Rolling Stone Italia

Tanti auguri Wes Anderson

In occasione del suo compleanno abbiamo scelto di raccontare tutto ciò che rende unico il solo regista indie a esser diventato mainstream senza piegarsi a Hollywood
wes anderson

Nominate un cineasta contemporaneo che sia riconoscibile sin dal primissimo fotogramma quanto Wes Anderson. Non ve ne viene in mente nessuno? Nemmeno a noi. Mago dei colori, innamorato pazzo della simmetria, maniaco dei dettagli, creatore di universi eccentrici e nostalgici alla costante ricerca della perfezione visiva. In poche parole: uno dei pochi autori di oggi con la “A” maiuscola e, forse, l’unico indie che è riuscito a diventare in un certo senso mainstream senza allinearsi ai dettami hollywoodiani.

«Ho un modo di filmare le cose, metterle in scena, progettare set. Ci sono stati momenti in cui ho pensato di cambiare il mio approccio, ma in realtà, questo è quello che mi piace. È la mia firma come regista. E da qualche parte lungo la strada, penso di aver preso questa decisione: farò cinema nel mio personalissimo modo». Ecco cinque motivi per cui Wes Anderson è Wes Anderson.

True colors
Se l’albergo di The Grand Budapest Hotel è il più grande personaggio del film il merito è del rosa smorzato scelto per colorarlo. Wes Anderson è il maestro dell’estetica pastello con cui dipinge gli ambienti e veste i protagonisti, creando dei piccoli mondi sognanti. Ogni sequenza ha poche tonalità dominanti, filtrate attraverso un gusto retrò e pittoresco come in un libro di racconti per bambini. Parole d’ordine: no alle tinte accese, niente (o quasi) colori primari e via libera a nuance spesso difficili da definire, come il senape (o mostarda? o ocra?) che caratterizza la Margot Tenenbaum interpretata da Gwyneth Paltrow. Il gusto sofisticato di Anderson nella scelta dei colori accomuna tutti i suoi lavori ma nello stesso tempo trova un’espressione unica per ogni suo film. I suoi preferiti? Il rosso e il giallo, nelle loro variazioni più improbabili, ovviamente.

Simmetrico è meglio
Il diavolo è nei dettagli? Beh anche Wes Anderson, in particolare nella perfetta simmetria delle inquadrature e nel costante tentativo di posizionare il soggetto principale esattamente al centro. Insomma, dimenticate gli insegnamenti delle scuole di cinema, secondo cui la costruzione della ripresa deve essere il più dinamica possibile e avere profondità. Il cineasta texano compone in maniera piatta e maniacalmente simmetrica, al punto che i suoi personaggi sembrano più disegnati che catturati dalla macchina da presa. Se non ve ne eravate già accorti (e ne dubitiamo) ecco il filmato realizzato dal regista coreano Konagoda che, per evidenziare la “sindrome da simmetria” di Anderson, inserisce a metà dell’immagine una linea tratteggiata.

Ma il suo linguaggio inconfondibile comprende anche un amore sconfinato per lo slow motion, che spesso sottolinea le sequenze più emozionali dei suoi film.

Altre caratteristiche del Wes Anderson’s style? L’uso frequente di zoom e panoramiche, di inquadrature dall’alto e di carrellate che seguono i personaggi.

“… e poi partono i Kinks”
“Vorrei vivere in un film di Wes Anderson: inquadrature simmetriche e poi partono i Kinks” canta Niccolò Contessa (I Cani). Già i Kinks, ma anche tantissimi altri cantanti o gruppi pop e rock degli anni ’60 e ’70. La selezione musicale è un altro degli ingredienti fondamentali delle pellicole del regista: da Cat Stevens in Rushmore a Nico e i Velvet Underground nei Tenenbaum, fino a David Bowie (cover in portoghese di Seu Jorge incluse) ne Le avventure acquatiche di Steve Zissou. La scelta dei brani spesso rende alcune scene assolutamente indimenticabili e ha il potere di rilanciare artisti (vedi Nico con These days). Uno dei marchi di fabbrica di Anderson? Accompagnare lo slow motion a musiche che ne amplificano l’effetto sullo spettatore. Una sequenza su tutte: quella dell’incontro tra Margot e Richie Tenenbaum alla fermata del bus. Semplicemente wow.

L’unica eccezione a questa playlist? Grand Budapest Hotel che è ambientato negli anni ’30: Alexandre Desplat ha vinto l’Oscar per la colonna sonora del film.

«Scrivo sempre con Bill in mente» (cit. Wes Anderson)
Se state guardando un film di Wes Anderson allora è altamente probabile che tra i protagonisti ci sia Bill Murray. Per la serie “squadra che vince non si cambia”, alcuni interpreti sono diventati fondamentali nella costruzione dell’universo cinematografico del regista quanto l’utilizzo dei colori, la simmetria o la musica. Proprio come Murray, il suo attore-feticcio, che compare in ben otto pellicole su nove dirette da Anderson, se consideriamo anche la prossima, Isle of Dogs. I suoi ruoli top? Lo strambo oceanografo Steve Zissou e il mite neurologo Raleigh St. Claire dei Tenenbaum. Ma la lista è lunga. Tra i preferiti del regista ci sono anche Luke Wilson (che ha dato vita ad uno dei caratteri insieme più esilaranti e strazianti mai usciti dalla penna di Anderson, quello di Richie Tenenbaum) e il fratello Owen (compagno di università del cineasta, che compare in sette film su nove) ma anche Jason Schwartzman, Tilda Swinton, Edward Norton, William Dafoe, Adrien Brody, Anjelica Houston e Jeff Goldblum. Sempre da applausi, anche quando sono chiamati a interpretare personaggi minori.

Dialoghi eccentrici e finali agrodolci
Vorrei vivere in un film di Wes Anderson… / Coi personaggi dei film di Wes Anderson: idiosincratici, più simpatici di me/ E i cattivi non sono cattivi davvero/ E i nemici non sono nemici davvero/ Ma anche i buoni non sono buoni davvero, proprio come me e te” (I Cani, Wes Anderson). I protagonisti delle commedie nerissime del regista sono assolutamente imperfetti e incasinati ma anche terribilmente carismatici, sempre valorizzati da dialoghi eccentrici ed efficacissimi. Al centro delle storie spesso c’è la relazione padre-figlio, senza però mai dimenticare trame o sotto-trame romantiche: “Vorrei l’amore dei film di Wes Anderson, tutto tenerezza e finali agrodolci”.

Iscriviti