C’era una volta il western è una rassegna che sta dominando i network. Incentrata su due grandi personaggi, John Wayne e Clint Eastwood. Ma che si estende a tutti i segmenti del genere, che sembrava superato, quasi dimenticato. Invece se agisci sul telecomando, dopo tre o quattro passaggi ecco un film western. E la proposta è larga, completa. Eh sì: c’era una volta il western, e c’è ancora. Il western, genere principe, merita un canto.
“Cerca di diventare forte e leale”, dice Alan Ladd al piccolo Joe nel finale del Cavaliere della valle solitaria. “Io ho quella che tu forse consideri una debolezza: sono onesto”, ribatte John Wayne al tentativo di corruzione di Stuart Withman nei Comanceros. Virginia Gray negli Invincibili sospira a Gary Cooper: “Se ti guardo negli occhi vedo orizzonti, vedo montagne inesplorate e l’infinito, la tua vita è là come quella dell’aquila è nel cielo”. In queste frasi ci sono molti dei sentimenti del western. Sentimenti sorpassati.
Il western è stato un genere eroico, forse il più eroico. L’avventura, i fiumi, i monti e la Monument Valley, il buono e il cattivo, la frontiera. E l’eroe, appunto. Tutti codici che un tempo prevalevano nel racconto. “Forte e leale” era davvero il primo comandamento, certo semplice e scontato, ma era il piedestallo più sicuro. Shane, il misterioso cavaliere che arriva nella valle dello Snake nel Wyoming, si prende carico del destino dei coloni oppressi da un allevatore senza scrupoli. Alla fine fa giustizia gratis, rischiando la vita, sotto gli occhi del bambino che lo ha ormai adottato come modello personale. Alla fine, lasciando la valle, perché comunque lui, l’eroe, è stato costretto a uccidere (“a torto o a ragione, rimane un marchio che non si cancella più”) ed è comunque un corpo estraneo, completa il testamento morale dicendo: “… e cerca di essere come i tuoi genitori, non come me”. Shane divenne l’eroe di generazioni: Sal Mineo, l’amico di James Dean in Gioventù bruciata, ha appeso il suo ritratto nella sua stanza. Una parte solenne della struttura civile degli Stati Uniti, sempre secondo il western, era solida, indistruttibile grazie anche a quell’onestà di John Wayne. L’uomo di legge incorruttibile. E nello sguardo di Gary Cooper c’era la spinta verso l’ignoto, verso la frontiera. Un’altra delle grandi “spinte” del sogno americano.
Il sentimento americano, puro e ideale, era dunque in quei film. Puro e ideale come i suoi eroi che alla fine il cinema e la cultura, nelle loro evoluzioni, hanno riletto ed emarginato. “Quei” Ladd, Wayne e Cooper, identificati da quelle frasi, agivano negli anni d’oro di quel genere ingenuo: erano giustizieri accettati e legittimati della comunità. Successivamente, soprattutto nel cinema e nella cultura del nostro tempo, non avrebbero più avuto cittadinanza, sarebbero diventati grotteschi, quasi ridicoli. L’eroe adesso è un altro.
Ma nei decenni del grande cinema e del grande western, i Quaranta e Cinquanta, tre modelli come quelli detti sopra erano testimoni del sogno, erano referenti dell’identificazione più bella, la loro immagine si affiancava a quella della loro casa madre, l’America, che in un certo momento della guerra, momento tragico, era scesa in campo, era sbarcata in Europa e nel Pacifico e aveva tolto di mezzo fascismo, nazismo e imperialismo. Salvando gran parte del mondo che si sarebbe chiamato “libero”. Cooper, Wayne e tutti gli altri uomini dell’Ovest per qualche lustro dettavano dallo schermo quell’indicazione di giustizia, certo cinematografica, ma che apriva la fantasia e i cuori. Era il mondo del cinema, non quello della realtà. Era il paese del western, non quello del West, che era tutt’altra cosa. L’Ovest americano fu formato da un insieme dei popoli del mondo. Gente di ogni genere che lasciava i civili stati dell’Est in cerca, se non di fortuna, almeno di sopravvivenza. Altri si imbarcavano per attraversare l’Oceano appena usciti dai cancelli delle patrie galere. Non c’erano eroi in quegli emigranti. Non c’era Gary Cooper. E va detto che gli unici veri americani finivano per essere quelli con le penne e i capelli lisci, perfetti per assumere il ruolo di selvaggi cattivi nei western.
Quando negli anni Settanta il genere mutò chimica, gli indiani cominciarono ad essere la razza oppressa e perseguitata e, a poco a poco, sterminata. La realtà era più vicina a questa vicenda che a quella raccontata nei film. Sappiamo. Ma il cinema, l’ho detto davvero troppe volte, ha le sue licenze e cerca di proteggerle. La realtà, se è il caso, la sorpassa. Al cinema interessa il racconto, lo spettacolo e il gradimento del pubblico. E così, quando gli indiani divennero i buoni e la cavalleria non arrivò più a fare giustizia, la verità storica ringraziò, ma il western morì.