Poliziesco, spy, thriller, noir, mystery, insomma: il giallo. È un genere fondamentale del cinema, trasversale. Non risente del tempo, delle culture e delle mode. Vale per tutti i target, adesso come all’inizio del cinema. Inoltre, è molto probabile che un giallo possegga qualità vera nella storia, nei personaggi, nell’ambientazione, perché molto spesso quei film hanno una derivazione letteraria. Bastano alcuni nomi, nomi “seriali”. Holmes da Doyle; Vance da Van Dine; Poirot e Murple da Christie; Marlowe da Chandler; Spade da Hammett; Wolfe da Stout; Harper da MacDonald; Hammer da Spillane; Maigret da Simenon; Bond da Fleming; Montalbano da Camilleri; Queen da… Queen. Cinema e letteratura, in una combinazione spesso molto felice.
Ma c’è dell’altro. L’identità del “giallo” è talmente prevalente da giustificare quasi un paradosso, un ribaltamento di valori ritenuti acquisiti: il film migliore del libro. Succede, per esempio, in certi noir degli anni Cinquanta come Giungla d’asfalto, dove la firma prestigiosa di John Huston mette in ombra quella del romanziere W.R. Burnett; o come nelle Catene della colpa, dove è il regista Jacques Tourneur a prevalere sullo scrittore Geoffrey Homes.
L’opera film/libro, ormai inteso come una sorta di unicum per la rilevanza acquisita nell’era recente dal cinema rispetto alla letteratura e che certo continua, presenta una sua identità molto forte (ribadisco, non più doppia identità, ma un unicum) proprio nel genere giallo. Insomma, il racconto giallo si sposa perfettamente col linguaggio del cinema. Questo matrimonio (spesso) tanto felice è servito per rubricare verso l’alto la letteratura gialla, considerata, fino a non molto tempo fa, un genere minore, una cugina maldestra e parvenu della scrittura alta. Alcuni degli autori nominati sopra non solo sono scrittori di qualità assoluta, ma sono testimoni credibili della loro epoca, nel sociale, nel colore, nell’umanità.
Maigret si muove nella provincia francese e dentro Parigi. Simenon ci mostra quei luoghi e quei sentimenti con verità efficace ed essenziale. Le strade, i ricchi e i poveri, la sofferenza quotidiana, le bugie e le debolezze, naturalmente il delitto, e poi il coinvolgimento e l’indulgenza. E la grande umanità del commissario. Sartre e Gide, cioè la nobiltà, addirittura il Nobel, ti raccontano in profondità, con un’introspezione che ti incanta, la nevrosi, le patologie e la sofferenza individuali. Mediando significati e metafore della loro poetica, puoi certo trarre un profilo generale della società da loro rappresentata, ma l’istantanea percettibile, tangibile e reale che trova posto nella nostra coscienza e memoria è quella di Maigret & Simenon.
Tutto questo vale anche per Raymond Chandler e il suo poliziotto privato Philip Marlowe. Los Angeles e la California come Parigi e la Francia. Marlowe, triste e sfiduciato senza essere cinico – sì, un po’ alla Maigret – ne ha viste di tutti i colori ma sa che comunque il proprio dovere va fatto anche se non ci saranno grandi riscontri e la vita non migliorerà, la sua e quella degli altri. Quell’impermeabile chiaro e spiegazzato è un modello, una grafica del cinema come e forse più dei jeans di James Dean e del “chiodo” di Brando. E poi, la città. Il posto di polizia, il procuratore distrettuale, gli onesti e i corrotti, i bar della notte con la gente della notte, spesso rifiuti, l’odore del porto, e poi Hollywood, la gente ricca e le ville di Beverly Hills col sole abbagliante che fa laggiù. L’America occidentale di Chandler degli anni Quaranta è l’America. E la scrittura è concisa, umana e allarmante.
Il grande sonno appartiene allo scrittore Chandler così come al regista Howard Hawks. L’unicum di cui ho detto sopra. Humphrey Bogart è il primo motore, ma Chandler è stato rappresentato, quanto meno correttamente (c’era una base quasi impossibile da svilire), da molti altri. Come Dick Powell (L’ombra del passato), Robert Montgomery (La donna del lago), George Montgomery (La moneta insanguinata), e poi, in era quasi moderna, Elliott Gould (Il lungo addio), James Garner (L’investigatore Marlowe), e poi l’ottimo Robert Mitchum (Marlowe, il poliziotto privato e Marlowe indaga). Registro un recente, inadeguato, anziano e sgradevole James Caan (Omicidio e Poodle Springs).
Un autore quasi omologo di Chandler è Dashiell Hammett. Scrittore di ottimo stile, raccontava cose che conosceva, essendo stato detective dell’agenzia Pinkerton. Il suo poliziotto Sam Spade precede Marlowe di una decina d’anni, ha una personalità con minori sfumature e minore ironia. I due comunque si assomigliano anche grazie a … Bogart, che ha dato corpo e volto anche a Sam Spade nel Falcone maltese, un grande classico del genere. Chandler e il suo detective sono autentici legislatori.
Sarebbero seguiti, nei decenni, un gruppo folto di cloni a volte adeguati. Fratello di Marlowe riconoscibile a prima vista è Lew Harper, scritto da MacDonald e interpretato da Paul Newman (Detective’s Story e Detective Harper: acqua alla gola). Un altro ottimo adepto è Jack Nicholson, che fa il detective Geddes in Chinatown. Ma il più efficace neo Marlowe è James Garner, che, dopo aver fatto il detective nel film citato all’inizio, è stato Jim Rockford nel serial Rockford File. Sarà stata un’inseminazione artificiale, ma ben riuscita. Jim vive in una roulotte sulla spiaggia di Malibu, lo assiste il vecchio padre, i clienti non lo pagano mai, è stato in prigione per un errore giudiziario, è umano e onesto. A Chandler non sarebbe dispiaciuto.