Nel 1929, un londinese ventottenne obeso dirigeva Ricatto, un film che già conteneva tutto ciò che per quasi sessant’anni sarebbe stata definita la magia di Alfred Hitchcock. Non è certamente un caso che “Hitch” sia un regista famoso come un divo, grazie anche ai suoi interventi, ai camei inseriti dei suoi film e alle sue presentazioni come testimonial di serie televisive di grande gradimento. Sempre nel concetto lato del giallo inglese, se Agatha Christie e Arthur Conan Doyle significano la penna, Hitchcock è la macchina da presa. La sua grandezza sta nelle vaste possibilità di lettura dei suoi film, e nella sua cultura. La grande capacità di mimetizzare, garantire la qualità a contatto di film troppo colorati, persino patinati, con modelli troppo belli (alludo al periodo hollywoodiano) è un’attitudine ancora più rilevante.
Naturale dono del thriller, umorismo, conoscenza dell’animo umano, una veniale dose di perversità, e poi il sortilegio non definibile del cinema: un suo fotogramma lo cogli subito, è la qualità dei maestri: ecco la formula del successo, presso tutti i Paesi e le civiltà, di questo autore di cinema. Il tema centrale non ha molte varianti, prevale la vicenda di un uomo che suo malgrado, improvvisamente, si trova in una contingenza drammatica e deve uscirne dimostrando la sua innocenza. Valgono, in questa chiave, alcuni dei suoi primi titoli del periodo inglese: Giovane e innocente, Il club dei 39, la prima edizione dell’Uomo che sapeva troppo. Da questo nodo si dipanano tutte le possibili sfumature del comportamento umano, con tante tesi sviluppate rispetto ai momenti storici, il delitto, lo spionaggio, l’amore e anche la morte, l’immancabile Freud.
La dialettica critica, alla quale il regista inglese ha dato naturalmente tanta linfa, ha interpretato Hitchcock secondo il suo linguaggio “purista” dei primi periodi e la sua magniloquenza hollywoodiana, privilegiando la prima fase. In realtà, nonostante una palese evoluzione estatica, il regista non ha mai cambiato i contenuti, li ha semplicemente lucidati in California. I prezzi pagati, se l’artista ha dovuto pagare, non erano certo a scapito del rigore. Nel tempo, nel quadro dell’evoluzione generale della comunicazione e delle arti, Hitchcock, ignorato per decenni dalla critica prevalente, quella che faceva testo, depennato dalle liste dei titoli e degli autori nobili del cinema – i Welles, i Bergman, i von Stroheim e i Fellini, estraendo di getto alcuni nomi – si è visto riabilitare. Il suo Vertigo (La donna che visse due volte), nell’era recente, è stato posto al primo posto della classifica assoluta del cinema di tutti i tempi e di tutto il mondo. .
Hitchcock ha affrontato tutte le facce del tema. Il delitto perfetto è un giallo puro, con una soluzione (la chiave sotto il tappeto) che avrebbe potuto appartenere ad Agatha Christie. In Rebecca – La prima moglie, di derivazione letteraria (Daphne du Maurier), i toni sono romantici, persino mélo. Poi ci sono i freudiani, come Io ti salverò e Marnie. C’è il surreale legato all’horror, Gli uccelli; il tema della guerra fredda in Topaz; il nazismo in Notorious – L’amante perduta; l’alta mondanità-quasi-commedia di Caccia al ladro. C’è il paranormale in Complotto di famiglia e ancora il Freud “duro” di Psycho. Hitchcock è davvero una presenza ingombrante, come lo sono i legislatori. Ha aperto nuove vie e poi le ha richiuse. Come i grandi capostipiti dell’arte figurativa, ha costretto contemporanei e successori a percorrere quella via. “Hitchcockiano”, è noto, è un lemma. E viene abitualmente attribuito a un thriller, se è di indiscussa qualità. “Hitch” era un tal fuoriclasse da non essere neppure competitivo. Un autore, anche molto importante, si ispirava a lui, e neppure lo dissimulava.
François Truffaut nel ’67 ha diretto La sposa in nero, dichiarando apertamente di aver rifatto Hitchcock. In effetti quel film, che narra la vendetta di Jeanne Moreau sugli assassini del marito, è un preciso esercizio in quel senso, a cominciare dalla musica, i movimenti della macchina, il montaggio. Ho spesso scritto di Hitchcock, in pezzi specifici, per esempio in occasione dei cinquant’anni di Vertigo, che molti ritengono il vertice del suo percorso. Sembra che il maestro abbia trovato questo libretto, firmato da Boileau e Narcejac, su una bancarella a Parigi. Un romanzetto di nessuna qualità diventato un titolo leggendario. Trattasi di uno dei rari casi in cui un film prevale – e di quanto prevale – sul libro.
Ma il grande sortilegio, il segnale dell’incanto e del prodigio, sta nella capacità dell’autore di fissare dei modelli intoccabili. Un concetto che ribadisco. Un uomo corre sul profilo di una collina, attraversa un ponte romano nella brughiera. Una macchina costeggia la riva del mare di notte, la luna si riflette sull’acqua. Sono estetiche, sono sentimenti che Hitchcock affonda nelle cellule delle nostre coscienza e memoria e che rimarranno lì. Anche altri autori mostrano colline e strade lungo il mare, ma la memoria non le trattiene. Alfred Hitchcock non è solo un testimone, un narratore che possiede l’attitudine inglese del giallo: è un artista dal mistero potente che ti porta nel suo mondo diverso, te lo fa riconoscere e, una volta che ne sei uscito, te lo rammenta come un approdo felice. Potrai tornarci. Adesso basta un dvd, i film di Hitchcock sono stati editati, tutti.