera potente, ciascuna con i propri tormenti e timori. Sono personaggi che qualcuno definirebbe “borderline”, Julie e Agnes, le due protagoniste interpretate da Natalia Belitski e Luisa-Céline Gaffron. La prima è un’insolente ereditiera senza genitori né obblighi, che non fa che oziare e sperperare un patrimonio gestito da altri, cedere a istinti piromani e farsi ricoverare di tanto in tanto, per sua stessa volontà, in una clinica psichiatrica: sin dalla prima inquadratura, che ci mostra gradatamente il suo corpo dai piedi in su, Julie confida di aver optato per l’immobilità per non fare la fine delle formiche che, così operose e incapaci di stare ferme, non fanno che lavorare incessantemente, senza sosta, ligie e instancabili. La seconda, Agnes, è una giovane infermiera della suddetta clinica, lavora, ha un marito, una figlia, eppure non si sente mai all’altezza, non riesce a entrare davvero in quei ruoli, in primis quello di madre, quasi avesse deciso di diventarlo più per rispondere a una richiesta esterna che per un bisogno interiore. Stay Still racconta l’incontro tra queste due donne solo apparentemente diverse, unite da un’inquietudine comune: un incontro tra le mura di un ospedale dove i confini tra normalità e follia si rivelano labili, che in un susseguirsi di avvicinamenti e litigi, contrasti e momenti di intimità non privi di erotismo, le condurrà a una resa dei conti con se stesse e con il mondo là fuori.

Già presentato in anteprima mondiale al Filmfest München e alla Festa del Cinema di Roma nella sezione “Alice Nella Città”, il film di Elisa Mishto è ambientato in Germania e nasce da un’idea affiorata nella mente della regista più di dieci anni fa, quando per il documentario States of Mind si ritrovò a vivere per un circa un anno in alcune cliniche psichiatriche. «Quel che più mi ha colpito è che in quel mondo fatto di dolore i pazienti sono personaggi un po’ felliniani capaci di esercizi di fantasia, con una grande forza di sconvolgere la realtà e di plasmarla secondo i propri bisogni», ha dichiarato Mishto, che per la stesura della sceneggiatura, sempre a sua firma, è partita proprio da qui: da interrogativi e dubbi esistenziali che solo chi vive alla periferia della realtà – ed è una periferia profonda, quella degli ospedali psichiatrici – può urlare a voce alta. Interrogativi scomodi perché ritenuti infantili (folli, per l’appunto), eppure fondanti rispetto a quello che Heidegger chiamava il nostro essere-nel-mondo: lavorare è un obbligo o un privilegio?; rispondere alle pressioni sociali è responsabilità o conformismo?; i ruoli che la collettività ci spinge a ricoprire sono gli unici possibili? Trattasi, in fondo, di riflessioni sulla libertà individuale che nel mescolarsi con l’ambientazione ospedaliera s’inseriscono nella fervida tradizione di pellicole – da Qualcuno volò sul nido del cuculo di Miloš Forman (1975) a Ragazze interrotte di James Mangold (1999) – che hanno indagato gli indefiniti confini tra normalità e disagio mentale.

Stay Still le aggiorna all’oggi con una regia e una scrittura solide, benché a tratti attraversate da uno schematismo narrativo che potrebbe far storcere la bocca a qualcuno. C’è il fuoco che brucia sotterra, ci sono i guanti gialli da cucina che Julie indossa costantemente a rappresentare la distanza che la donna intende mantenere con gli altri, c’è una dose di lesbismo che non assurge mai a elemento basilare nella relazione tra le protagoniste, ma che conferendo ambiguità a quella che di fatto è una storia di amicizia e solidarietà femminile rischia di indebolire l’evolversi della trama. Forse avremmo anche voluto sapere di più di Julie, questa donna sola e privilegiata che, ostentando una finta libertà, ci sbatte in faccia con toni tra il sarcastico e l’impertinente le contraddizioni del quotidiano. Si accenna a un trauma passato e poco più, mentre è meglio inquadrata la figura di Agnes, mamma sempre in ritardo e in difficoltà rispetto ai propri doveri di educatrice, incapace di scalfire un silenzio cui la figlia di 3 anni l’ha condannata.

Natalia Belitski e Luisa-Celine Gaffron. Foto: Francesco di Giacomo



Detto questo, Stay Still, impreziosito dalla partecipazione del sempre egregio Giuseppe Battiston, è un buon film che in 90 minuti, frammento dopo frammento, delinea un rapporto tra due donne che si scoprono l’una l’alter ego dell’altra. Se Julie si rintana nell’inerzia e nella follia per sfuggire la realtà, Agnes ha ricercato la sicurezza di una vita casa-lavoro-famiglia finendo per sfuggire a se stessa. Sono entrambe prigioniere, ma avvicinandosi costruiscono le basi per una ribellione che le condurrà in un altrove si spera più sereno. Le attrici Natalia Belitski, 36 anni, tedesca di origine russa con portamento alla Charlotte Gainsbourg, e Luisa-Céline Gaffron, 27 anni, austriaca, interpretano ottimamente i due ruoli. Alle spalle anche il corto Emma and the Fury (2017), la regista Mishto – che dopo una laurea in Semiotica a Bologna ha studiato regia e sceneggiatura al Goldsmith College di Londra – è abile nel far continuamente oscillare lo spettatore dalla parte dell’una o dell’altra protagonista e nel costruire una narrazione in cui verità e immaginazione si sovrappongono a più riprese non senza alcune incursioni nel surreale. Non manca la cura estetica e non si può non notare come la fotografia pop di Francesco di Giacomo richiami alla mente certi film indipendenti degli anni ’90, Todd Solondz, Sofia Coppola. E a quest’ultima rimanda, per il modo in cui la musica s’intreccia con le immagini, anche la colonna sonora del lungometraggio, che spazia dalle ritmiche cupe e spezzate di Ghostpoet agli Interpol di Lighthouse, dall’intensa Her degli Swans alle composizioni originali di Apparat alias Sascha Ring, uno dei principali nomi della scena elettronica internazionale: già al lavoro con Mario Martone, qui il musicista tedesco ci regala una versione di Bad Kingdom, brano del suo progetto Moderat, dall’atmosfera sognante. E Stay Still lo grida forte e chiaro, che forse è nei sogni e nei desideri più inconfessabili che si cela la nostra più profonda verità.
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