In guerra e in pace, in politica, Hollywood si schierava. C’era un’idea da far passare, un’indicazione da dare, in qualche ufficio della Casa Bianca qualcuno si metteva in contatto con un referente a Hollywood e il referente smistava l’indizione alle major, secondo attitudine. Gary Cooper era stato il contadino mite che diventava soldato eroe suo malgrado, solo per abbreviare la guerra e ridurre il numero dei caduti. “Abbreviare la guerra” era stato anche l’immane alibi della bomba atomica. Quando il presidente Truman appose quella firma si ribellarono pochi intellettuali e pacifisti che tuttavia non facevano opinione. Il tradimento giapponese di Pearl Harbor era ancora troppo fresco e doloroso, era ferita ancora aperta. Ma i 250mila morti civili di Hiroshima e Nagasaki erano un numero, e una vicenda, immani e innaturali, non potevano essere definiti da quella didascalia “per abbreviare la guerra”.
Nei primi anni Cinquanta, in piena Guerra Fredda, quell’eco triste e drammatica stava emergendo, sollecitata dalla nuova cultura che traeva le radici dalla guerra, da quella generazione che, tornando dall’Europa e dal Pacifico, a contatto col resto del mondo che non era l’America, aveva maturato idee pacifiste. Centinaia di migliaia di innocenti immolati in nome della necessità di finire in fretta mettevano in discussione l’assunto accettato e legittimato: non si poteva fare altrimenti. Tutti quei lutti, istantanei e successivi, e tutta quella sofferenza dicevano che forse… si poteva fare altrimenti. Ma il governo rimaneva arroccato sulla posizione della necessità e dell’ineluttabilità. Impossibile un pensiero diverso. Invece il pensiero diverso c’era. E così, ancora una volta, dal famoso ufficio della Casa Bianca partì l’indicazione per Hollywood. L’eroe da illustrare era Paul Tibbets, il comandante dell’Enola Gay, il bombardiere B29 che aveva sganciato la bomba su Hiroshima. La major venne identificata nella Metro-Goldwyn-Mayer e il modello nel divo Robert Taylor.
L’eroe repubblicano
Taylor non aveva l’immagine del buono “metafisico” alla Gary Cooper, era tuttavia un eroe con qualche tormento. Soprattutto era un repubblicano, un carattere patria e famiglia, insomma uno di destra. Inoltre aveva portato sullo schermo strepitosi eroi in costume come Ivanhoe, Lancillotto e il Marco Vinicio di Quo vadis. E in gioventù aveva dato corpo e volto a un altro eroe americano, certo trasgressivo, il famoso Billy the Kid, che era un teppista, ma che il cinema aveva venduto come giovane vittima che si ribellava alla prepotenza dell’ordine costituito. In più Robert era l’idolo delle donne del mondo, “il più bello di tutti”, insieme a Tyrone Power. Il film si intitolava Above and Beyond, letteralmente “sopra e oltre”, tradotto in Il prezzo del dovere. Taylor rappresentò il comandante del bombardiere con grande misura, rilevando la lotta interna infinita e poi, forse, il rimorso segreto. Quel sentimento individuale, trasmesso da una performance straordinariamente intensa, divenne, almeno nelle intenzioni, il sentimento della politica e del popolo. Sganciare quella bomba era costato molto, anzi moltissimo, anche alla coscienza nazionale americana.
Il “dovere” di Reagan
Molti anni dopo, la NBC produsse un telefilm in due puntate dal titolo Enola Gay. Una sorta di riedizione del Prezzo del dovere, con maggiori dettagli. Il protagonista era Patrick Duffy, il famoso Bobby Ewing di Dallas. Era il 1980, l’anno del primo mandato di Reagan, della guerra fra Iran e Iraq e della nascita di Solidarność in Polonia. Soprattutto continuava a valere il sistema bipolare e la paura reciproca fra USA e URSS, con relativo mantenimento della Guerra Fredda e degli equilibri dettati dal ricatto nucleare. Naturalmente fra le tante letture – tutto può essere letto in tutti i modi, specie se di fiction trattasi – c’era anche quella di un richiamo di attenzione da parte degli Stati Uniti verso coloro che tentassero di toccare gli equilibri detti sopra.
Tibbets, quello vero
Paul Tibbets, quello vero, è morto nel 2007 a 92 anni. Molte cose erano cambiate. Era cambiato il consenso ed era cambiata la cultura. Erano rimasti in pochi a pensare che di quella bomba non si potesse proprio fare a meno. Tibbets è stato un militare per tutta la vita. Il “senso del dovere” che gli ha fatto compiere quella missione si deve essere certamente evoluto. Per anni l’esercito lo usò come manifesto di quell’azione necessaria. Ma nel tempo il vecchio pilota si espose sempre di meno. Poi tacque. Poi disse a un suo amico, Gerry Newhouse, di non volere né un funerale vistoso né una lapide sulla sua tomba. Temeva che si trasformasse in luogo per manifestazioni di protesta. Come sarebbe accaduto dagli anni Sessanta, col Vietnam e tutte le nuove dialettiche e consapevolezze. Anzi, forse sarebbe stata meta di pellegrinaggi. Così, anche il comandante Tibbets, “direttissimo” interessato, aveva capito.